|
Saggistica 1 - Come Pasolini vede la politica 1.a - La poetica di Pasolini Credo comunque che sia possibile e necessario oggi accostarsi ad un autore pur così multiforme e presente nellodierna cultura, tramite un approccio rivolto appunto ai suoi problemi di fondo, non partecipante; e insieme storicistico dicevo. Evidenziando però le virgolette, che stanno a significare limpossibilità di considerare insieme estranee alla ricerca le idee del ricercatore stesso e le sue profonde convinzioni, anche quando si parlasse di Carlo Magno o di fatti lontani. Dividerò per chiarezza il discorso in tre parti, esaminando prima come Pasolini vede la politica; poi come la politica vede Pasolini; e successivamente aggiungendo altre considerazioni sul rapporto tra i due poli del discorso. Già Marcello Carlino ha egregiamente affrontato gli aspetti letterari della poetica pasoliniana. Io vorrei qui richiamarne solo alcuni tratti essenziali, utili ai fini del tema che ci proponiamo di esaminare, ricordando che il terminepoetica si intende non riferito al semplice far poesia, ma al creare, anche nel cinema, nel teatro, nellattività culturale in generale. Linutilità della poesia chiaramente teorizzata in Trasumanar e organizzar, pone Pasolini al di fuori di ogni ottica di attività poetica, ma anche letteraria o cinematografica, impegnata o comunque rivolta ad accostarsi al presente al fine di contribuire a future migliori prospettive. Tensione costante lautore invece esercita nella ricerca di un ideale di purezza perduto, immobile nel passato, e da cui la storia piuttosto irrimediabilmente ci allontana. Tale purezza non è eroismo, non è virtù, bensì stato dinnocenza che non conosce distinzione tra bene e male; che è così perché é così, non perché sia stato un obiettivo desiderato e conseguito. Stella, di cui Accattone si innamora, bella, prosperosa, vergine, figlia di prostituta, che conduce una vita lineare e innocente di lavoro, è pronta con semplicità a prostituirsi o a continuare la sua vita, secondo le necessità e i desideri del suo uomo. La condizione umana è la rottura di tale stato originario, il nascere del problema, della consapevolezza, della storia. La vita incarna in sé un peccato originale di separazione da un tutto dato e non cercato, le cui origini letterarie sono nei miti orfici, nel pensiero di Anassimandro, ma che Pasolini ha certo assorbito col latte materno attraverso la cultura cristiana. Adamo ed Eva mangiando il frutto dellalbero della conoscenza del bene e del male hanno per la prima volta infranto ununità inconsapevole caratteristica del loro stato, hanno distinto soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto: da ciò la loro condanna alla sofferenza. Ed aveva ragione il serpente a dire che il divieto nasceva dal fatto che Dio non voleva che essi, mangiando il frutto, diventassero come lui: Dio aveva imposto quel divieto perché appunto egli è infinita conoscenza e quindi infinita sofferenza. O non teniamo presente la natura umana e divina del Cristo? Il divieto era un atto di amore verso gli uomini, per tener lontano da loro il dolore. Gli animali non hanno conosciuto peccato di origine. Destino delluomo è invece la rottura delleterno presente, proiettarsi nel futuro. Recando però sempre con sé il proprio passato, il proprio peccato, senza possibilità di redenzione. La ricerca della propria autenticità andrebbe pur condotta verso le origini irrimediabilmente perdute: ma proprio cercarle, è già perderle. Perché è farne oggetto della propria ricerca, allontanarle in una dimensione che è oggettiva, quindi esterna rispetto a se stessi. Ne Lusignuolo della chiesa cattolica già fuoriesce tale tematica: il poeta bambino può illudersi di cogliere nel canto dellusignuolo luno-tutto, linnocenza; e nellidentificazione con esso dimenticare la propria individualità. Ma la giovinetta dolcemente e brutalmente lo richiama alla sua realtà: Povero uccelletto, dallalbero, tu fai cantare il cielo. Ma che pena udirti fischiettare come un fanciullino! Tu per la tua innocenza vorresti identificarti con il cielo che canta; ma il cielo che canta sei tu, un misero fanciullino. Adamo dopo il peccato può anche cercare il Bene: troverà solo il suo bene e la certezza della sua sofferenza nel cercarlo. Luomo dopo il peccato originale è tensione inesausta, preghiera inappagabile, desiderio di ricongiungere ciò che è irrimediabilmente scisso. Il disprezzo di Pasolini verso la filosofia, orgogliosa dei fantasmi costruiti dalla mente, non impedisce però la permeabilità del poeta verso tematiche esistenzialistiche heideggeriane o direttamente kierkegaardiane: langoscia dellimpossibile ricerca di Dio si chiude con la disperazione per la sua inafferrabilità; e quando nel fondo della disperazione Dio ti tende la mano, e il socratico sapere di non sapere ti sembra possa costituire comunque una certezza e linizio di una ripresa, ti ritrovi poi davanti un Dio che è un uomo: Gesù che è ucciso, e diventa il Cristo e risorge solo se tu ci credi. Dio è insomma una creazione umana. Dio ha bisogno degli uomini che lo adorino, come questi di Dio. Il patto biblico non è una concessione al popolo ebraico. Dio dà senso alla vita delluomo; ma in se stesso è un puro vuoto, il nulla eterno: egli vive della vita delluomo. O immoto Dio che odio/ fa che emani ancora/ vita dalla mia vita/ non mimporta più il modo (da Il pianto della rosa). Con buona pace di Benedetto Croce, in questi versi disperati pensiero e poesia fanno tuttuno. Lunità originaria sarebbe, da questo punto di vista, quella del grembo materno. La nascita la sua rottura, e quindi il peccato. Il rapporto sessuale una ricerca rimossa della madre, del ritorno. Lomosessualità lo spostamento della libido su un oggetto diverso dalla donna-madre, nellinconscio desiderio di attenuare il senso del peccato. Nico Naldini in Cronistoria riporta il racconto di Pasolini del primo emergere di queste pulsioni, verso i quattro anni: Dei ragazzi che giocavano nei giardini pubblici di fronte a casa mia, più di ogni altra cosa mi colpirono le gambe soprattutto nella parte convessa interna al ginocchio, dove piegandosi correndo si tendono i nervi con un gesto elegante e violento Ora so che era un sentimento acutamente sensuale. Inutile quindi la poesia, inutile ogni costruzione razionale o artistica se diretta alledificazione di un futuro o a dare un senso logico alla storia. Non cè futuro, non cè storia, solo una luce primordiale e il suo rimpianto. 1.b Lapproccio alla politica Egli scrive su Vie Nuove che il marxismo è lunico in grado di offrire una cultura vera, una cultura che sia moralità e interpretazione dellintera esistenza. Resteremmo però delusi se cercassimo nelle sue opere una ricerca o un approfondimento dottrinario a sostegno di tale proclamata verità. Come si è infatti tenuto lontano dalle astratte discussioni sui generi letterari, così egli ha avuto a noia e non celato disprezzo le astrattezze dei filosofi, marxisti compresi. La verità del marxismo nasce come immediata dalla realtà della fabbrica, delle periferie urbane, delle condizioni di vita nella società neocapitalistica. Fa tuttuno con tale realtà, con il solo fatto che essa esista. Ogni ricorso a storia e ragione non può che falsare qualcosa la cui autenticità non è negabile. È insomma una fede. A base empiristica semmai, e ovvia, come quella di S. Francesco. Se esistono lacqua, il lupo, il sole, la luna, è possibile negare che esistano come parte di un tutto? Che questo tutto sia infinito, e che sia Dio? Se sto in una sala, so che fuori cè una città, i continenti, il sistema solare, luniverso conosciuto con il suo diametro di quattordici miliardi di anni luce. Oltre non so cosa ci sia, ma qualcosa dovrà pur esserci perché il concetto stesso di limite, per quanto ampio, mi rimanda a ciò che è al di là di esso. Dio dunque è in noi che lo pensiamo; e noi siamo in Dio come parte della sua immensità. Ma la sua infinitezza è anche alterità nei nostri confronti, assoluta trascendenza e inattingibilità. Che senso ha, tornando a Pasolini, stare troppo a discutere sulla natura dellingiustizia sociale, se è tutto così evidente nel marxismo? Se vivi in fabbrica o in una periferia urbana cosa mai potrà aiutarti a capire, ad esempio, il principio di solidarietà nei rapporti tra le classi sociali proclamato dalla Rerum Novarum? E che senso ha lottare per un riscatto alla fine (molto nebulosa) della storia, come regalo dello scorrere dei tempi che, fin quando vi saranno luomo e lo stato, sarà oppressione ed ingiustizia? Il mondo neocapitalistico e socialdemocratico ti opprime non meno di quello capitalistico, e ottunde in più la coscienza del tuo essere sfruttato. Dello stato sovietico Pasolini ha una concezione molto più attenta e disincantata di quella pur contraddittoria, ad esempio, di Sartre, per poterla offrire come obiettivo della lotta. Della contestazione sessantottina a sua volta egli sottolinea la posizione piccolo borghese degli studenti, nello scontro con i poliziotti figli del popolo. Reintervenendo dopo la nota polemica con Franco Fortini, chiarisce che non aveva avuto intenzione di svalutare la lotta studentesca. Come lotta, però, e critica dellesistente in quanto tale, non certo per una presunta verità degli obiettivi proposti. E allora cosaltro, quale assoluto valore ci resta? Luteranamente luomo porta nel suo impegno di riscatto la sua stessa natura connotata dal peccato originale, che lo conduce al male e a sfruttare il prossimo. In politica quindi non ha proprio senso aspirare ad obiettivi irraggiungibili, puntare alla perfezione del comunismo o di ogni altra costruzione. Pasolini trova naturale credere piuttosto a ciò che di primigenio e felice ha connotato lorigine umana stessa, luno-tutto che luomo non può determinare ma da cui è determinato, il grembo materno da cui ci siamo separati con la colpa della nostra nascita. La grazia, per intenderci, che il Dio di Lutero elargisce solo agli eletti secondo un suo imperscrutabile disegno. In Pasolini dunque, come sopra accennavo, le mediazioni tra la poetica e la concezione politica quasi non esistono. La prima è come se fosse per intero trasportata nella seconda. Nelle Lettere luterane egli dà vita alla felice metafora del Palazzo, di cui sono a tutti gli effetti coinquilini, insieme agli altri, il Pci, la Cgil, la sinistra tutta Loperaio è pienamente assimilato alla cultura borghese, è un aspirante borghese, e il suo partito rispecchia e legittima tale caratteristica. Limmoralità del neocapitalismo e della socialdemocrazia ne annullano ogni residuo valore umano. È il sottoproletario il solo che ancora non ha visto morire in sé ogni barlume di umanità. Nelle periferie degradate urbane il linguaggio usato, lessere dei ragazzi di vita seduti fuori a squallidi bar in cerca di realizzare il colpo della giornata, rivelano la devastazione effettuata nelle loro menti e sui loro corpi dalla miseria materiale, e insieme dal senso comune borghese più becero profondamente assimilato. Ma in loro la fiammella è ancora accesa. Non si manifesta certo in un impegno di lotta o di riscatto, totalmente assente; non in qualcosa che si vuole; ma in qualcosa che cè, che rimane di una primitiva genuinità, precedente la consapevolezza: un misto di ingenuità e aggressività, come nei bambini. È il residuo di una felicità che non si sa di avere, a pena di perderla; che si rivela magari nelle gambe, soprattutto nella parte convessa dietro al ginocchio dei ragazzi che giocano fuori casa Il sottoproletariato di Pasolini non è dunque quello di Adorno e della scuola di Francoforte. Per Adorno la dialettica tra operaio sindacalizzato e padrone, tra USA e URSS, non è scontro assoluto ma differenziazione di opposti destinata a conoscere, hegelianamente, la mediazione e lunità nella sintesi (laccordo politico insomma). E il sottoproletariato, non il proletariato organizzato, ad essere portatore di una nuova e più radicale dialettica di totale alterità rivoluzionaria, in cui si vince o si muore. I francofortesi hanno dunque speranze, pongono dei nuovi obiettivi alla lotta rivoluzionaria dei disperati. Non così Pasolini. Le ceneri di Gramsci, pubblicate nel 57, costituiscono il punto più alto in cui si esprima la poesia e insieme la consapevolezza politica dellautore, in particolare nel suo confronto con il comunismo. Davanti al sepolcro delluomo che è alla radice del fascino che limpegno politico esercita su di lui, Pasolini non è sollecitato, ancora una volta, ad approfondire le ragioni filosofiche delle sue certezze, ma ad indagare sulla comune radice umana, sulle affinità e differenze tra se stesso e Gramsci. E ciò è ottenuto attraverso la poesia, che gli consente di giungere ad un livello di chiarezza e insieme di sintesi di cui essa più che la filosofia è capace. Altro più io non so dirne. La nostalgia e il rimpianto precludono ogni possibilità e il desiderio stesso della costruzione razionale.Lo scandalo del contraddirmi, dellessere Anche Il pianto della scavatrice, con la stessa chiarezza anche se con minore forza poetica, affronta analoghe tematiche. La scavatrice non è il simbolo della speculazione capitalistica che stravolge vita e abitudini, e cui vada sostituita una politica di razionale sfruttamento delle aree fabbricabili: ma del progresso in sé di ogni colore politico, della storia, del cambiamento stesso. Alberto Asor Rosa, nel suo Scrittori e popolo (Einaudi. 1965), aggiunge il suo nome ai critici della concezione pasoliniana. Dopo aver ricordato, in particolare, alcune affermazioni di Pasolini stesso in unintervista del 59: « io credo soltanto nel romanzo storico e nazionale, nel senso di oggettivo e tipico dato che destini e vicende puramente individuali e fuori dal tempo storico per me non esistono: che marxista sarei?», Asor Rosa dunque afferma: «La verità è che di tutte le possibili varianti marxiste, Pasolini ha colto, magari attraverso la mediazione degli interpreti ufficiali comunisti, unicamente il tema gramsciano del nazional-popolare, che è infatti il solo a contare qualcosa nella sua opera narrativa». Probabilmente non sono presenti in Asor Rosa alcune categorie utili per comprendere a fondo il marxismo di Pasolini, che egli infatti definisce « quanto di più curioso ed artefatto si sia potuto incontrare in questo campo, negli anni ancora molto a noi vicini del progressismo letterario». Che il romanzo pasoliniano si possa definire storico e nazionale, e che possa entro ben definiti limiti anche esser rapportato al realismo socialista, mi pare fuori di ogni dubbio. Ma inquadrarlo unicamente nellambito del tema gramsciano del nazional-popolare mi sembra significhi non comprenderlo per intero. Se ad Asor Rosa la poetica pasoliniana sembra quanto di più curioso ed artefatto si sia potuto incontrare
è proprio, con ogni probabilità, perché in essa manca in maniera evidente lintento pedagogico, tipico del realismo socialista e del concetto di nazional-popolare. In Pasolini lopera poetica è nazionale in quanto tipica; e popolare perché è il sottoproletariato ad esserne protagonista, non certo perché essa serva a trasmettere la verità socialista nella coscienza popolare attraverso lopera del partito e dellintellettuale organico. Sembra essere, dunque, proprio una concezione della politica e del marxismo come rimpianto a fuoriuscire dai canoni interpretativi di Asor Rosa (e non solo suoi), e a precludergli la piena comprensione del mondo politico pasoliniano. 2 - Come la politica vede Pasolini Quello in cui ci si imbatte, passando a questo nuovo punto di vista, è un elemento di stridente contraddizione con quanto fin qui detto: la politica infatti non può essere solo denuncia e ideologia, ma deve avere in se stessa un essenziale momento propositivo e di concreta costruzione. Sotto tale aspetto tutto limpianto pasoliniano è destinato dunque a confliggere con la politica. E non ci si riferisce, ovviamente, solo alla politica della DC, emblema stesso del sistema da combattere; o a quella dei fascisti, nemici di sempre; ma dello stesso partito comunista. Sul quale soltanto ci soffermeremo non solo per brevità, ma anche perché ovviamente di gran lunga il più significativo per Pasolini; e senza minimamente aspirare ad esaminarne la politica in maniera organica, ma svolgendo solo alcune considerazioni relativamente ai temi che ci interessano. Se quello tra Pasolini e il PCI è stato, da entrambe le parti, un rapporto di amore e odio, punti di convergenza ce ne saranno stati certamente, e sostanziosi. Due vorrei sottolinearne in particolare. Il primo è costituito dal carattere di certezza oggettiva che rivestono per entrambi le rispettive convinzioni. Per Pasolini abbiamo parlato di fede politica; il pensiero di Togliatti sembra presentare a sua volta tutte le caratteristiche della costruzione razionale, ma a definirlo anche una fede concorre non solo lintento pedagogico di porgerlo come tale alle masse, ma anche la totale indisponibilità a metterne in discussione i presupposti più profondi. Lasciamo parlare Togliatti stesso: «Alle volte, però ci sentiamo dire, in tono di accusa, che siamo anche noi una religione, anzi, persino una chiesa. Ciò è vero nel senso che abbiamo una fede, cioè la certezza che la trasformazione socialista della società, per cui combattiamo, non è soltanto una necessità, ma è un compito che impegna, con la certezza del successo, la parte migliore dellumanità». (Da Il destino delluomo. Conferenza tenuta a Bergamo il 20 marzo 1963. In Rinascita, 30 marzo 1963). Il secondo punto di convergenza può essere identificato nella critica radicale al presente, allo sviluppo capitalistico, alla società contemporanea ed alla sua cultura; nonché alle ingannatrici e sottilmente pericolose prospettive offerte dalla socialdemocrazia, considerata solo volto presentabile della impresentabile realtà neocapitalistica. Molto forti, e forse più forti, sono però le differenze. Tutto limpegno politico di Togliatti è rivolto alla proposta, alla costruzione. Niente è più lontano della retrospettiva e del rimpianto dal suo spirito positivo. La qual cosa implica corrispondente attitudine al compromesso, e quantità rilevanti di realismo se non di spregiudicatezza (dote questultima necessaria peraltro a sopravvivere a diciotto anni di quotidiana familiarità politica con Stalin). Tale differenza rende anche diversa, nei due soggetti, la comune radicalità delle critiche al presente (il secondo dei punti in comune cui si accennava). Nel senso che mentre quella di Pasolini sfrutta tutta lacutezza della sua genialità e spazia da nulla ostacolata, quella di Togliatti è certamente invece meno libera, impacciata comè, ad esempio, da un certo perbenismo estraneo al poeta e necessario invece al politico, indispensabile alla costruttività della sua azione. Per non parlare di un non tenue conservatorismo culturale. Tema scottante, ad esempio, lomosessualità. Pasolini si iscrive al PCI nel 1947. Viene accusato di corruzione di minorenne (sarà poi assolto) il 30 settembre del 49. È espulso però immediatamente, dopo la denuncia, per indegnità morale, con un documento in cui si evidenziano ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese. Pasolini reagisce con una lettera, in cui dichiara di essere e restare sempre comunista, nonostante voi. In effetti voterà sempre PCI. E il carattere di fede della sua adesione al comunismo è ancor più testimoniato dal fatto che, due anni prima della sua iscrizione, proprio i comunisti delle brigate Garibaldi del Friuli gli avevano barbaramente ammazzato il fratello Guido cui era legatissimo. Era partigiano. Della brigata Osoppo però, aderente al Partito dAzione; e soprattutto aveva la colpa di essere contrario, come gli altri del comando della sua brigata (anchessi passati per le armi), alla sottrazione del Friuli allItalia perché passasse a far parte della Jugoslavia socialista. Ma tali vicende, pur profondamente sentite, sono evidentemente considerate da Pasolini troppo personali per intaccare loggettività della sua fede politica. Le stesse motivazioni dellespulsione dal PCI toccano un altro tema delicato, quello della libertà dellintellettuale nei confronti della struttura del partito. Pochi anni dopo, nel 1951, sono espulsi dal PCI due parlamentari per dissensi sulla linea politica. Togliatti li definisce due pidocchi, che anche un cavallo di razza può avere nella sua criniera. I due pidocchi sono Aldo Cucchi, medico, capitano dellesercito, fondatore e organizzatore di reparti partigiani, comandante della 62° brigata Garibaldi; e Valdo Magnani, laurea in filosofia e scienze economiche, promosso capitano per meriti di guerra, medaglia di bronzo al valor militare, commissario politico nelle divisioni Garibaldi. Eletti entrambi, come si diceva, deputati al parlamento. Nello stesso anno Elio Vittorini lascia il PCI, dopo le aspre polemiche con Togliatti ed Alicata sul rapporto arte-politica, che già avevano portato alla chiusura della sua rivista Il Politecnico. La politica, dunque, anche quella comunista, non era certo attrezzata per favorire un rapporto positivo con Pasolini. «Tutto trasuda disprezzo e disamore per gli uomini, conoscenza superficiale e deformata della realtà, morboso compiacimento degli aspetti più torbidi di una verità complessa e multiforme». Questo giudizio su un capolavoro come Ragazzi di vita, pronunciato mezzo secolo fa, nel 1955, non si intende certamente farlo pesare ancor oggi sulle spalle di chi allora lo pronunciò (lon. Giovanni Berlinguer). Lo si pone piuttosto a testimonianza di una incompatibilità tra le linee della politica culturale del realismo socialista ed il nostro autore. Eppure, qualcosa di forte che ha legato e lega Pasolini e i comunisti doveva pur esserci. Ne abbiamo già fatto cenno. Avviamoci alla conclusione cercando di mettere meglio a fuoco il problema. 3 - I motivi di un legame Vorrei innanzitutto rilevare due dati di fatto, esponendoli avalutativamente nella loro nuda storicità per poi ricavarne solo qualche considerazione utile al nostro discorso. Il primo: da circa trenta anni in Italia i comunisti sono privi del comunismo. E non ci si riferisce qui, ovviamente, a una qualche struttura socio-politica realizzata, ma allideale stesso di comunismo. Per intenderci: con Togliatti le idee sono state a riguardo sempre molto chiare. I sacri testi, dal partito interpretati, ne costituivano la teoria; lUnione Sovietica il conseguente modello di costruzione. Con Berlinguer tutto finisce. Le sole certezze a proposito sono in negativo: di certo sappiamo che lURSS non è più il modello; e che il comunismo in Italia lo si vuol edificare allinterno del quadro democratico-costituzionale, nemico tradizionale dichiarato del marxismo. Né obiettivo legittimo è la socialdemocrazia: Bad Godesberg resterà sempre, per Berlinguer come per i comunisti italiani, il nome di una sconfitta e di una ritirata. Fine della doppiezza. E inizio della nebbia. Definire in qual modo possano essere tra loro resi coerenti comunismo e democrazia viene rimandato ad una improbabile terza via, la cui esistenza è data per certa (il comunismo non vive senza certezze), ma che ancora oggi resta indefinita. Per risolvere tale problema che riguarda certamente anche loro, non sono bastati, pur dopo lo scioglimento del PCI, quattordici anni al Partito della Rifondazione Comunista e sette al Partito dei Comunisti Italiani. E anche per loro la democrazia costituisce certamente un valore irrinunciabile. E anche per loro si tratta, sarà forse opportuno ricordarlo, di confrontarsi con unidea di comunismo che è distruzione dello stato; con un concetto di stato che comunque, anche quello sedicente democratico, finché esiste è sempre considerato dittatoriale ed oppressivo; con la dittatura del proletariato; il partito unico; la fine delle libertà democratiche: tutte cose che costituiscono obiettivo delle lotte e che il processo storico verso il comunismo rende indispensabili. Per Togliatti, come per Gramsci, la democrazia è la via per la presa del potere da parte del proletariato, che lascerà il posto alla successiva costruzione del socialismo e della società comunista. Se invece si vuol essere insieme comunisti e democratici, non è possibile evitare il problema di ricondurre tutto ciò entro un disegno coerente. Evitando con cura la socialdemocrazia Il secondo dato di fatto cui si accennava è che, per più o meno trenta anni, tale situazione non ha affatto impedito né impedisce ai comunisti di sentirsi ed essere considerati tali, né tanto meno di far politica. (Per onestà intellettuale è doveroso un riferimento personale: il PCI è stato, fino allo scioglimento, anche il partito di chi vi parla. Oggi lo è quello dei DS). Ancora una volta, non è certo questa la sede per esporre organicamente tutte le considerazioni che questi due dati di fatto, che mi sembrano storicamente innegabili, pur meriterebbero. Su qualche elemento dobbiamo però, anche se problematicamente, cominciare a riflettere, almeno per chiarirci qualche punto del tema che questa sera siamo chiamati ad affrontare. Credo infatti si ponga qui con forza il problema dellidentità comunista: che essa riposi sulla costruzione di ben definite e razionali prospettive e forti obiettivi per il futuro, è stata sempre una diffusa e condivisa certezza. Che però non mi pare, a questo punto, abbia un sufficiente riscontro nella realtà. Non certo nel senso che ideologia e programmi non ci siano stati. Non si intende in questa sede fare valutazioni complessive sulla validità o meno delle prospettive politiche dal comunismo offerte in Italia, e sulle pratiche conseguenze che esse hanno comportato: che conseguenze positive ci siano state nel nostro paese, peraltro a lungo ed essenziali, lo si può cogliere anche solo guardando al contributo del PCI togliattiano alla fine di uninetta monarchia, alla stesura della carta costituzionale, e al democratico avvio della nostra vita repubblicana. Ciò su cui va rivolta qui lattenzione è invece solo se lideologia e i programmi, dalla ragione elaborati, costituissero poi il principale fondamento dellidentità politica dei comunisti. Se così fosse sarebbe innanzitutto difficile spiegarsi, per i motivi fin qui esposti, il fascino che fortemente esercita ancora oggi sui comunisti la figura di Pasolini stesso. Ovviamente non solo su di essi la personalità di questo grande e poliedrico intellettuale fa presa, ma è innegabile che nel largo pubblico dei non specialisti, proprio in quella direzione il rapporto è più immediato e profondo. Eppure ci sarebbero mille motivi perché fosse il contrario. A volerne ancora elencare qualcuno in aggiunta a quanto già detto, si può ricordare ad esempio che le Lettere luterane, oltre alla poco gradita collocazione nel Palazzo delle forze della sinistra ufficiale, contengono due proposte-provocazioni, come la richiesta alle forze progressiste di abolire la scuola dellobbligo e la televisione. La motivazione della richiesta è la perdita da parte dei giovani del popolo dei propri valori morali, cioè della propria cultura particolaristica La scuola e il video sono autoritari perché statali. Provocazione forse, è vero. Ma il loro senso per un intellettuale come Pasolini è chiaro, ed è un vero pugno nello stomaco per ogni comunista che non voglia abbandonare i figli del popolo alla loro cultura particolaristica; e creda nella possibilità di uno stato anche progressista e educatore (fin quando la sua dittatura non sarà resa inutile dalla maturazione del comunismo). La sfiducia di Pasolini nella storia vista come progresso, nel futuro come possibilità di riscatto umano, non potrebbe essere più netta. Marx e Lutero non sono conciliabili. Pasolini e Lutero invece sì, perché entrambi vedono il male nel divenire, nella storia, ed il bene invece in una Grazia che preesiste allindividuo, e il ricongiungimento alla quale implica nostalgia e ritorno, non impegno. Ricordiamo il luterano pecca fortiter, sed crede fortius (pecca fortemente, ma crede ancora più fortemente). Sembra la metafora della vita di Pasolini Lo stesso ultimo grande messaggio cinematografico pasoliniano, Salò o le centoventi giornate di Sodoma, meriterebbe gran parte delle critiche che si è guadagnate se non fosse per il finale, da qualcuno forse trascurato. Due giovani della milizia fascista, che hanno attivamente collaborato a quella montagna di sadismo e di male, parlano con semplicità di se stessi: ce lhai la ragazza sì come si chiama Margherita Così finisce il film. Leroe pasoliniano insomma, come già visto a proposito di Stella di Accattone, nemmeno concepisce di potere e tanto meno dovere non convivere col suo male, ed è inconsapevole di quel poco di purezza che ancora trattiene in sé. Prostituirsi o meno è irrilevante. Per il milite di Salò la cosa bella è che stasera uscirà con Margherita. Nome semplice e puro. Come Stella. A questa semplicità e a questa purezza non cè partito, comunista o meno, che debba aggiungere nulla. Importante semmai, se possibile, sarebbe togliere. Togliere le impurità per far risplendere la gemma. La vita è aspirazione a questo. Luteranamente, aspirazione a Dio. Pasolini può anche non far testo. Ma come si può spiegare il fascino formidabile che esercita ancora oggi sui comunisti la figura di chi il comunismo ha destrutturato, senza saperlo ricostruire? Mi riferisco a Enrico Berlinguer ovviamente, la cui strana fortuna ha voluto che fosse in vita appoggiato dallarea riformista che oggi lo rilegge criticamente; e combattuto aspramente da unarea più radicale, che oggi lo ricorda invece con entusiasmo e conosce nei suoi confronti un fortissimo processo di identificazione politica. Per limitarsi ad una sola citazione, tra le infinite possibili, Massimo DAlema (che fa ovviamente parte del primo gruppo) nel suo recente libro A Mosca lultima volta. Enrico Berlinguer e il 1984 (Donzelli Editore. 2004), dopo aver garbatamente demolito lintera logica della politica berlingueriana e sottolineato linsufficienza e la debolezza della sua proposta, sottolinea però (come non possono non fare tutti, compreso chi parla) lenorme spessore morale della sua figura. Scrive a pag. 102: «Dovera allora la ragione profonda del fascino di questuomo politico così diverso
? Certamente nel nesso fortissimo - mai esibito ma percepibile - tra dimensione etica, passione civile e politica. Letica non solo nel senso rilevante ma in fondo banale di un personale disinteresse. Letica nel senso weberiano della responsabilità». Fede politica, critica radicale del reale in quanto tale: due caratteristiche dellapproccio di Pasolini alla politica, che troviamo dunque fortemente incardinate anche nella personalità di Berlinguer. E in quella di tantissimi comunisti. La crisi delle ideologie, daltra parte, non investe certo solo il marxismo. Le enormi contraddizioni dello sviluppo globalizzato rivelano immediatamente, anche a chi non le voleva vedere, le contraddizioni e i limiti del neo-liberismo, il pensiero unico degli anni ottanta. Ciò non significa, beninteso, che esso non funzioni. Ma che va combattuto e corretto attraverso un nuovo welfare, che mostrerà a sua volta i suoi limiti e le sue contraddizioni. Ogni partito, ogni individuo, dovrà effettuare le sue scelte. E quando le spalle saranno abbastanza robuste da consentire laccettazione del provvisorio, non quale che sia, ma quello scelto, si scopriranno anche i grandi spazi e le possibilità immense di azione che i nostri anni consentono. [Intervento dagli "Atti del Convegno" di Frosinone]
|
. |
![]()
|
|