2 novembre 1975 - 2 novembre 2008

"Pagine corsare"
2 novembre 1975 - 2 novembre 2008

PASOLINI L’ARRABBIATO:
nostalgia del passato, ansia del futuro.
Un omaggio al Poeta delle primule a 33 anni dal suo assassinio
  di  Daniele Cenci
AUT, n. 106, Novembre 2008

Pier Paolo Pasolini1975. Poco prima di morire Pasolini confida a Duflot: “In realtà lo scandalo è sorto non solo dal fatto che non tacevo la mia omofilia, ma anche dal fatto che non tacevo nulla. A procurarmi odio e insulti è stato il diritto di parola che mi prendevo..., ben più che quanto scoprivano in me d’irregolarità sessuale, o in altre parole di non conformità alle norme vigenti. ... I miei accusatori avrebbero consentito ad ignorarmi, a prezzo del mio silenzio... Avranno sicuramente perso il loro tempo a crocifiggermi sul loro codice. Tanto più che i codici dell’amore cambiano, più rapidamente ancora che non quelli del linguaggio e della dignità di essere uomo. Ciò che invece resta immodificato è la paura della conoscenza amorosa, la paura di vivere, il terrore profondo, imbecille, dell’eros, che spinge alla mortificazione... La pratica omosessuale costituisce... un controtipo pericoloso per la riproduzione, compresa la riproduzione dei modelli ideologici che la cellula familiare secerne o tramanda... L’omosessuale continua a vivere in un universo concentrazionario, sotto il vigile controllo della morale dominante. Faccio osservare che, dopo la guerra, gli scampati del triangolo rosa sono stati gli unici a non aver beneficiato delle riparazioni accordate agli altri deportati. È un’omissione terribilmente rivelatrice.” [l’intervista “Diverso come gli altri” (“queer as folk”!) si legge ne “Il sogno del centauro”, 1983, pp. 154-164]. 

Lucida, mite rabbia di Pasolini! Sempre al critico francese, che nel 1970 gli chiedeva se il suo appassionato interesse per gli esclusi e i marginali fosse da addebitare ad un’esperienza dolorosamente vissuta, Pasolini aveva confessato che la sua era “la mentalità dell’animale ferito”, di chi subiva l’odio per la sua diversità, quello  stesso razzismo che s’accaniva “contro tutte le minoranze del mondo” [ibidem, p. 105]. Ed è avendo presente i miserabili e i “dannati della Terra” che il Maestro di Casarsa della Delizia avrebbe accettato all’inizio degli anni ’60 di offrire la sua lettura della storia contemporanea, focalizzandosi sulle speranze e le lotte per la giustizia sociale e la decolonizzazione che avevano indelebilmente segnato il ventennio successivo alla sconfitta del nazifascismo. 

Mario Schifano, Pasolini 1985 - clicca per ingrandireL’Istituto Luce, la Cineteca di Bologna (attuale custode dell’Archivio/Fondo Pasolini, a lungo animato dall’indimenticata ‘vestale’ Laura Betti) e Minerva Raro Video hanno presentato alla 65esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia La rabbia di Pasolini. Stimolato da un’idea di Tatti Sanguineti, Giuseppe Bertolucci (suoi Il pratone del Casilino, tratto da un crudo capitolo di Petrolio”; Pasolini prossimo nostro, rilettura di Salò; ‘Na specie de cadavere lunghissimo, da un’idea e con Fabrizio Gifuni) ha restituito alla memoria del genio “corsaro” un trittico devotamente congegnato. 

All’inizio lo spettatore assiste ad una “ipotesi di ricostruzione”, o meglio alla ‘simulazione’ della prima parte mancante del documentario La rabbia del 1963: si tratta di un inedito montaggio di 16’ di materiali di forte impatto emotivo che il regista di Salò aveva avuto a disposizione, ma non poté utilizzare giacché il produttore silurò il primitivo progetto per far spazio ai rigurgiti xenofobi e reazionari dello scrittore Guareschi (sua la saga strapaesana di Don Camillo e Peppone), che nella parte assegnatagli arriverà a definire il processo di Norimberga “una vendetta delle nazioni vincitrici”, a fare l’apologia dei massacri dei paras francesi in Algeria e della segregazione razziale negli Usa. Le scene ricucite da Bertolucci sono accompagnate dall’originario commento previsto prima dei tagli. Viene poi riproposta la parte allora licenziata da Pasolini, circa 53’, elaborata a partire da cinegiornali e riprese inedite di produzione sovietica e americana. Suggellano il documentario alcuni spezzoni d’epoca che testimoniano il linciaggio subito lungo tutta una vita dall’uomo di lettere e di cinema, e significativi brani tratti da rare interviste.

Mario Schifano, Pasolini 1985.....
Clicca per ingrandire.....
Nel cimentarsi all’impresa Pasolini voleva rispondere alla domanda “perché la nostra vita è ancora dominata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?”; e aggiungeva di non aver seguito “un filo cronologico, e forse neanche logico, ma soltanto le mie ragioni politiche e il mio sentimento poetico”. La tesi di fondo che smuove in lui un genuino furore civile è l’emergere della ‘normalità’ subentrata con la guerra fredda, in cui si smarrisce l’abitudine di riflettere e giudicarsi, e si precipita in un’omologazione che rende possibili ‘o/micidiali’ ingiustizie: il colonialismo, la condanna alla fame e al silenzio per intere popolazioni, i sanguinosi conflitti per il controllo delle materie prime e delle proprie “aree d’influenza”, le feroci dittature di qua e di là dalla cortina di ferro, il razzismo “... cancro morale dell’uomo moderno, dalle infinite forme. È l’odio che nasce dal conformismo, dal culto dell’istituzione, dalla prepotenza della maggioranza. È l’odio per tutto ciò che è diverso, per tutto ciò che non rientra nella norma, e che quindi turba l’ordine borghese. Guai a chi è diverso! Questo il grido, la formula, lo slogan del mondo moderno. Quindi odio contro i negri, i gialli, gli uomini di colore: odio contro gli ebrei, odio contro i figli ribelli...” (dal “trattamento” de La rabbia). In questo teatro apocalittico, mosso da ristrette élite e passivamente subito o accettato dalla maggioranza degli uomini, i poeti si fanno servi, riducendo i problemi a “pura forma”. 

Scorrono in un caos apparente le immagini: l’insurrezione ungherese del ’56 schiacciata dai carri sovietici, le lotte di liberazione nel Terzo Mondo (Algeria, Cuba...), l’Africa in rivolta, soldati in colonna nel deserto (“incomincia la nuova preistoria”), Papa Giovanni “dal misterioso sorriso di tartaruga”, l’incubo delle esplosioni atomiche, la tragica fine di Marilyn Monroe, (*) poetico climax de La rabbia: “sorellina obbediente ... sciocca come l’antichità, crudele come il futuro.../ fra te e la tua bellezza posseduta dal Potere/ si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente”. Il congedo è dedicato all’astronauta Gagarin che apre le vie del cosmo a “miliardi di miseri abbarbicati alla terra come disperati insetti”, dilaniati dalla follia fraticida: “... la rivoluzione vuole una sola guerra, quella dentro gli spiriti che abbandonano al passato le vecchie, sanguinanti strade della terra.” 

Eversivo il contrappunto visivo-sonoro: si pensi alle immagini di De Gaulle (silenziato) a cui si sovrappongono gli scoppi della battaglia che infuria per l’indipendenza algerina. Dopo aver visionato la pellicola completa delle due parti (quella realizzata da lui e la ‘parodia’ di Guareschi), Pasolini comprende di essere stato invischiato in un’operazione qualunquista che, in un momento di duro scontro politico tra blocchi contrapposti, intende far rievocare “da sinistra” e “da destra” – neutralizzando le tesi contrapposte – avvenimenti e protagonisti della storia a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La sua richiesta di ritirare la firma si rivelerà inutile perché il documentario, dopo aver provocato roventi polemiche ancor prima della sua uscita, verrà boicottato dal pubblico scomparendo dalle sale dopo solo due, tre giorni di programmazione. 

Pier Paolo Pasolini, Autoritratto“No, l’arrabbiato non rinsavisce, non si annoia, non trae lezioni, è come una cartina di tornasole, reagisce. Solo che quando è giovane spera nel futuro della sua vita mentre poi, con il passare degli anni, lo colgono i dubbi, gli scoramenti. Allora la rabbia aumenta, diventa ossessione. Sa perché ho fatto del cinema? Perché non ne potevo più della lingua orale e anche di quella scritta. Perché volevo ripudiare con la lingua il Paese da cui sono stato le cento volte sul punto di fuggire.” (dall’intervista 
“L’arrabbiato sono io” rilasciata a Giorgio Bocca, Il Giorno, 19 luglio 1966; Pasolini l'enragé è anche il titolo di un documentario-colloquio con Jean-André Fieschi dello stesso anno). 

Ma l’autentica cifra dell’indignazione pasoliniana sta forse tutta ne La sequenza del fiore di carta (1969), 3° episodio di Amore e rabbia, che vede gli autori (oltre a Pier Paolo: Lizzani, Bellocchio, Godard e Bernardo Bertolucci) ispirarsi ciascuno ad una parabola evangelica. Lo scrittore di Ragazzi di vita traduce nel suo inconfondibile stile l’episodio del fico che suscita l’ira divina perché non dà frutti. Scene in bianco e nero di guerre, eccidi e manifestazioni si sovrappongono a tratti ad un unico piano sequenza di 11’ a colori dove uno spensierato Riccetto percorre via Nazionale a Roma scherzando coi passanti, mentre stringe tra le mani un lungo fiore di cartapesta simbolo della sua effimera felicità. Il pischello è curioso, ma si arresta alla superficie delle cose, la sua colpa è di non accorgersi di quanto gli succede intorno. Per Pasolini in un mondo così ingiusto nessuno può chiamarsi fuori, non c’è posto per gli ‘innocenti’: resta imperdonabile fingere di non vedere, rifiutare o ‘perdere’ l’altro accontentandosi di sopravvivere. E Riccetto che crede solo al valore dei suoi sogni morirà senza neppure accorgersene (come il fico sterile), folgorato da un fulmine nell’assordante, indifferente chiasso della metropoli.

C’è spazio per suggerire l’esaustiva nuova edizione di “Pagine corsare”, curata dall’infaticabile Angela Molteni: index00.html, col rinvio interno al Centro Studi PPP.

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(*) Il collegamento è alla pagina nella quale si trova il testo di Marilyn da La rabbia e l'interpretazione che ne dà Laura Betti.
 

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La sequenza del fiore di carta, di Pier Paolo Pasolini (1968)

 


PASOLINI L’ARRABBIATO: nostalgia del passato, ansia del futuro.
Un omaggio al Poeta delle primule a 33 anni dal suo assassinio, di  Daniele Cenci

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