I processi

."Pagine corsare"
I processi
.
?Documenti relativi al
processo a Pasolini, reo di vilipendio alla religione di Stato
per il film La ricotta



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Il ricorso in Appello
della difesa
30 maggio 1963
.? Corte di appello di Roma
MOTIVI dell'appello interposto dal sig. PIER PAOLO PASOLINI contro la sentenza pronunziata il 7/3/1963 dal Tribunale di Roma (sezione IV Penale) che lo dichiar? colpevole del reato di cui all'art. 402 C.P. condannandolo alla pena di mesi quattro di reclusione, in concorso delle circostanze attenuanti generiche.

I

Un film, come ogni opera d'arte, deve essere osservato col metro che la cultura appresta all'interpretazione evitando di isolare dal contesto intero dell'opera particolari sequenze o brani di dialogo che, rescisso ogni rapporto col dramma, possono suggerire considerazioni aliene dallo spirito del dramma medesimo e da questo stesso.

La prima osservazione, dunque che si deve fare a proposito della sentenza impugnata ? che essa anzich? considerare il film nella sua interezza ne ha enucleato alcune sequenze e le ha considerate come a s? stanti.

Questo modo di impostare e di risolvere il problema giudiziario costituito dall'accusa mossa al Pasolini si manifesta anche nella contraddittoriet? che si coglie nella sentenza. La quale, infatti, presenta tutta una prima parte in cui la ricostruzione della storia narrata dal film e dello spirito che la sostiene ? svolta in maniera aderente alla realt?, mentre nella seconda parte si procede indipendentemente dalle premesse e si perviene a conclusioni le quali contrastano con la prima.

La sentenza, infatti, dopo aver osservato che "questa, per sommi capi, la trama del film che di per s? non appare vilipendiosa della religione cattolica, cui del resto ? estranea, pur se ? dato cogliere un signifcato vagamente religioso della morte del protagonista, il quale con le sue sofferenze induce facilmente a pensare alla morte di Cristo, pure condannato da una societ? ottusa e sorda ad una fine ignominiosa", afferma che "nulla dunque, ? da osservare e da eccepire nella trama del film e in definitiva sul significato del messaggio sociale in esso contenuto, cos? come lo ha inteso profilare e materializzare Pasolini dando vita al suo personaggio protestatario".

In un secondo momento, poi, afferma che: "allo spettatore non sfugge, davvero, la mistica sacralit? delle scene che inquadrano Stracci che mangia, i suoi familiari che mangiano, Stracci che ? alla ricerca disperata di cibo: mistica della fame, del bisogno, accentuata da una particolare musica sacra (il Dies Irae), mistica mai dileggiata, mai derisa, mai ridicolizzata, come purtroppo accadr? invece ogni qual volta che il regista tratter? le parti veramente sacre del film, ogni qual volta egli si accoster? a Cristo e ai personaggi della tradizione cristiana".

E' in questa linea di partizione tra il "sacro" di Stracci e le parti "veramente sacre" che la sentenza continuer? ad esporre le considerazioni critiche dalle quali deriva la conclusione della affermazione di colpevolezza.

Ma proprio su questa linea si appunta la prima doglianza che muoviamo.

Questa linea, infatti, scinde l'opera e la frazione snaturandone per ci? stesso il contenuto e significato, mentre non tiene conto della realt? obiettiva della narrazione cinematografica nella quale appare chiarissimo che colui che tratta i soggetti sacri non ? Pasolini ma il regista della finzione, il regista cio? dell'opera sulla Passione.

La sentenza, cio?, non ha considerato che il film offre per tutta la sua durata, in parallelo, due modi di accostarsi ai drammi sacri: quello delle comparse e del regista della finzione e quello proprio di Pasolini. Proprio l'illustrazione della vilt? dei primi col porre in evidenza la riprovazione dell'autore della Ricotta, suscita sdegno nello spettatore.

Ci pare, dunque, di poter affermare che quando la sentenza formula il quesito a chi le sconvenienze dovessero attribuirsi e pone a base della propria scelta l'argomento fallace della evidenza, trascura in realt? l'indagine prima di vedere, cio?, in quale dei due campi le sconvenienze erano rappresentate: se, cio?, nel campo di Orson Welles o se in quello del Pasolini.

Vogliamo dire con ci? che l'affermazione della sentenza secondo cui in questa o in quella scena i vari attori concorrenti a rappresentare la nobilt? delle rapprensentazioni sacre terrebbero, con parole, gesti o musiche od esclamazioni, un contegno plebeo contraddicente o disdicevole alla elevatezza artistica del compito ad essi spettante nel concetto dell'autore del film sacro, si sarebbe potuta esprimere solo nel caso in cui gli attori medesimi nell'atto di comporsi a formare e realizzare i quadri sacri avessero recato nel campo dell'obiettivo della macchina da ripresa la variante, ad esempio, di un Cristo con la pipa in bocca (come sarebbe potuto avvenire nella composizione dei quadri del Pontormo e del Rosso Fiorentino).

Queste considerazioni diordine generale ci esimerebbero dal riferirci alla casistica dettagliata delle sequenze sulle quali il Tribunale si ? soffermato in modo particolare, tuttavia per ragioni di completezza, riteniamo utile far capo a qualcuna di queste.

Cos? ? evidente che non ? Cristo che sbotta a ridere, ma il meschino attore che lo interpreta, anzi il meschino attore che interpreta vilmente il Cristo profanamente raffigurato dal Pontormo, mentre "i vari bivacchi delle comparse - come rileva la sentenza - durante le pause di lavoro, sulle croci poggiate a terra; che, pur pezzi di legno, strumenti di lavoro, rimangono tuttavia sacre espressioni della religione destinate di l? a poco a far rivivere la Passione e Morte di Cristo" non sono che atteggiamenti di cialtroneria picara della troupe in ozio.

Cos?, anche, il grido di "via i crocefissi" non ? un motivo insieme a tutti gli altri simili ("la corona", "portate su le croci", "il ladrone buono" ecc.), non sono che motivi ricorrenti usualmente sui set che - nel caso di specie - sottolineano quasi musicalmente i passaggi o risvolti dell'azione con effetti che volevano essere semplicemente o innocentemente comici, di una comicit? di stile charlottiano.?

Motivo di comicit? che si ripresenta nella scena dello Stracci che corre verso la ricotta e ne ritorna, sempre con ritmo charlottiano determinato dalla necessit? di descrivere le ansiet? di estinguere la fame, interrotto per? due volte, da un'indiscutibile manifestazione di religiosit? offerta da quel personggio candido e umile che si segna nel passare davanti ad una icona.

In ogni momento c'? qualcosa che ricorda la finzione: quando si inchiodano le croci, ed una comparsa avverte per burla: "mo' ti inchiodo davvero", quando alla minaccia: "ti scomunico" corrisponde una risata, quando alla corona evocata sul set col tono ambiguo dell'ironia popolare romanesca segue la sequenza in cui la corona appare sola, e solenne sullo sfondo di Roma: quando le musiche si scompongono e si ricompongono in concomitanza con lo scomporsi o il comporsi delle comparse che impersonano quella della fantasia dei due pittori; quando le tre croci spariscono all'inzio della striptease.

Lo "stacco", d'altra parte, tra la finzione e la verit? del regista pi? che da questi fatta o da quelle immagini nasce dalla polemica che il regista medesimo sostiene con coloro che respingono la validit? della tradizione religiosa.

II

Non indugiamo in questa analisi, per il timore di cadere anche noi nell'errore di far opera che nella sua frammentariet? sminuirebbe la interezza del film e del racconto contenuto in esso, che ha un fine particolare che la sentenza riconosce allorch? afferma "La Ricotta ?, dunque, la storia di Stracci, un uomo disgraziato, indifeso, abbandonato a se stesso, ma fondamentalmente buono e generoso, che ? costretto a lavorare anche quando ? malato; che cede il cibo datogli da chi lo ha precariamente ingaggiato come comparsa, alla sua numerosa povera famiglia; che sopporta il duro lavoro sotto i morsi feroci della fame della quale mai ? riuscito a riscattarsi e se un espediente escogitato e attuato fra una pausa e l'altra di lavoro, gli consente di disporre di mille lire, egli non esiter? ad impiegarle interamente nell'acquisto di ricotta".

Se, dunque, la Ricotta ? la storia di Stracci, della sua umanit? sventurata, non vi ? possibilit? di scorgere nel film una chiamata in causa della religione. Tanto ? vero che i primi giudici stessi riconoscono che "pu? convenirsi con Pasolini quando egli afferma che la parte religiosa del film fa da cornice all'opera".

Vogliamo rilevare, a questo punto, che ogni qual volta la sentenza si pone il problema se possa "seriamente attendersi la giustificazione per quanto concerne le musiche, che trattasi di incresciosi ma non voluti errori di esecuzione, per quanto concerne la sguaiata risata del Cristo, che non questi ma la comparsa che lo interpreta intende irridere ai suoi compagni di lavoro, ecc.", opera una scelta che risulta, per?, sempre immotivata, basata soltanto cio? su una pura affermazione o su una conclusione non preceduta da alcuna richiesta
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Eccone un esempio: "invero, con il ripetuto oltraggio della musica, con la risata sguaiata del Cristo-comparsa, con gli insulti rivolti ai personaggi sacri della Passione del Pontormo, ? in realt? il Cristo degli Altari, il Cristo della tradizione a essere dileggiato, schernito, deriso".

Eccone un altro: "la religiosit? che Pasolini connatura al presonaggio ?, dunque, una religiosit? che rispetto alla entit? cui ? stata volutamente contrapposta ? in verit? chiaramente antireligiosa, in quanto concretatasi in azioni vilipendiose del bene tutelato al quale si pone col suo racconto in antitesi". Laddove, a proposito del primo esempio, si pu? rilevare che non vi ? una iconografia religiosa ufficiale e che n? religione o spirito religioso si compendiano nelle immagini di maniera da chiunque disegnate; mentre a proposito del secondo esempio si pu? rilevare che non vi ? nel film contrapposizioene antitetica fra la religione di Stracci e religione del Cristo, ma solo empiet? delle comparse e religiosit? evangelica di Stracci.

Ma la sentenza non solo opera questa scelta immotivatamente, quando anche, nel commentare le singole scene criticamente, perde di vista, l'essenza dell'obiettivo del film che era quallo di indicare e fustigare l'assenza di umanit? di cui ? impregnato il mondo cinematografico, solo preoccupato di realizzare incassi colossali ed insensibile, invece, fino alla empiet?, anche nelle opere di argomento religioso.

La sentenza non considera a questo proposito che far ci? era indispensabile che il regista descrivesse - in una parte che fa da cornice al film - gli atteggiamenti disdicevoli del regista e degli interpreti del film sacro.

Cio tanto pi?, in quanto la sentenza riconosce che "l'attenzione dello spettatore e? polarizzata sul personaggio principale dell'episodio, rappresentato da un certa Stracci, povero, misero individuo che nel film ? destinato formalmente a impersonare il buon ladrone e che nella vita reale costituisce il simbolo cristallino di quel sottoproletariato senza mezzi e senza educazione che la societ? costringe ai margini del vivere civile e lo stato non aiuta e non tutela; di quel sottoproletariato, cio?, che campa alla giornata, ? totalemente privo di mezzi necessari per la propria elevazione fisica e spirituale e che lavora, suo malgrado, solo quando sporadicamente ne ha l'occasione".

E riconosce altres? che "tale religiosit? il regista ha evidenziato quando mano a mano, sequenza per sequenza, ha innalzato Stracci, che pur nel film doveva impersonare il buon ladrone, alla dignit? di Cristo terreno, dell'uomo simbolo che, morendo in croce dileggiato e deriso, soltanto nella morte trova il mezzo di dimostrare la propria esistenza".

Queste ultime considerazioni e ci? che diremo in seguito muovono la nostra lagnanza relativa al problema del dolo, secondo noi trascurato completamente nella sentenza.

Questa non si ? resa conto della contraddizione insita nell'accusa formulata a carico di Pasolini: da un lato, il riconoscimento giuridico che nell'opera incriminata non si offendono persone o cose della religione cattolica; dall'altra l'accusa o almeno una delle accuse che si dileggiano, tenendoli per vili, simboli e persone della religione cattolica.

Questa contraddizione era ed ? sintomatica di una incertezza di concetti su cui si confondono persone con personaggi, dogmi, sacramenti e riti con le rappretazioni pittoriche prese a modello da alcuni dei molti dipinti ispirati a figure e fatti delle sacre storie.

Ci? che, unitamente alla caratteristica che il reato di vilipendio riveste nel caso in specie come fatto di coscienza, di cultura e di arte, rendeva necessario un esame approfondito del dolo, della manifestazione inequivoca cio? di coscienza e di volont? dirette a produrre l'evento.

Recensioni numerose avevano seguito immediatamente la programmazione del film, in nessuna delle quali vi erano accenni che potessero far supporre che il film stesso avesse destato non diciamo "certezze" ma "supposizioni" di elementi vilipendiosi della religione.

Sono in atti le copie fotostatiche dei maggiori quotidiani nazionali, compresa la stampa pi? propriamente qualificata per una valutazione dell'opera sul piano del rispetto verso la religione cattolica, mentre ? in atti anche la qualifica che il Centro Cattolico Cinematografico assegn? al film, nella quale ogni ipotesi persino di irriverenza nei confronti della religione ? esclusa espressamente. Non vogliamo dire, con ci?, che questi pareri dovessero condizionare il giudizio del Tribunale, ma soltanto che essi dovevano essere tenuti presenti e discussi, non fosse altro che come manifestazione di "intelligenze critiche" da parte di persone versate in modo particolare nella valutazione delle opere d'ingegno.

D'altra parte, il mondo di Pasolini, poeta, scrittore, critico, filologo, regista, non poteva non costituire uno degli elementi-base da valutare in relazione a quella coscienza ed a quella volont? di cui abbiamo fatto cenno.

III

Una delle tesi affacciate dalla difesa era relativa al problema se il film, a considerarlo secondo le tesi accusatorie, fosse trasceso davvero da un contenuto genericamente blasfemo a quello sempre generico ma di grado superiore del vilipendio.

Nessun accenno vi ? nella sentenza a questo problema, n? all'altro relativo all'evento diverso da quello voluto dall'agente mentre appare esagerata la pena comminata in relazione alla "fondata fiducia" che la sentenza nutre nella certezza che Pasolini "si asterra' nel futuro dal commettere utleriori reati" ed alla considerazione che comunque sia non ? negabile che questo problema giudiziario si presenta in termini di cultura e poesia, insomma, di arte e libert?.

IV

Si sottopene alla Corte l'esame della necessit? di accogliere la richiesta di rinnovazione almeno parziale del dibattimento, al fine di esibire ulteriori pareri critici sul film e di dar modo a persone particolarmente qualificate, quali tra gli altri, Don Francesco Angelicchio del Centro Cattolico Cinematografico e Padre Grasso, professore di teologia nell'Universit? Gregoriana di esprimere il loro pensiero in proposito e soprattutto sui sentimenti di religiosit? che animano il regista e sui motivi che hanno indotto i padri francescani di Assisi a commettere al Pasolini la regia di un film dal titolo Il Vangelo secondo S. Matteo".

Roma 30 maggio 1963

Avv. Ferdinando Giovannini - Firmato
Avv. Giuseppe Berlingieri - Firmato

Depositata in cancelleria
Roma l? 30/5/1963
Il Cancelliere - Firmato

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