I ricordi - Sommario

"Pagine corsare"
I ricordi

 "Stampa sera"
del 3 novembre 1975
Intervista a Pasolini (stralcio)
di Furio Colombo

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[...] Il 1° novembre [1975, Pasolini] si alza tardi come al solito e fa colazione in casa con la madre, Graziella Chiarcossi e Nico Naldini; alla fine del pranzo arrivano Laura Betti e Ninetto Davoli. [...] Alle quattro arriva Furio Colombo per l'intervista e si trattiene fino alle sei. Il titolo dell'intervista lo suggerisce Pasolini stesso, Siamo tutti in pericolo. [...]
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FURIO COLOMBO: Pasolini, tu hai dato, nei tuoi articoli e nei tuoi scritti, molte versioni di ciò che detesti. Hai aperto una lotta, da solo, contro tante cose, istituzioni, persuasioni, persone, poteri. Per rendere meno complicato il discorso io dirò "la situazione", e tu sai che intendo parlare della scena contro cui in generale ti batti. Ora ti faccio questa obiezione. La situazione, con tutti i mali che tu dici, contiene tutto ciò che ti consente di essere Pasolini. Voglio dire: tuo è il merito e il talento. Ma gli strumenti? Gli strumenti sono della situazione. Editoria, cinema, organizzazione, persino gli oggetti. Mettiamo che il tuo sia un pensiero magico. Fai un gesto e tutto scompare. Tutto ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti solo e senza mezzi? Intendo mezzi espressivi. Intendo…

PASOLINI: Si, ho capito. Ma io non solo lo tento, quel pensiero magico, ma ci credo. Non in senso medianico. Ma perché so che battendo sempre sullo stesso chiodo può persino crollare una casa. Un esempio ce lo dà la storia. Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto, per funzionare, deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, "assurdo", non di buon senso. Eichmann* caro mio, aveva una quantità di buon senso. Che cosa gli è mancato? Gli è mancato di dire no su, in cima, al principio, quando quel che faceva era solo ordinaria amministrazione, burocrazia. Magari avrà anche detto agli amici: a me quell’Himmler** non mi piace mica tanto. Avrà mormorato, come si mormora nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno e alla televisione. Oppure si sarà anche ribellato perché questo o quel treno si fermava una volta al giorno per i bisogni e il pane e acqua dei deportati, quando sarebbero state più funzionali o più economiche due fermate. Ma non ha mai inceppato la macchina.

(…)

F.C.: Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente, abolisci tutto. Ma tu vivi di libri, e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo popolare, cioè sei "consumato" avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleocattolico e neocinese, che cosa ti resta?

P.: A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi d raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né i consigli di amministrazione, né la spranga per depredarci. Vedi, nel mondo che molti di noi sognavano c’era il padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht, insomma.

* membro del partito nazionalsocialista e ufficiale delle SS.
** membro del partito nazionalsocialista, capo delle SS.










 


I ricordi - "Stampa sera" del 3 novembre 1975

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