Pier Paolo Pasolini
La saggistica
Canzoniere italiano
1960
commento di Angela Molteni
Pier Paolo Pasolini raccolse in questa monumentale antologia, pubblicata per la prima volta nel 1955, le espressioni più belle e curiose di una poesia popolare ricca e varia come quella italiana. Di regione in regione, attraverso quasi ottocento testi di vario genere e struttura, si passa dai canti narrativi piemontesi alle "biojghe" romagnole, dalle "vilote" venete e friulane ai "rispetti" toscani, dalle "canzune" abruzzesi ai canti funebri calabresi, dal "mutos" sardi agli stornelli, agli strambotti, alle ninne nanne, fino ai canti popolari delle due guerre e alle canzoni fasciste e partigiane.
Il Canzoniere italiano rappresenta - grazie anche all'ampia introduzione dello stesso Pasolini - una tappa fondamentale della riscoperta della poesia popolare, e offre un ritratto vivissimo, poetico e critico, degli italiani e delle loro radici regionali.
Ho fatto cenno all'introduzione ai due volumi: si tratta di un vero e proprio saggio storico, scientifico e critico, contenuto nelle 143 pagine iniziali del primo volume. Pasolini vi delinea gli aspetti linguistici e cita gli studi compiuti sulla poesia popolare italiana, regione per regione, a partire dal Settecento.
In particolare, descrive poi la genesi dei canti della prima guerra mondiale, nei quali i dialetti tuttavia furono quasi del tutto abbandonati. Tali canti furono numerosi, favoriti probabilmente dalla immobilità della "guerra di trincea".
"L'allure militaresca", scrive tra l'altro Pasolini, "che si è qui abbozzata, passerà poi nei canti fascisti: tutti semicolti, addirittura dannunziani. Né altra poteva essere la produzione di un movimento non popolare, politicamente e socialmente. Con somma ripugnanza, per imparzialità (e che valore avrebbe l'imparzialità se non costasse fatica?) abbiamo qui inserito qualche canto fascista preso da una bieca raccoltina stampata anonimamente a Caltanissetta nel '22: il lettore vi vedrà da sé le caratteristiche di stile, la non popolarità, o la popolarità fittizia, nella specie di un volgare virilismo, che sono da attribuirsi generalmente a qualche futuro federale di provincia..."
Ma anche per i canti partigiani Pasolini parla di semi-popolarità e individua, per spiegarla, due fatti: "[...] primo, l'appartenenza dei dirigenti politici e militari alle file dell'antifascismo borghese [...]; secondo, la coincidenza della lotta militare con la lotta politica, dell'ideale di patria con l'ideale di classe."
Pasolini conclude infine dichiarando:
"Non sussiste dubbio, comunque. che, salvo le aree depresse, la tendenza del canto popolare nella nazione è a scomparire. Né poteva essere altrimenti se la cultura popolare tradizionale ha dato dei canti implicanti necessariamente la soggezione inattiva della classe dominante: una sua inattiva aspirazione ai privilegi della classe dominante (lingua speciale compresa), e la sua ascesa a questa attraverso le vie irrazionali del sentimento e delle istituzioni stilistiche.
Il popolo moderno, invece. cosciente di sé in quanto classe, e politicamente organizzato verso la conquista del potere, tende ad abolire l'irrazionale soggezione in cui per tanti secoli era vissuto: tende ad essere autonomo, autosufficiente nell'ambito ideologico: a dissimilarsi.
Ma su quale base, se la sua cultura tradizionale - astorica o almeno arcaica e immobile - non lo caratterizza più, non lo contiene se non in qualche parte del Meridione o in qualche povera zona montana? Su una base puramente politica, di partito?
Poiché non bisogna dimenticare che le armi di diffusione dell'ideologia della classe al potere, come abbiamo ricordato, sono immensamente potenziate: e la loro influenza, nel popolo, è di condurlo a prendere l'abito mentale e ideologico di quella classe: ad assimilarlo.
Dissimilazione, dunque, e insieme assimilazione, tra le due culture: con una frequenza intensissima, insieme di simpatia e di lotta, del "rapporto". La poesia popolare, come istituzione stilistica a sé, è in crisi. La storia in atto."
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