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Notizie "Al Biondo Tevere", ultima fermata Appena prima che la via Ostiense si sciolga, a destra, sul Lungotevere S. Paolo e giusto di fronte alla basilica omonima ci sono tre basse costruzioni. L?ultima ? un irish pub, la cui facciata scura e l?insegna verde evocano brume irlandesi, basse temperature ed elevati consumi alcolici. La seconda ? una trattoria, dal nome pi? pertinente di Capoccetta. La prima delle tre ? anch?essa un ristorante. La grande insegna luminosa sopra il cancello di ferro battuto ? fatta di tre parole: Al Biondo Tevere. ? l? che sono diretto. Parcheggio il motorino accanto a una piccola stazione di servizio ed entro in un largo cortile dove, a quell?ora, non c?? nessuno o quasi. Su un lato c?? una costruzione provvista di grandi finestre, dalle quali vedo due file di tavoli addossati alle pareti e all?estremit? interiore un vecchio forno a legna per la pizza. Il lato pi? lungo dello spazio aperto, in fondo, ? invece occupato da una breve scalinata che porta al piano superiore, sede di un?ampia sala. Oltre la sala e la parete interamente a vetro c?? una terrazza.? Il tavolo preferito da Pasolini..... ? il posto pi? bello del locale, ed ? quello che pi? mi ha colpito la prima volta che ci sono stato, non molto tempo fa e quasi per caso. Si ? a ridosso del Tevere, in una posizione elevata rispetto gli argini, e la vista che si gode ? quella dell?ampia ansa del fiume che si dirige verso ponte Marconi e il mare dopo essersi lasciato alle spalle il Gazometro, ben visibile. C?? una vegetazione piuttosto fitta sulle rive, una densa macchia di un verde chiaro e brillante. Resto un po? a osservare questo paesaggio urbano, poi ritorno sui miei passi e mi ritrovo in cortile. Mi guardo attorno. Seduta a un tavolo, in un angolo, c?? una signora con un vestito leggero che sbuccia dei baccelli di fave. ? con lei che qualche giorno prima ho preso appuntamento per scambiare qualche parola. Si chiama Giuseppina Panzironi ed ? la vedova del signor Vincenzo, titolare del locale fin dal secondo dopoguerra. ? da cinquantun?anni che si occupa del ristorante, tuttora a gestione familiare, e lo dice con un certo orgoglio, mentre continua il suo lavoro. Conosce gi? il motivo della mia visita e comincia subito a parlare, con la sicurezza di chi gi? molte volte deve aver raccontato la stessa storia.
Il locale negli anni '70 Arriva il figlio Roberto, che ? la persona che adesso si occupa della gestione del locale. Abitano tutti nel palazzo accanto, mi dice che trascorre l?intera giornata nel ristorante, solo dalle quattro alle sei di pomeriggio riesce ad assentarsi, sempre se non c?? qualche imprevisto. Anche i suoi figli collaborano servendo ai tavoli assieme agli altri camerieri.?
"? vero", la interrompe il figlio Roberto. "L?altro giorno ? venuta una giornalista di quella rivista americana... come se chiama... Nesquik... Nesvik...". Fatico un po? prima di capire che si tratta del Newsweek, e un altro po? ancora prima di riuscire a spiegargli che si tratta di uno dei pi? venduti settimanali americani. Ma Roberto, come la madre, non sembra dare al fatto cos? tanta importanza. Quest?ultima soprattutto sembra piuttosto orgogliosa di aver conosciuto un tempo delle persone di valore, e di conservarne una memoria affettuosa, quasi privata, come se si trattasse di persone di famiglia. Si ? fatto tardi, cominciano ad arrivare dei clienti. Prima di andare via prenoto un tavolo per due, per la sera stessa, naturalmente sul terrazzo. Pi? tardi sapr? se mi sar? stato riservato uno di quelli buoni, accanto alla ringhiera e con la vista pi? bella. Come disse una volta uno scrittore francese oggi un po? negletto, in fondo essere famosi vuol dire prenotare al proprio ristorante preferito e scoprire che ci ? stato dato il tavolo migliore. Vedi anche: ? |
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