I ricordi - Sommario

"Pagine corsare"
I ricordi
 

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Nell'articolo di fondo dell'"Unità" il direttore, Luca Pavolini, ricordò la figura di Pasolini; il quotidiano pubblicò tra l'altro un significativo intervento di Paolo Volponi e le parole accorate di Ninetto Davoli
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.La vita e la violenza
(fondo del direttore)
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La fine atroce di Pier Paolo Pasolini priva la cultura italiana di un alto ingegno critico e il movimento democratico di un vero militante, animato da una intensa passione civile. Crediamo di essere nel vero se diciamo che la notizia della sua morte ha colpito in modo sconvolgente la mente di ognuno, suscitando riflessioni che toccano direttamente proprio i temi, i problemi di cui egli da sempre ha dedicato la sua travagliata fatica di artista e di studioso. 
Vi è una coincidenza tragicamente coerente tra la ricerca nella quale Pasolini ha impegnato, nelle diverse fasi di una molteplice attività creativa, la sua intelligenza e il suo sforzo conoscitivo, e il dramma personale della sua esistenza, e oggi, della sua morte. 
La “vita violenta”, di cui egli ha indagato con profonda vivacità intellettuale forse senza uguali nel nostro Paese, è divenuta ora causa terribile della sua scomparsa. Quasi che egli avesse teso a cercare questo epilogo. Per cui le parole delle sue poesie, dei suoi libri, dei suoi articoli, le immagini dei suoi film acquistano adesso una dimensione nuova, il suo teorema trova una crudele dimostrazione. 
È stato fino all’ultimo un nostro interlocutore attento, interessato, aspro, senza concessioni. Nelle tante discussioni intrecciate con lui, abbiamo avuto certamente spesso ragione e qualche volta, altrettanto certamente, torto. Era facile “avere ragione” contro Pasolini, richiamarlo alla concretezza storica dinanzi ai suoi paradossi, alle sue forzature che talora sembrava volessero evadere dalla storia. Ma abbiamo avuto indubbiamente torto quando, al di là dei paradossi e delle forzature, non abbiamo saputo cogliere quella prospettiva di verità che egli tentava di trasmettere, e che soffriva nella propria stessa esistenza. 
Era un uomo profondamente inserito nelle tensioni del mondo contemporaneo. La sua dura denuncia delle devastazioni introdotte nell’animo popolare e degli strati sottoproletari dall’ingiustizia e dai valori negativi di un sistema aberrante, avevano fatto di lui l’obiettivo di campagne indegne, di linciaggi vergognosi. I fascisti l’hanno sempre odiato, egli è stato il simbolo di tutto ciò che essi più avversano, la civiltà, la cultura, l’inquietudine della ricerca. Per gli stessi motivi, è al movimento operaio, al Partito comunista che Pasolini ha guardato con partecipazione dialettica. In ogni momento decisivo, egli è stato presente, è stato dalla parte giusta. 
La sua morte è una tragedia di questa società. .
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.Con civile coscienza 
di fronte allo “scandalo” 
di PaoloVolponi

«Su tutto è sempre prevalsa l’idea, disperata ma rassegnata, che la propria vita si fosse rimpicciolita: ma che comunque fosse aumentato il piacere di vivere in ragione della materiale diminuzione del futuro». Sono le parole con le quali Pier Paolo Pasolini chiuse il risvolto del suo libro di poesie Trasumanar e organizzar
Il suo volo dunque è stato interrotto: la sua ansia si è placata soltanto quando la bocca gli si è riempita di terra mentre i suoi occhi si smarrivano davanti a quell’ultimo paesaggio dolorosamente suo. La sua morte non si stacca dalla sua vita com’è per i profeti. E noi dobbiamo accettarne sino in fondo lo scandalo più che con pietà con civile coscienza, perché non venga rimossa e poi affidata alla leggenda più che alla storia. 
Pasolini è un grande poeta, è un grande maestro per tutta la nostra  cultura. Egli ha accettato di vivere senza requie, con la caparbietà di insegnare sempre, tanto da mostrare senza riserve le sue stesse contraddizioni per indicarne la connessione con quelle ben diversamente aggrovigliate e colpevoli della società e della cultura del nostro Paese. 
Nel dolore cocente dobbiamo tenerci stretti al senso completo del suo insegnamento, alla forza delle alle opere, con la lettura e con il confronto storico, senza indulgenza e anche senza gli accomodamenti delle  mediazioni del sistema, anche letterario. Le sue contraddizioni e le sue incertezze si dissolveranno insieme col suo timido sorriso infantile e ci resterà una pagina civile e poetica da farci sentire degni della nostra storia più alta  anche  in  questo  doloroso tempo. 
L’immagine più bella di Pasolini è quella dell’umile Italia, del popolo innocente e percosso,  affamato di storia. In questa immagine, vera tanto culturalmente che storicamente, possono essere ritrovate le virtù delle lotte civili più valide di questi ultimi anni. Pasolini ha messo un segno importante tra Paese e istituzioni, tra culture e cultura,  tra natura e storia, tra storia e dolore con una ricerca poetica che ha riqualificato in senso civile la nostra letteratura. 
La sua poesia è popolare perché anche quando la sua voce si leva sola sembra sempre alzarsi da un coro, che appare vivente dietro pronto a riprenderla. 
Il lavoro di scrittore e di regista di Pasolini allarga ancora la posizione innocente quasi naturale di un popolo che trepidi nell’attesa, che al margine vigila e anche sconta la repressione barbarica e brutale. 
Lo stesso cattolicesimo di Pasolini ha queste implicazioni popolari: conservato da lui come patrimonio prezioso da riscoprire e liberare grado a grado nella consapevolezza delle sue insufficienze anche se  nel rimpianto della sua incantata bellezza. Pasolini si è ostinato con uno spirito di provocazione del tutto infantile a trattenere questa immagine materna di grande natura popolare anche con-tro le certezze ormai possibili della ragione, ma soprattutto mirando contro la corruzione insensata che in nome del razionale è stata diffusa dal potere istituito. Una tecnocrazia oligarchica di quelle che proprio  oggi  vengono  auspicate, che non mette in discussione alcun potere non è certo migliore del prolungamento seppure indulgente di uno stato di lunga maturazione culturale prima dell’intervento politico. 
Non sono nate la fame di storia del popolo e la sua odierna capacità di egemonizzare la nostra cultura anche dall’aver assunto coscienza di tante di quelle virtù ancestrali o delle umili  tradizioni che adesso sembrano inutili? Pasolini denunciava l’ansia che la rivoluzione potesse davvero avvenire come conquista, come un grande risultato critico ottenuto dal basso e non solo come il semplice impossessarsi del  potere da parte delle classi oppresse. Ma nessuno di noi, specialmente oggi, può aggiungere qualcosa a Pasolini: la sua completezza e la sua coerenza stanno nello strazio stesso del suo corpo. 
Questo tragico sperpero di una vita è così largo che scopre anche tutte le colpe della nostra società e anche quelle celate in ciascuno di noi, anche perché le cose (quelle misere viste alla Tv:  il paesaggio, le facce, gli accenti) possono mostrare   “... il dolore che è nella schiena della bestia che fugge”. 
Proprio la generazione “sfortunata” giovane oggi è quella che perde di più con la scomparsa di Pasolini..

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E' passato da poco mezzogiorno quando Ninetto Davoli arriva in via Eufrate all'Eur e infila il portone del palazzo dove abita la famiglia di Pasolini. L'attore ritorna dall'idroscalo di Ostia dove, poche ore prima, è stato ritrovato il cadavere del regista. E' stato lui l'ultimo degli amici che l'hanno visto sabato sera, ed è toccato a lui, stamane, riconoscere nel povero viso sfigurato i lineamenti di Pasolini - 
Davoli ha ancora gli occhi rossi, si stringe nell'impermeabile, cerca di raccontare quanto è successo: 
«Stamattina presto - dice - mi ha telefonato la cugina di Pier Paolo, Graziella, che vive con lui e con la madre. Era preoccupata. Mi ha detto che i carabinieri avevano trovato l'automobile rubata a Paolo, ed erano venuti a casa sua alle due di mattina. Ma che di Paolo ancora non si sapeva nulla. 
Mi sono precipitato qui, e poi sono andato subito dai carabinieri. Ho chiesto informazioni, notizie, ma nessuno mi ha saputo dire niente. Poi ho sentito che avevano trovato un cadavere a Ostia. Dicevano che non poteva essere quello di Pasolini. Neanche io ci volevo credere, ma ho convinto i carabinieri ad accompagnarmi sul posto. Volevo  vedere, accertarmi...». 
Davoli è circondato dai giornalisti  che  arrivano uno dietro l'altro. Continua il suo racconto: «Ad Ostia mi sono prima fatto portare all'automobile, quella rubata. Quando ho visto che dentro c'erano gli occhiali, ho capito che era successo qualcosa a Paolo; non si separava mai dai suoi occhiali. Poi, quando siamo arrivati all'idroscalo l'ho riconosciuto». 
Qualcuno gli chiede particolari sul riconoscimento, ma Davoli non vuole parlarne. «Che vi devo dire? E' una cosa atroce. Non riesco a capire come si possa passare avanti e indietro, con un'auto, sul corpo di un uomo». 
L'attore  racconta  che spesso Pasolini riceveva telefonate anonime di minaccia, e che periodicamente era costretto a cambiare il numero di telefono. Veniva anche insultato, aggredito per strada, e che lui aveva dovuto difenderlo più di una volta. «Ma quella che ha ucciso Paolo è una violenza diversa, assurda. E pensare che proprio ieri - continua Davoli - siamo andati a cena insieme, a San Lorenzo. Eravamo soltanto lui, io, mia moglie e i miei figli. Abbiamo parlato un po' di tutto; del lavoro, di una sceneggiatura che gli avevo dato e anche delle polemiche che avevano suscitato i suoi ultimi articoli. Paolo era normale, ma sembrava triste, amareggiato, ripeteva quello che ha detto e scritto negli ultimi tempi. Arrivando alla trattoria, mi ha detto di aver camminato a testa bassa, per non guardare la gente, quasi ne avesse paura. Siamo stati insieme un'oretta, poi se n'è andato, ha detto che aveva da fare, che andava a leggere la mia sceneggiatura. Mi avrebbe dovuto telefonare questa mattina». 
Il racconto di Ninetto Davoli si ferma qui. L'attore si dirige in fretta verso l'ingresso di via Eufrate 9, al quale il portiere fa avvicinare solo gli amici stretti. Qualcuno gli chiede un giudizio, un'impressione  su  Pasolini: «Non ci sono parole - risponde Davoli - per me non era solo un regista, era un amico,  l'uomo più buono che abbia conosciuto». 
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I ricordi - L'"Unità" del 3 novembre 1975

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