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Notizie Pelosi torna sul luogo del delitto
Pelosi torna da giardiniere
Pino, il giardiniere. Toglierà le sterpaglie, raccoglierà i rifiuti nel punto in cui fu trovato il cadavere martoriato di Pierpaolo. Sistemerà le targhe, la rete di recinzione dove furono trovati i reperti e le tavole di legno verniciate di verde con le scritte ”Buttinelli“ e “via dell’Idroscalo 9”, che sarebbero state usate per colpire la vittima. Calpesterà la sabbia dove s’impantanò l’Alfa Gt 2000 di Pasolini e sulla quale poi, secondo la ricostruzione dei due carabinieri che lo fermarono sul Lungomare Toscanelli, salì per darsi alla fuga. Il fantasma. Pasolini è tante cose. Intellettuale, regista, scrittore, per alcuni anche un veggente che ha saputo leggere in anticipo il futuro. «Poeta di cui resteremo orfani», profetizzò Moravia. Per Pelosi è qualcos’altro. È il fantasma dell’Idroscalo che entra e esce da una vita intervallata da anni di carcere e da redenzioni. Aveva 17 anni quando si autoaccusò del delitto. Il corpo di Pasolini massacrato di botte il primo novembre del 1975 non era stato ancora trovato. Condannato a nove anni in primo grado, la pena fu in buona sostanza confermata in appello. Sia pure con sentenze molte diverse tra loro. Secondo la prima pronunciata da Alfredo Moro, fratello di Aldo, allora presidente del Tribunale dei minori, Pelosi non agì da solo quella notte ma «in concorso con ignoti». Giudizio rovesciato in secondo grado. L’ultima confessione. Pino ha cambiato e ricambiato la sua ricostruzione dei fatti. L’ultima al Messaggero il 23 luglio scorso quando per la prima volta fece i nomi di chi quella notte era con lui: i fratelli Franco e Giuseppe Borsellino. Due minorenni, entrambi uccisi dalla droga negli anni ’90. Due amici di scorribande e furtarelli che abitavano al Tiburtino, nei palazzi dell’Ina Casa. Tutt’e due arrestati grazie ad un infiltrato dei carabinieri e misteriosamente scarcerati pochi giorni dopo. «Erano impasticcati, organizzarono il complotto a mia insaputa, con altri 3 complici, gente che non avevo mai visto», rivelò Pino. Chiarendo un altro particolare che aveva sempre negato: «Pasolini lo avevo già conosciuto prima di quella sera. Fu lui ad avvicinarmi, non sapevo chi fosse. Scese dalla macchina, entrò nel bar, mi offrì qualcosa da bere. Solo dopo seppi chi era la persona con la quale avevo parlato». Fu così che nacque l’idea Un silenzio italiano. Questa confessione, sia pure a scoppio ritardato, non è bastata a chiarire i tanti punti oscuri di quello che il regista Marco Tullio Giordana ha definito “Un delitto italiano”. Il silenzio è continuato nonostante il Comune di Roma dal 2005 si sia costituito parte civile. E nonostante la lettera consegnata nel 2007 al presidente della Repubblica dall’avvocato di parte civile Nino Marazzita per chiedere la riapertura del caso. Vendetta postuma. L’unico che continua attivamente a interessarsi al caso-Pasolini, insomma - stranamente o fatalmente - è proprio lui, Pino Pelosi. Negli ultimi mesi ha voluto ritrovare tutti i vecchi amici, quelli che quel primo novembre di 33 anni fa erano con lui in piazza dei Cinquecento, alla Stazione Termini, Claudio Seminara, Adolfo De Stefanis, Salvatore Deidda. La sua vita nel frattempo ha assunto ritmi normali. Ha una famiglia, un tetto e grazie alla storica "29 giugno" anche un lavoro. «Pino è con noi da più di due anni, insieme ad altri 300 tra ex detenuti, vittime della tratta, disabili psichici - rivendica il presidente della Cooperativa Salvatore Buzzi -. Purtroppo non sappiamo ancora se il Comune prorogherà il contratto che scade il prossimo 31 ottobre». La pulizia dell’Idroscalo non era prevista, parteciperanno solo volontari. Solo per Pelosi sarà diverso. Espiazione. Vendetta postuma di Pasolini. Pino "la rana" all'Idroscalo: «Tornerò qui per commemorare Pasolini» Pino ieri ha lavorato per un’ora senza mai fermarsi. Il cappello, la visiera, il decespugliatore in mano. Al centro di quello che oggi è un “giardino letterario” c’è un monumento dello scultore Mario Rosati. Una luna, un gabbiano, un volo spezzato a metà come lo fu quello di Pasolini.«Vedi quella rete metallica? Quella notte siamo entrati da lì e abbiamo proseguito con la sua auto per fermarci dove ora c’è il monumento, metro più metro meno. Solo che tutti questi montarozzi che oggi vedi, ieri non c’erano». [...] Appoggiate ai massi, i marmi con le poesie più note di Pasolini. In cielo ogni tanto un volo di aironi che mai ti aspetteresti qui, a un passo di Fiumara grande. Alessandro, volontario della Lipu, spiega : «Dove c’era il campo di calcio - dice - ora c’è un laghetto, una zona umida dove nidificano i cormorani e altre 200 specie di uccelli». Il Parco Pasolini non è un luogo fisico. In posti così può succedere anche che Pelosi incontri Silvio Parrello, detto er Pecetto, protagonista vivente dii uno dei libri più famosi di Pasolini “Ragazzi di vita”. E che il primo reciti un poemetto al secondo. Per la "29 Giugno" la pulizia autunnale del Parco non è una novità. Un omaggio a Pasolini ma anche un modo per segnalare la situazione precaria in cui la Cooperativa da qualche tempo si trova ad operare. Il vice presidente Carlo Guaranì lancia un appello al sindaco Gianni Alemanno. «Siamo in attesa di una proroga del contratto - dice - che scadrà il prossimo 31 ottobre. Il sindaco si è sempre detto sensibile ai problemi del sociale. È arrivato il momento di dimostrarlo». La Cooperativa dà lavoro ad oltre 300 persone, per lo più ex detenuti, persone svantaggiate, disabili. Un primo incontro con l’assessore all’Ambiente Fabio De Lillo non ha dato i risultati sperati. «È un fascia molto sensibile - prosegue Guaranì - se restano a spasso per loro non sarà facile trovare un altro posto. Sono persone che si stanno integrando, qualcuno la sera deve rientrare in carcere. Senza lavoro perderanno anche questa possibilità». Il diario di Pelosi: «Pasolini, mi presi la colpa Riccetti. Pino era un ragazzino esile di 17 anni. Ricordava molto Ninetto Davoli, stessi riccetti. Conobbe Pasolini in modo del tutto occasionale in un bar di Piazza di Cinquecento frequentato da giovani prostituti. Lo scrittore che passava spesso di lì in cerca di avventure, gli offrì qualcosa da bere. I due parlottarono per qualche minuto, poi si salutarono dandosi un appuntamento. «Il giorno dopo Pasolini aveva un impegno, decidemmo allora di vederci il sabato. Lo dissi ai fratelli Franco e Giuseppe Borsellino e furono loro a propormi di “levare qualche soldo a quel signore che ne aveva tanti”. Non m’interessa, grazie, risposi». Pezzo a pezzo si ricompone 33 anni dopo un delitto rimasto nel mistero anche per come vennero condotte le indagini. Impronte non rilevate, reperti trascurati o non utilizzati, tecniche scientifiche approssimative, come mise bene in evidenza la perizia di parte civile di Faustino Durante. Pasolini fu schiacciato dalle ruote dell’Alfa Gt 2000, cadde in un agguato teso da un gang di teppistelli. Resta l’interrogativo sugli altri 3 uomini che secondo il racconto di Pelosi presero parte al pestaggio. Pino ancora oggi dice di non conoscerli. Il ritorno. Pelosi, che oggi ha 50 anni, non ha mai smesso di fare i conti con il proprio passato. Lavora per la Cooperativa "29 Giugno" insieme a molti altri ex detenuti. Ad ogni anniversario, una squadra della cooperativa viene per ripulire dall’erbacce il luogo dove fu ucciso Pasolini e dove è stata eretta una scultura di Rosati. Pelosi ieri ha voluto esserci. E’ tornato all’Idroscalo di Ostia. Scena surreale: tuta da operaio, visiera, stivali, Pino tagliava l’erba intorno alle stele posta nel luogo in cui è caduto Pasolini. Vittima e carnefice di nuovo vicini. «Adesso è cambiato tutto, prima Pasolini lo vedevo con astio. Lui era il martire e io il colpevole. C’è voluto del tempo ma ora mi sono reso conto che siamo martiri tutt’e due». L’infiltrato. Da tempo Pino ha finito di scontare la sua pena: 9 anni, 7 mesi, 10 giorni e 40 mila lire di multa (che non ha mai versato). La sua vita fino a ieri è stata un entrare e uscire dalle patrie galere. In carcere il suo prolungato silenzio lo ha reso famoso e rispettabile. Ma fuori dal carcere è diverso, i valori sono altri. Ed ecco che ora, ora che i due amici d’infanzia sono morti da più dieci anni, Pelosi si è deciso a fare i nomi di Franco e Giuseppe Borsellino. I due fratelli all’epoca del delitto erano minorenni ma già pericolosi e disposti a tutto, come ha testimoniato Renzo Sansone, il carabiniere infiltrato che raccolse una loro confessione e li fece arrestare. Dopo qualche giorno i due ragazzi ritrattarono le confidenze che avevano fatto al carabiniere («ci eravamo vantati del delitto Pasolini solo per darci delle arie») e furono liberati. I due fecero il nome di un terzo complice, Giuseppe Mastini, detto “Johnny lo zingaro”. Il quale, condannato a tre ergastoli, ha sempre negato di aver fatto parte del commando. Anche se qualcuno continua a pensare che il plantare destro 41 trovato nell’auto di Pasolini e ancora conservato al Museo criminale di Roma, possa essere il suo. In quanto a Sansone, qualche anno dopo il carabiniere decise di anticipare il pensionamento. Non è mai stato ascoltato da un giudice. Zio Giuseppe. Tante cose, troppe, restano da definire. Ma di tanto in tanto un lampo di luce si accende. Nel 2005, a ”Ombre del Giallo”, una trasmissione condotta da Franca Leosini, Pelosi ammise che quel giorno non era solo. Parlò di tre sconosciuti dall’accento meridionale. Chi erano? Sono vivi? Seppero dell’agguato della baby-gang del Tiburtino? Negli appunti di Pino ”la rana” questo non c’è. Si parla invece dell’avvocato Rocco Mangia. All’inizio, scrive di suo pugno Pino, i fratelli Tommaso e Vincenzo Spaltro mi mandarono un telex dicendomi di nominarli come difensori. Il telex era firmato: Zio Giuseppe. Ma in seguito si presentò dai miei genitori
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