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Saggistica Il pensiero scomodo di Pasolini
. .L'omologazione culturale ha cancellato dall'orizzonte le “piccole patrie”, le cui luci brillano ormai nel rimpianto, memorie sempre più labili di stelle scomparse. “Come polli d’allevamento, gli italiani hanno indi accettato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del suo consumo”: è questa la nuova società nella quale oggi ci muoviamo, testimoni e vittime dei lutti culturali. Pier Paolo Pasolini Il pensiero scomodo di Pasolini“La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. Così Pasolini sintetizza l’amarezza che per tutta la vita legò la sua opera di narratore e intellettuale impegnato al duro giudizio di critica e comunità intellettuale. Appassionato osservatore della realtà che lo circondava, Pasolini ha subìto a lungo la condizione di emarginazione che sempre accompagna chi, per vocazione, non scende a compromessi, e a testa alta palesa le sue idee, troppo crude e vere per non risultare scomode. La sua fotografia della realtà non era semplicemente legata alla denuncia, attraverso l’arma della letteratura, dello squallore e del degrado delle borgate romane; riguardava anche la sua figura di intellettuale - politico, militante, le cui posizioni lo misero spesso in aperto contrasto con gli stessi esponenti di quella sinistra alla quale aderiva da sempre. Sprezzante, tagliente, amara, la sua posizione politica non si è mai avvalsa di mezze misure. Quello che è stato ribattezzato come “grande intellettuale marxista italiano”, rifiutava il ruolo servile di “intellettuale-funzionario” che deve sottomettersi alla logica di partito senza opporvi critiche. Fu, con grande coraggio, un pensatore che si schierò dalla parte della verità, che voleva difendere e testimoniare in prima persona: per questa sua “onestà” ideologica fu messo da parte, in una situazione di isolamento che egli stesso descriveva come simile alla morte. La figura politica di Pasolini e la sua impostazione ideologica sono state al centro di una manifestazione organizzata dall’AISP Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli), che si è svolta in occasione del cinquantenario di Villa Gordiani. Rispolverare, analizzare la posizione di Pasolini come intellettuale impegnato, risulta interessante sotto più punti di vista. Mette allo scoperto le ambiguità che spesso sottendono al dibattito politico; focalizza i motivi che hanno fatto sì che tali posizioni venissero largamente sottaciute; soprattutto rivela spunti di riflessione, di scottante attualità. Pasolini ha in qualche modo rivoluzionato il ruolo di intellettuale impegnato. Se prima quest’ultimo doveva “tenere il gioco” interamente al Partito cui apparteneva, con Pasolini, intellettuale impegnato diventa colui che ha il coraggio e la freddezza, da osservatore, di avanzare critiche costruttive al Partito stesso. Il suo compito è arduo, perché intellettuali così non hanno diritto di parola sui media che contano. Pasolini arriva alla conclusione che “verità e pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”. Desta quanto meno stupore l’adattabilità di tale affermazione alla situazione attuale. Ma c’è anche un’altra conclusione cui lo scrittore giunge in questo percorso: l’accusa verso i giornalisti, definiti “diffusori d’inganno”. In effetti Pasolini chiama in causa due monopoli: quello dei partiti sulla politica e quello dei giornalisti sull’informazione (anche politica). Questi due poli si autoalimentano a vicenda, espropriando i cittadini dei diritti primari (politici, conoscitivi, comunicativi). A Pasolini appartiene anche la distinzione tra un vecchio e un nuovo potere. All’ormai superato concetto di lotta di classe, si contrappone il cosiddetto “edonismo consumistico”, partendo dal quale si può individuare un mutamento epocale, antropologico, culturale, comportamentale, politico. L’interclassismo è stato annullato dall’omologazione operata dal nuovo potere, a suo avviso più micidiale dei precedenti (Vaticano, forze armate, industriali); la logica totalizzante che guida questa nuova forza è “l’edonismo consumistico”, diffuso e incoraggiato nella società dai mass-media, dalla pubblicità, dai rapporti competitivi interpersonali. L’edonismo travolge e sostituisce ogni altro valore del passato: in questo contesto totalitario e totalizzante, le differenze storiche perdono significato e l’unico principio perseguito e diffuso (spesso falsamente promesso) è il benessere. Così come il resto, si disintegrano (fagocitate dalla logica omologante) anche le ideologie. Impossibile distinguere nei comportamenti persone di diversa fede politica o di diverso status sociale: tutti risultano asserviti ad un unico schema di pensiero - comportamento, una sorta di “pensiero unico”. Questo schema è anche, contemporaneamente, pragmatico realistico, laico, moderno; insomma, non ha più in alcun modo bisogno dei “vecchi miti”. Essi sono tenuti in vita artificialmente per contrastare i rischi di minoranze antisistema. L’altra critica Pasolini l’avanza verso il “compromesso storico” dichiarato dal PCI negli anni ’70. Egli ritiene che, nata dall’esigenza di contrastare in qualche modo l’avanzata capitalista, tale soluzione favorisca al contrario gli uomini al potere, nel mantenere intatto e saldo l’ordine esistente. È evidente che in una tale impostazione ideologica si potessero trovare molti spunti “incriminatori”. Non stupisce forse la posizione da intellettuale scomodo assunta da Pasolini: scomoda era la sua visione politica e sociale. Scomoda era la sua denuncia che non si fermava davanti al formalismo che esige silenzio. Scomodo era il suo atteggiamento, che faceva dell’anticonformismo e dell’anticonvenzionale uno stile di vita. Vale la pena concludere con la descrizione che Pasolini fa della cultura di una Nazione, la quale “[...] non è la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei cineasti… non è neanche la cultura della classe dominante o di quella dominata. La cultura di una Nazione è l’insieme di tutte queste culture".In questa affermazione è racchiusa l’indicazione che tutto ciò che conta per un popolo è la sua cultura globale, la volontà, la possibilità che ciascuno ha (o che a ciascuno viene concessa), di conoscere, sapere, imparare, comunicare, senza deleghe e senza rappresentanze imposte.
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