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Corte di appello di Roma
SEZ. I
Memoria
per PIER PAOLO PASOLINI (udienza 28 aprile 1964)
I
La pellicola di Pasolini ci descrive la lavorazione di un film sulla Passione di Cristo.
La boria del regista, la cameratesca sguaiataggine e bruta incoscienza degli attori e comparse di quel film in lavorazione fanno constrasto con la santit? del tema.
Il Pasolini ammonisce la superbia del regista e il materialismo della troupe con lo scatenare sulla scena un tonante Dies Irae.
Contemporaneamente, il Pasolini centra un personaggio che per essere nella vita persona umile tanto da serenamente accettare la derisione dei compagni di scena, altruista tanto da cedere il proprio cestino alla affamata famiglia, generoso tanto da perdonare il cagnolino che gli ha rubato il cibo, timorato tanto da segnarsi dinanzi alle immagini sacre, ? l'unico degno di accostarsi con questa sua ingenua e primitiva umanit? all'oggetto di quel film in lavorazione, e fa di lui il protagonista della propria pellicola.
Contemporaneamente ancora, riscatta la vanagloriosa anima dell'immaginato regista della Passione coll'attribuirgli la paternit? di sacre scene di mirabile effetto, in cui domina una religiosa umilt?, quale solo poteva raggiungere un artista capace di attingere ispirazione a pure sorgenti come la primordiale poesia di Jacopone da Todi, e le oneste pitture del Pontormo e di un Rosso Fiorentino.
II
Dov'?, dunque, una volont? di vilipendere?
La sentenza, che pur d? atto al Pasolini di avere creato scene sacre di assoluta bellezza, ritiene di rinvenire la prova di una volont? di vilipendere nella rappresentazione che il Pasolini stesso porge del comportamento triviale del regista degli attori e delle comparse durante la descritta ripresa della passione.
Consapevole, per?, che elementi di vilipendio non possono rinvenirsi nella descrizione di un comportamento altrui se non a condizione che l'autore manifesti la volont? di approvarlo, essa afferma - per configurare il reato - che il Pasolini avrebbe artificiosamente creato quell'atmosfera di religiosit? pura per meglio sfogarvi la propria derisione.
III
Senonch?, la sentenza non si avvede che nell'opera di Pasolini vi ? uno scontro fra il bene e il male e che lo spirito di bassa lega e la trivialit? che egli fotografa da obiettivo cronista, appartengono soltanto ai personaggi "cattivi" che tutte posano a vile, mentre il protagonista di Pasolini, l'eroe, di Pasolini, ? il tradizionale personaggio "buono".
Questi, infatti, domina la scena e conquista l'anima dello spettatore con la sua natura semplice e buona che passa indenne attraverso le prove cui ? sottoposta.
Alla fine trionfa: coloro che avevano impersonato indifferenza, vanagloria e matta bestialit? sono ridotti al silenzio della sua morte; negli attimi di sgomento che seguono tutti i presenti sul set, come in sala, sono tratti a riflettere i significati della Passione.
E' in questo momento di cristiano accostamento dell'umano al divino attraverso la morte di un misero, che le suggestive scene sacre poco innanzi realizzate da Pasolini manifestano la loro ragione d'essere nella trama del suo racconto.
Non si pu? affermare, dunque, senza cadere nella contraddizione e nell'arbitrio, che l'atmosfera di religiosit? di quelle scene sacre fosse stato un maligno artificio.
Non sarebbe stato possibile, invero, di realizzare l'accostamento dell'umano al divino che la sentenza vede nel messaggio di Pasolini, senza la volont? di esaltare, e non di deridere, entrambi i valori.
IV
La volont? di Pasolini e lo scopo del suo film non era, dunque, di vilipendere, ma di esaltare il drammatico suggestivo contrasto.
Del resto l'intiera opera letteraria del Pasolini non ? in chiave con l'interpretazione della sentenza, confermandone, cos?, l'errore.
E' notorio, infatti, che il Pasolini ha posto la propria indiscussa capacit? artistica al servizio delle legittime aspirazioni sociali degli oppressi, appoggiando il proprio pensiero sullo spirito evangelico. L'interpretazione della sentenza ? infine contraddetta dal comportamento di Pasolini nel processo, perch? egli neg? di aver commesso e di aver voluto commettere il delittuoso fatto imputatogli: la spregiudicatezza dell'opera e della vita del Pasolini rendono evidente che egli sarebbe stato pronto a bruciare sul rogo piuttosto che rinnegare il proprio pensiero e le proprie azioni.
Roma, 20 aprile 1964
Avv. Ferdinando Giovannini
Avv. Celso Tabet
Avv. Giuseppe Berlingieri
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