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un'Orestiade africana 1968-69 Scritto, diretto, fotografato e commentato da Pier Paolo Pasolini Nel corso della lavorazione di Appunti per un film sull'India, Pasolini progett? di allargare il discorso sui temi della religione e della fame e sui problemi dei paesi del Terzo Mondo girando episodi che rappresentassero alcune realt?, come quelle dei paesi africani, dei paesi arabi, dell'America Latina e dei ghetti neri nordamericani.? Un commento di Gualtiero De Santi, da ?Cineforum? Si sa il peso che essa teneva nella mitografia pasoliniana: ?ah, il deserto assordato / dal vento, lo stupendo e immondo / sole dell?Africa che illumina il mondo?. Stavolta in pi? c?? l?inseguimento della realt? sul trasporto poetico ed emozionale della cultura. Ma la cultura serve a Pasolini per contornare e pi? concretamente evidenziare la propria d?tresse. E infatti, subito dopo lo scivoloso inizio documentaristico, si assiste a un recupero degli archetipi del nostro universo occidentale. La cultura non ? pi? citazione o vezzo, bens? destino intessuto di tempo. Il mito d?Oreste funziona insomma come aveva funzionato quello di Edipo. Non a caso il film progettato e questi Appunti che pi? concretamente lo anticiparono si connettono intimamente con la produzione coeva: da una parte il cinema, dall?altra il teatro. Nei due casi, si ha a che fare con la stessa infilata di ?citazioni? (il plot di Othello rigiocato liberamente in Che cosa sono le nuvole?, la reversibilit? di La vida es sue?o veicolata nel Calder?n) e c?? soprattutto un uso privato e psicanalitico (anche se non forse deliberatamente) nei miti classici: Edipo, Pilade, Medea, rispetto ai quali corre in parallelo la confessione autobiografica quale immersione nel subconscio o il tema pi? scoperto dell?uccisione dei padri (si vedano Porcile e Affabulazione). Ma a quale realt? intendeva intenzionarsi Pasolini con l?Orestiade? Teniamoci intanto al positivo di un suo scritto: ?L?Orestiade sintetizza la storia dell?Africa di questi ultimi cento anni: il passaggio cio? quasi brusco e divino, da uno stato ?selvaggio? a uno stato civile e democratico: la serie dei Re, che, nell?atroce ristagnamento secolare di una cultura tribale e preistorica, hanno dominato - a loro volta sotto il dominio di nere Erinni - le terre africane si ? come di colpo spezzata: la Ragione, ha istituito quasi motu proprio istituzioni democratiche. Bisogna aggiungere che il problema veramente scottante e attuale, ora, negli Anni Sessanta - gli Anni del Terzo Mondo e della Negritudine - ? la ?trasformazione delle Erinni in Menadi?: e qui il genio di Eschilo ha tutto prefigurato. Tutte le persone avanzate sono d?accordo [...] sul fatto che la civilt? arcaica - detta superficialmente folclore - non deve essere dimenticata, disprezzata e tradita. Ma deve essere assunta all?interno della civilt? nuova, integrando quest?ultima, e rendendola specifica, concreta, storica. Le terribili e fantastiche divinit? della Preistoria africana devono subire lo stesso processo delle Erinni: devono diventare Eumenidi?. Il trapasso auspicato dal vecchio al nuovo ? reso possibile dall?accettazione dell?ordine delle cose.? ? un fatto inconsueto in Pasolini. In lui, l?opzione naturale aveva sempre guidato a una affermazione della vitalit?, a tratti antecedente la storia e la stessa vita e vertebrante comunque una poetica del viscerale e dell?oscuro. La visione degli alberi ingrovigliati nel vento, simbolizzanti le Furie, torna a riprova di questo penchant. Certo, il rapporto primario resta quello tra il linguaggio e le pulsioni profonde. Stavolta per?, a tanti anni di distanza dal decennio delle Ceneri, Pasolini accetta con gli Appunti il percorso non gi? ai margini o al di l? della storia, ma dentro la storia stessa. E tutto questo senza assottigliare le dimensioni della frattura e senza mai ridurre il carattere di dramma e di trauma del passaggio epocale. Lo scontro-confronto ? tra i valori primordiali che giungono dalla tradizione e la ?ratio? progressiva della nuova citt? dell?uomo. Il conflitto ustionante tra Furie e mondo moderno non pu? che concludersi con il sopravvento di quest?ultimo, sul piano di una sintesi che incorpora le prime nella democrazia razionale del nuovo stato.? ? sconcertante come tale posizione di Pasolini, ovviamente poetica, diverga nettamente dalle altre espresse nello stesso giro d?anni. La possibilit? di immettersi e sopravvivere nella storia borghese ? infatti denegata tanto in Pilade che in Teorema e Porcile. E per avvicinarci al periodo in cui vennero realizzati gli Appunti sull?Orestiade, essa contrasta radicalmente con i quasi contemporanei Medea e Ostia (anche se per quest?ultimo deve aversi in conto l?anarchismo aurorale e pessimistico di Sergio Citti, che ne fu il regista). Ma in particolare in Medea l?antagonismo tra il furore primitivo e la regola della civilt? corinzia ? cos? irriducibile da deflagrare in tragedia. A suo tempo, Pasolini motiv? questi differenti punti di vista argomentando che nel caso degli Appunti veniva a prevalere l?oggettivit?, donde l?esigenza di guardare alla storia comune, mentre per Medea era essenziale il soggettivo, con ci? affermandosi il diritto a un proprio privato dolore. Tutto vero: ma per parte nostra terremmo presente la tendenza gi? tante volte esplicitata alla contraddizione come figura di pensiero e di linguaggio. Osserva del resto Pasolini: ?Se uno calcolasse i suoi atti come forniti di ?efficacia dialettica?, certamente ?dialettico? non lo sarebbe mai. Le contraddizioni alla realt? sono cieche, continue, amorfe, indecifrabili, stupide e carismatiche come la realt?. In quel processo appunto dialettico che esse producono, le diverse falde si distinguono e poi dopo si attirano sino a dare un intrico da vertigine: un capogiro che viene dal rifiuto di quanto in precedenza era stato anche violentemente e polemicamente affermato.? Il contraddirsi ? atto pasoliniano per eccellenza. Resta in ogni caso, in Appunti per un?Orestiade africana, un?attitudine fiduciosa e ottimistica che si afferma nella proiezione su Terzo Mondo e Africa dello stilismo classico. In effetti, la suggestione del testo eschileo, quando funzionante come in Pasolini sul versante dell?attualit?, ? cos? forte da rifrangersi nella struttura. La non sottaciuta qualificazione del coro ? rintracciabile nelle danze e nei canti; l?antefatto, che nella tragedia greca non viene rappresentato bens? raccontato da un messaggero o da un corifeo, ? esposto in spezzoni di repertorio che documentano le atrocit? delle guerre tribali e neo-coloniali. In generale, per?, tutto il materiale filmico, sottoposto al dilemma del come potesse girarsi un?Orestiade, si strina nell?incontro tra mito e storia, tra le regole del testo classico e la limpidit? di una struttura aperta che, con il suo libero divenire, attesta a fondo l?inventiva e la felicit? dello sperimentalismo pasoliniano.? Ma sul problema del come costruire filmicamente l?Orestiade (che ? poi il problema di come riscrivere, in senso progressivo, il mito d?Oreste e di Clitennestra nella mutata realt? africana), si perimetra alla fine la struttura del film montato sugli ?appunti? pasoliniani. Ma com?? strutturata quest?opera? C?? per intanto la parte vera e propria del viaggio. Lo sguardo invaso dalle pianure e dalle grandi foreste si appanna e intristisce di fronte alla scoperta dell?eredit? coloniale nelle citt? e nelle scuole (l?utopia de Il padre selvaggio sembra lontana per sempre). Le emozioni sotterranee e rabbrividenti e la delusione di ritrovare parti camuffate dell?Europa stanno per? dentro la particolare emulsione espressiva degli Appunti: che ? quella concreta del punto di vista poetico del film, l?attesa di futuro, ragionato e sofferto nel contrasto tra presente e passato.? Del resto, ? dal respiro dell?Africa nera che arriva a Pasolini l?idea di ambientarvi un?Orestiade contemporanea. Per questo il regista pu? riprendervi i luoghi e i volti alla ricerca del suo Oreste e del suo Agamennone, di Cassandra e di Clitennestra. La citt? di Kampala, nelle sue immaginazioni e nel favoleggiare che il film concretamente fa, potrebbe essere Atene; l?universit? di Dar Es Salaam, in Tanganika, simboleggiare a sua volta il sacrario di Apollo. La gremitezza del taccuino d?appunti dell?intellettuale d?eccezione, quegli che ragiona su sfruttamento e alienazione, su omologazione e progresso, cede il posto agli slarghi abbaglianti d?intensit?: l?orticello prefigurante la tomba; gli alberi; le nebbie in lontananza; l?indistinto del mito raccolto in un?uguale indistinzione, quella straordinaria dei paesaggi continentali.? Non c?? soltanto la facilit? nel registrare i volti e i dettagli. Esercitandosi liberamente sugli ?elementari? del suo cinema e della sua poetica, senza sovrammesse preoccupazioni, Pasolini raggiunge per incanto un livello poetico, la cui eccezionalit? ? in tutto pari al carattere libero e sperimentale della sua scrittura. Come dire che la folgorazione poetica sopravviene naturalmente, senza predeterminazione. Quando invece l?ipotesi del film da fare ? versata in uno schema pregresso, ancorch? aperto - si pensi alla parentesi con Gato Barbieri, Savage e la Murray, pi? interessante sul piano musicale e anche cinematografico - il tono d?insieme suona lievemente di una non necessaria prosaicit?.? Comunque pi? efficaci, rispetto a questa sequenza, i due momenti in cui Pasolini sospende la proiezione dei suoi spezzoni per discuterne con studenti africani residenti a Roma. Anche qui esplode il contrasto tra il furore messianico dello scrittore-regista e la mediet? dei suoi interlocutori. L?idealizzazione dell?Africa, sentita nella sua unit? del passato da mantenere e del futuro da costruire, viene travisata dagli studenti: percepita come qualcosa di cui adontarsi o vergognarsi, e comunque da respingere. Il dramma latente ? che la tensione ideale e poetica di Pasolini non sfiora pi? di tanto quelli che nella realt? dovrebbero incarnarne salvificamente il progetto.? ? come se ?il sogno di una cosa? si intingesse delle rughe della sua inattualit?. Va da s? che il film ne acquisti in ricchezza: sul suo spettro stilistico cade il richiamo della storia vera, quel che in altri termini gli studenti dicono e ripetono a Pasolini. Il quale per? non si d? la cura di assecondarli. In fondo, nel suo imposto poetico ? sempre una diversit? essenziale a consentire il recupero dell?utopia e della speranza. Analogicamente ai borgatari di Accattone e de La ricotta, alle plebi sottoproletarie de Il Vangelo, alle ?coscienze infelici? di Edipo re, di Porcile, di Affabulazione, l?Oreste intravisto e immaginato nel film da fare ? in tutto umanato di negritudine, e non soltanto nel senso che ? di pelle scura. L?istanza di futuro arriva agli europei dall?Africa; e l?Africa ? la diversit?, l?alterit?, la fiducia da riconquistare. ?Una nuova nazione ? nata, i suoi problemi non si risolvono, si vivono... Il futuro di un popolo ? nella sua ansia di futuro, e la sua ansia ? una grande pazienza?. ? il commento che chiude il film, col canto struggente ed epico della Rivoluzione russa.? Resta da dire che Appunti per un?Orestiade africana, prodotto da Rai-Tv dietro intervento e mallevadoria di Angelo Roman?, non ? mai stato mandato in onda dagli illuminati dell?azienda perch? non gradito.? [Gualtiero De Santi - Cineforum n. 222] --------------------- |
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