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Saggistica Il caso Pasolini
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Perché realizzare un’opera, quando è così bello sognarla soltanto? Pier Paolo Pasolini, "Decameron" (1970-71)
P.P.P.: Da bambino mi divertivo a modificare la fine delle storie; creavo così un nuovo racconto che, pur in un epilogo diverso, manteneva la struttura dell’originale. Così facendo, mi dava estrema soddisfazione manipolare un’opera universalmente approvata. Questa metodologia creativa l’attuavo tutte le volte che non volevo soffrire; era per me, un meccanismo di difesa, di rimozione: riversavo su un oggetto similare quelle attenzioni che non potevo riversareIl testo teatrale continua con il medesimo afflato poetico, ricco di sensazioni e di sentimenti mai sopiti, in un gioco teatrale ad intreccio, così come un groviglio di intenti un intreccio di colpe hanno portato il Poeta alla morte per … “ordine di Stato”! “Il percorso evolutivo, umano e intellettuale, di Pier Paolo Pasolini è segnato fin dall’inizio da una visione antitetica dell’autorità. La vita stessa gli “impone” uno schieramento preciso, ovvero un rifiuto netto e sempre più raffinatamente articolato nei confronti di tutto ciò che obbliga, che pretende, che opprime la volontà individuale. La contrapposizione al potere è al centro della sua stessa esistenza, che lo vede fin da piccolo schiacciato dalla presenza castrante del padre. Carlo Alberto Pasolini è infatti un ufficiale fascista, il che è di per sé sufficiente a fargli incarnare un ruolo insopportabile per Pier Paolo bambino, dotato di spiccata sensibilità e di un’innata propensione a coltivare la propria individualità. L’autoritarismo del padre è presente nel pubblico come nel privato: alcolista, dedito al gioco d’azzardo, maltratta la madre: «Quelle scenate hanno fatto nascere in me il desiderio di morire […]. È statoIl terribile teatro della vittima e del carnefice grava sull’infanzia di Pasolini e gli impone di non rimanere spettatore e di farsi attore. Il bambino allora prende posizione, si schiera con il debole e contro l’oppressore. Non è una contrapposizione ingenua, ma la scelta coraggiosa di non chiudere gli occhi di fronte al dolore, per quanto gli è possibile. Questa scelta si evolve, divenendo la tematica di fondo di una ricerca spirituale e intellettuale che lo porta a guardarsi intorno con quella costante vis polemica di cui egli stesso patirà più volte le conseguenze, fino al tragico epilogo della sua esistenza. C’è da chiedersi quanto si tratti veramente di una scelta. L’opera di Pasolini sembra tracciare un’autobiografia dello spirito in qualche modo dettata da un fato ineluttabile: «…eravamo grandi nemici, ma la nostra inimicizia faceva parte del destino, era fuori di noi».La sua ricerca intellettuale chiede una spiegazione a quell’istinto viscerale, incontrollabile, che muove i suoi passi oltre la ragione. E nella tragedia greca trova la negazione di ogni motivo: l’esistenza si muove lungo fili poco sensibili alla volontà umana. L’odio non è una scelta, ma un prezzo inevitabile di quel groviglio di passioni cui la sua sensibilità non gli permette di sottrarsi. È infatti l’amore eccessivo per la madre che alimenta il sentimento di astio nei confronti del padre. La partecipazione alla posizione del debole gli suscita un’incontrollata urgenza di frapporsi al potente. Egli è Pilade, l’incarnazione del rifiuto del potere: una scelta morale e al contempo una spinta ingovernabile. I suoi passi sono mossi da passioni, note e nascoste, oltre il limite imposto, per cui Pasolini indossa, per volontà e per costrizione al contempo, l’abito della diversità. Non si può aderire, non ci si può conformare. Occorre sfidare, combattere, in altre parole tradire quell’autorità che, come un demone invincibile, si incarna di volta in volta in una figura specifica, in un personaggio o in un’istituzione. Pasolini è consapevole di questo tradimento, e lo paga prendendo su di sé il peso della colpa: «I figli che non si liberano dalle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità. Sarebbe troppo facile e, in senso storico e politico, immorale, che i figli fossero giustificati – in ciò che c’è in loro di brutto, repellente, disumano – dal fatto che i padri hanno sbagliato. L’eredità paterna negativa li può giustificare per una metà, ma dell’altra metà sono responsabili loro stessi. Non ci sono figli innocenti. Tieste è colpevole, ma anche i suoi figli lo sono. Ed è giusto che siano puniti anche per quella metà di colpa altrui di cui non sono stati capaci di liberarsi».Se nella tragedia greca cerca le trame del proprio dolore e le radici di passioni sovrastanti, è nella rappresentazione sacra del cristianesimo che anela a una catarsi, all’espiazione della propria struggente umanità. L’espiazione è nella ricerca stessa, scaturita da una profonda sensibilità e fonte a sua volta di una sensibilità comprensiva: l’odio non è cieco, ma accompagnato, stemperato, in ultima analisi lenito da un occhio compassionevole: «Questo del fascismo è un alibi, con cui pure giustifico il mio odio, ingiusto, per quel povero uomo: e devo dire tuttavia ch’è un odio, orrendamente misto a compassione».La ferita dell’infanzia risveglia i demoni dell’odio, ma come l’intelligenza asservisce i demoni ad aspirazioni di libertà, propria e altrui, così un amore innocente, incontaminato, getta sui demoni una luce diversa, rivelandoli come fantasmi di bisogni perduti. Al padre, Pasolini dedica la raccolta scritta in dialetto friulano Poesie a Casarsa. La scelta del dialetto si configura come un gesto di sfida. Il padre, infatti, non aveva alcuna stima per il friulano, in linea con il disprezzo per il dialetto che mostrava il fascismo. La ‘riconciliazione’ non avviene nel territorio del padre, ma in quello del figlio, come se rappresentasse anche una dichiarazione di emancipazione. E, insieme, con il dialetto friulano Pasolini dà voce alla ‘vittima’, alla madre, esprimendo un amore più volte dichiarato nelle sue opere: «La sua “presenza” fisica, il suo modo di essere, di parlare, la sua discrezione e la sua dolcezza soggiogarono tutta la mia infanzia».In questa presenza c’è l’ossimoro di una benedizione che è insieme dannazione.” Anche la dolcezza ha un prezzo, anche la bellezza è, in ultima analisi, un vincolo: «È difficile dire con parole di figlioPasolini rivela dunque come le sue due più grandi passioni, cioè l’amore per la madre che salvaguarderà da qualsiasi altra contaminazione con il genere femminile e l’odio per il padre, ostacolino il suo desiderio di emancipazione. «Solo col distacco dalla madre può esserci una crescita. Solo con il perdono per il padre può esserci pace.»Questa è la tesi di Maria Laura Gargiulo, sostenuta nel libro Pasolini e le ragioni del dissenso.
https://pierpaolopasolini.eu/saggistica_petroliodellestragi_DElia.htm Sul fatto che Pelosi non fosse solo - quella famosa notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 - non dovrebbero esserci altri dubbi, e quindi ben venga un ulteriore accertamento sulla presenza di altre persone in quella tragica notte: in questi ultimi tempi Pelosi ha parlato ancora e stavolta ha fatto anche alcuni nomi... Ma che si tratti di complotto... beh, non mi sono fatta ancora un'opinione precisa, anche dopo aver letto i due libri citati. Mi auguro tu possa trovare qualche minuto del tuo tempo per potermi trasmettere le tue impressioni, te ne sarei veramente grata. - è vero che negli Appunti di Petrolio tra il 20 e il 30 Pasolini parla della faccenda Eni, in particolare di Cefis/Troya e delle sue spericolate imprese finanziarie lecite e illecite; e chiama in causa citandoli esplicitamente Andreotti e Fanfani...» Che ne pensa Silvio Parrello?«- è vero che il testo dell'Appunto 21 "Lampi sull'Eni" è stato evidentemente sottratto (o smarrito): la pagina bianca lo indica e Pasolini in un Appunto successivo cita esplicitamente il contenuto di quel precedente appunto...» Che ne pensa Silvio Parrello?«- è vero che l'accostamento Mattei/Pasolini l'ha fatto per la prima volta il giudice Vincenzo Calia che, a Pavia, ha decretato che la morte di Mattei fosse ascrivibile a un attentato e non a un incidente - e ha allegato agli atti della sua inchiesta sulla morte di Mattei una copia di Petrolio...» Che ne pensa Silvio Parrello?«- è vero che Pelosi 'stavolta ha fatto qualche nome (i due fratelli Borsellino) di coloro che effettivamente avrebbero picchiato a sangue Pasolini. Ma su Pelosi... penso che sia stato per tutta la sua vita prevalentemente un grande bugiardo... e poi dei due Borsellino aveva già parlato Sergio Citti...» Che ne pensa Silvio Parrello?«- è vero che rileggendo "Io so" pensando a Cefis pare di individuare un attacco mirato "anche" all'uomo senza scrupoli successore di Mattei...» Che ne pensa Silvio Parrello?«- è vero che Andreotti commentò la morte di Pasolini con la frase "se l'è cercata"...» Che ne pensa Silvio Parrello?«- è vero che quelli erano anni in cui si contavano gambizzati o morti ammazzati tutti i giorni (anche tra i giornalisti) e che contestualmente Pasolini non fu certo un giornalista "addomesticato": pubblicò una serie di articoli che oggettivamente venivano considerati denunce o aperte provocazioni soprattutto al "Palazzo", inteso come potere politico e potere economico...» Che ne pensa Silvio Parrello?«- è vero, è vero, è vero... Vi sono un sacco di altri "è vero" da considerare, compreso il fatto che Laura Betti - che certamente conosceva Pasolini più dei duemilioni di visitatori di www.pasolini.net messi insieme, e che era al corrente anche dei fatti, della vita reale di Pasolini - era largamente schierata con chi teorizzava un complotto; ma Enzo Siciliano, per esempio, non la pensava come lei...» Che ne pensa Silvio Parrello?«Insomma, la Procura di Roma è stata chiamata a riaprire le indagini, il capo dei Ris si è dichiarato disponibile a fare indagini sul Dna dei reperti riguardanti l'assassinio di Pasolini e se non altro si dovrebbero avere conferme che molti di noi attendono: Pelosi non era solo... Ma il complotto?» Che ne pensa Silvio Parrello?«Ecco, se tu potesse scrivere qualcosa su questo "tormentone" che il recentissimo "Profondo nero" ha riportato alla ribalta dell'attualità, ne sarei veramente felice.» Che ne pensa Silvio Parrello di Profondo nero?«Resta chiaro, in ogni caso, per ciò che riguarda Pasolini, che più della sua morte continuerò - continueremo - a parlare delle sue opere, stimolando tutti a conoscere meglio un autore i cui scritti e il cui cinema a mio parere risultano indispensabili per meglio comprendere anche la tristissima realtà dei giorni nostri. (Angela)» Carissima Angela, con il sostegno e la memoria storica sia per ciò che riguarda il quartiere Monteverde, dove Pasolini è vissuto per dieci anni, sia per ciò che riguarda le conoscenze dirette dei fatti, mi è stato di forte aiuto Silvio Parrello, er pecetto, che ora è qui accanto a me come depositario delle verit…à che ora non sono più nascoste. |
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