Pier Paolo Pasolini
L'ideologia
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"Canti politici e sociali".
Per i morti di Reggio Emilia
[collegato a: 1960. I morti di Reggio Emilia]
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di Fausto Amodei
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Compagno cittadino fratello partigiano?
teniamoci per mano in questi giorni tristi?
di nuovo a Reggio Emilia di nuovo l? in Sicilia?
son morti dei compagni per colpa dei fascisti?
di nuovo come un tempo sopra l?Italia intera
urla il vento e soffia la bufera?
A diciannove anni ? morto Ovidio Franchi?
per quelli che son stanchi o sono ancora incerti?
Lauro Farioli ? morto per riparare il torto?
di chi si ? gi? scordato di Duccio Galimberti?
son morti sui vent?anni per il nostro domani?
son morti come vecchi partigiani?
Marino Serri ? morto, ? morto Afro Tondelli?
ma gli occhi dei fratelli si son tenuti asciutti?
compagni sia ben chiaro che questo sangue amaro?
versato a Reggio Emilia ? sangue di noi tutti?
sangue del nostro sangue nervi dei nostri nervi?
come fu quello dei fratelli Cervi?
Il solo vero amico che abbiamo al fianco adesso?
? sempre quello stesso che fu con noi in montagna?
ed il nemico attuale ? sempre ancora eguale?
a quel che combattemmo sui nostri monti e in Spagna?
uguale ? la canzone che abbiamo da cantare?
scarpe rotte eppur bisogna andare?
Compagno Ovidio Franchi, compagno Afro Tondelli?
e voi Marino Serri, Reverberi e Farioli?
dovremo tutti quanti aver d?ora in avanti?
voialtri al nostro fianco per non sentirci soli?
morti di Reggio Emilia uscite dalla fossa?
fuori a cantar con noi bandiera rossa.?
[il file midi che ascolti ? stato prodotto da Battista Zotti]
Il tempo, con passo di lupo, ci ha rubato le nostre canzoni. Non erano tante: un pugno di versi, spesso rabbiosi e tristi, ironici e disperati, un?isola da difendere a voce nuda contro il gran mare lagnoso della "musica leggera" e dei megawatt elettronici sempre pronto a sommergerla. E non erano neppure tanto belle, ammettiamolo: forse il vaglio estetico pi? severo non ne salverebbe che un dieci, un cinque per cento. Ma erano nostre: dicevano le cose che noi volevamo dire, parlavano con la voce che noi volevamo sentire, cantavano la nostra speranza e la nostra giovinezza.?
Poi, come sempre accade, "le cose" sono cambiate; sono cambiati i nomi, gli aggettivi, gli avverbi; sono cambiati i ruoli e le persone. Le bandiere pi? nobili si sono spiegazzate, afflosciate, sono cadute a terra; ? caduto il "vento rosso" che le gonfiava. I nostri figli, i nostri nipoti, non ne vogliono pi? sapere, non le capiscono neppure: hanno altro per la testa, nelle orecchie, nelle cuffie - le considerano impossibili. Allora, vuol dire che tutto ? perduto? Pu? darsi: ma quando tutto ? perduto, come si suoi dire, ? anche la volta che tutto ricomincia, riprende significato e dimensione. [?
]?
Queste nostre canzoni, a dire il vero, non ebbero mai un grande successo: stavano troppo fuori della norma di mercato. Come vogliamo chiamarle: magari le "everreds", le semprerosse? Lasciamole senza nome e dedichiamole anche a chi non le volle mai nemmeno ascoltare, o le osteggi? con durezza implacabile perch? le sentiva "diverse". E infatti lo erano, diverse: non cercavano di vendersi al miglior offerente, ma (addirittura!) di cambiare la nostra vita e la faccia del mondo. E accaduto invece (anche questo ? gi? stato detto) che la vita ha cambiato noi: ma forse, non tanto da impedirci di provare, voltandoci indietro, qualcosa come un vago rimorso.?
Michele Straniero, Cento canti politici & sociali, Gammalibri, Milano 1984
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