L'ideologia - Sommario

.Pier Paolo Pasolini
L'ideologia
.
Pasolini e il '68
Trent'anni dopo: un commento di Giuliano Ferrara...
... e la risposta di Enzo Siciliano

GIULIANO FERRARA
"Pier Paolo Pasolini come fu astuto..."
di L. V.
La Repubblica, 1 marzo 1998

Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, nel marzo del 1968 aveva diciassette anni. Era iscritto al secondo liceo classico e la mattina di Valle Giulia, con altri compagni di scuola, aveva partecipato al corteo di protesta contro la polizia che presidiava l'universit? di Roma.

"No, nessuna nostalgia. E nessuna lettura particolare di quegli avvenimenti. Niente di tutto quello che riguarda il '68 ha il valore che gli si ? poi attribuito in occasione del decennale, del ventennale, del trentennale e, ne sono certo, anche di quello che si dir? nel quarantennale. Certo Valle Giulia rappresent? un fatto nuovo. Ricordo, all'inizio, il tiro di qualche uovo e, forse, di qualche sasso. Poi le cariche della polizia. E la nostra reazione. Era la prima volta.

"Gli edili e i contadini, ? vero, si scontravano con la polizia da vent'anni. Ma gli studenti introducevano nella politica un improvviso elemento di radicalizzazione. La politica abbandonava l'andamento tranquillo del tempo di pace, per prenderne uno simile a quello della guerra.

"La stessa presa di posizione di Pasolini, del resto, non nasceva da un sentimento di solidariet? con i poliziotti. In quella condanna degli studenti non c'era nessuna poetica. Pasolini, semplicemente, aveva visto quel che succedeva in Francia dove i giovani davano delle vecchie barbe all'intellighentia di sinistra. E, in modo astuto, cercava di contrastare una generazione ambiziosa che gli avrebbe tolto spazio.

"Al di l? di Valle Giulia quel movimento non pu? essere spiegato con una visione da intellettuali di provincia, angusta e molto poco internazionale. Il Sessantotto era un fenomeno che coinvolgeva tutto il mondo, da Roma a Berlino, da San Francisco a Madrid: la manifestazione di una nuova classe dirigente che si sentiva stretta nei vecchi panni. Eravamo i primi della classe; mica, sia detto senza offesa, come gli straccioni del '77".

www.media68.com
febbraio 1998

* * *

ENZO SICILIANO
Pasolini e il '68 di Ferrara
La Repubblica, 2 marzo 1998

Interrogato sul '68, sugli scontri di Valle Giulia fra studenti e polizia, Giuliano Ferrara ha ricordato non solo se stesso ("eravamo i primi della classe"), ha ricordato anche Pasolini e la sua poesia contro gli studenti.

"La presa di posizione di Pasolini non nasceva da un sentimento di solidariet? con i poliziotti": Pasolini, secondo Ferrara, "semplicemente" avrebbe cercato di contrastare "una generazione ambiziosa che gli avrebbe tolto spazio". Un atto di "furbizia" quello di Pasolini, o di resistenza, da "intellettuali di provincia", contro l'emergere di "una nuova classe dirigente".

Mah! Non sto qui a difendere Pasolini. Non credo abbia bisogno di difesa. Mi domando che "primo della classe" ? stato Ferrara. Che lo sia stato, ? vero: posso testimoniarlo perch? lo conosco da allora, e aveva diciassette anni. Ma credo, come ? giusto, che la storia di una persona complichi o cancelli certe sue qualit? originarie.

Se Giuliano era un primo della classe, non era un secchione: era uno che appunto andava a Valle Giulia per fare a botte, avendo magari chiara in mente una pagina della "Repubblica" di Platone. Poteva anche conoscere le assurde tesi di Stalin sulla linguistica e tenerle per buone. I comunisti italiani di quel tempo, anche i giovani comunisti, erano in parte cos?.

Erano comunisti, come scrisse Pasolini, "in modesto doppiopetto, bocciofili, amanti della litote".

Ecco, ? vero, non si pu? dire che Giuliano amasse la litote o la logica attenuativa: questo scarto l'aveva gi? compiuto. E si sentiva, oltre che "primo della classe", "classe dirigente". Per questo and? a Valle Giulia. Benissimo. Lo stesso Pasolini l'avrebbe sottolineato con partecipazione: benissimo.

Ma il nostro primo della classe oggi scalcia: butta Pasolini nella spazzatura, gli d? del provinciale, e lo giudica con il metro di giudizio che ? suo, proprio il suo di ora, e che lo diversifica dall'immagine di un ragazzo andato liberamente a Valle Giulia per una dimostrazione da tenersi sulla scalinata della romana Facolt? di Architettura.

Pasolini, alla luce di questa ottica, ne esce fuori come un furbastro o un malandrino: uno che "semplicemente" mette a ferro e fuoco il giornalismo e le lettere italiane difendendo i poliziotti, "figli dei poveri", contro gli studenti, "figli di pap?" perch? temeva che questi ultimi gli rubassero "spazio".

Il "primo della classe" diciassettenne, che aveva Platone o la Politica di Aristotele in mente, passati gli anni - dopo un transito in Germania, compiuto per raffinarvi da vero borghese la propria informazione filosofica - ormai non vede il mondo se non con le lenti delle furberie di piccolo cabotaggio o delle malandrinate teorizzate alcuni mesi fa. Il malandrinaggio come chiave interpretativa della storia, degli uomini, della cultura.

? servita solo a questo quella generosa, fatidica battaglia combattuta a Valle Giulia una mattina di marzo del '68 con tanto dispendio di orgoglio e buona fede? A questo si sono ridotti quei "primi della classe", quella "classe dirigente" in erba che aveva in animo di mutare politica e morale di un paese intero lanciando sassi contro le camionette della Celere?

So che gli interrogativi retorici servono a poco, ma ? possibile che Ferrara deliberatamente ignori il ragionamento di Pasolini nella sua interezza, composto cio? da "Appunti in versi per una poesia in prosa seguiti da una "Apologia""??
I primi della classe possono essere scavezzacolli, ma pignoli debbono esserlo, pignoli fino allo spasimo.

Comunque, cerco di riassumere quel ragionamento, anche con qualche citazione dall'"Apologia". Pasolini ha voluto deliberatamente provocare gli studenti di allora, "l'ultima generazione degli operai e dei contadini". Pasolini temeva con ragione l'"entropia borghese" ("la borghesia sta diventando la condizione umana"); e aggiungeva che "chi ? nato in questa entropia, non pu? in nessun modo, metafisicamente, esserne fuori". Di qui la provocazione ai giovani, proprio agli studenti ("in che altro modo mettermi in rapporto con loro, se non cos??").

E, questa provocazione, che effetti avrebbe dovuto ottenere? Spingerli a liberarsi - "al di fuori cos? della sociologia come dei classici del marxismo" - del loro essere piccoli borghesi, a diventare "intellettuali", a usare in senso critico, non pi? ideologico o cristallizzante, la propria intelligenza. A liquidare il cinismo metodico del piccolo borghese, per cui tutto ? visto come spicciolo pragmatismo, malandrinata, spazzatura.

Ahim?, il primo della classe Giuliano Ferrara questo strappo, pur con tutti i libri che ha letto, la litote cancellata e il vissuto che ha alle spalle, non l'ha compiuto. Anzi, il non averlo compiuto lo ha tradotto in un valore, per cui ritiene suo diritto giudicare ogni altra esperienza secondo il cinismo e la malandrineria che quel giorno a Valle Giulia avrebbe dovuto calpestare, mai pi? coltivare, prigioniero ancora di una ontologia da cui il "provinciale" Pasolini lo provocava a liberarsi.

da www.media68.com
febbraio 1998
[Vedi anche le mie riflessioni sulla famosa poesia pasoliniana, comunemente definito "il testo contro gli studenti". A.M.]
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IDEOLOGIA
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