"Pagine corsare"
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Tomáš Matras - Temi e aspetti del Pasolini corsaro e luterano

5.2.4 La questione della lingua

In questo capitolo sono avvicinati sei interventi, che vanno dal 7 gennaio 1973 al 7 novembre 1974. Il tema centrale di essi è la varietà delle forme di diversi tipi di linguaggi e alcuni cambiamenti importanti che si sono verificati al loro interno con l'avvento della società dei consumi. Si tratta di un tema osservato con straordinaria acutezza da Pasolini, anche perché l'autore era filologo di formazione. Negli interventi a proposito della lingua, Pasolini si sofferma tra l’altro sulla sincerità del linguaggio del corpo, critica l’unificazione linguistica del paese da parte delle aziende e descrive l’ambiente linguistico delle culture particolaristiche.

Nel primo articolo raccolto in Scritti corsari, [216]  Pasolini tocca il tema della comunicazione corporea. Pasolini incontra per la prima volta i capelloni, i ragazzi che portano i capelli lunghi, a Praga nel gennaio del 1965. [217] Il messaggio espresso dal loro aspetto è però destinato a cambiare rapidamente: mentre negli anni ’66-’67 i capelloni secondo Pasolini si opponevano alla società consumistica e all’integrazione in essa, negli anni ’68-’70 non esprimevano più nient’altro che l'appartenenza alla sottocultura di destra, perché il fascismo ha la capacità di assorbire le altre sottoculture e farle proprie; e allora non si distingue più il provocatore capellone dal rivoluzionario capellone. In più portare i capelli lunghi da tempo significa adattarsi alla moda e all’omologazione senza libertà, il che, secondo Pasolini, è molto servile e volgare.

Sembra che Pasolini accomuni la scelta culturale di portare i capelli lunghi con quella politica, che solo l’ideologia dell'autore sa combinare facilmente. D’altro lato, ad esempio, molti giovani cadono nella trappola quando scelgono i vestiti, perché la moda utilizza solo l’aspetto esterno dei vari modi di comportamento e di attività giovanili. In questo senso, a volte i giovani confondono un valore esterno con quello interno, pensando che, ad esempio, se si vestono con un certo vestito di marca acquisiranno automaticamente certe qualità “interne”. Non esiste in definitiva una grande differenza tra il linguaggio delle parole e il linguaggio del corpo, che può essere anch’esso ben manipolato dal conformismo.

Passando ad un altro tipo di linguaggio, Pasolini in un successivo intervento analizza il linguaggio pubblicitario prendendo in considerazione lo slogan dei jeans Jesus: “Non avrai altri jeans all’infuori di me!” [218] Lo slogan è di Emanuele Pirella e fu accompagnato da una foto di Oliviero Toscani [219] che però, nel suo già citato libro non spiega i motivi di una tale scelta. [220

Il linguaggio pubblicitario sembra  a Pasolini puramente pragmatico e comunicativo; se è espressivo, la sua espressività è stereotipata, rigida, ben diversa da quella vera, passibile di interpretazioni “infinite”. L’autore trova nello slogan dei jeans Jesus un’evoluzione nuova di un’espressività imprevista:

Lo spirito blasfemo di questo slogan non si limita a una apodissi, a una pura osservazione che fissa la espressività in pura comunicatività. Esso è qualcosa di più che una trovata spregiudicata (il cui modello è l'anglosassone «Cristo super-star»): al contrario, esso si presta a un’interpretazione, che non può essere che infinita: esso conserva quindi nello slogan i caratteri ideologici e estetici della espressività. [221]
Pasolini risponde alle voci critiche dell'Osservatore romano, [222] sostenendo che la Chiesa ha fatto un patto con la borghesia ed ha accettato il fascismo. Secondo l’autore il vecchio legame tra la Chiesa e lo Stato crolla e viene sostituito dalla nuova borghesia che promuove una “religione” a uso di consumatori pragmatico-edonistici. Lo slogan dei jeans Jesus è cinico, intensivo, innocente e nuovo. È stato creato da laici che sfruttano gli ultimi resti della tradizione. Il futuro della comunicazione sarà fatto da elementi e modi completamente nuovi.

Paradossalmente, il consumismo sembra usare gli stessi strumenti usati dalla Chiesa nei primi anni della sua esistenza, adottando una “metapropaganda”, e utilizzando come simbolo qualcosa di affermato, radicato. Piuttosto che di nuovi significati impliciti, prevale ora così la tendenza alla sconsacrazione. 

In un terzo intervento, dedicato all’unificazione linguistica del paese, un tema d’altronde già frequentemente trattato in precedenza, l’autore stabilisce un confronto tra l’Italia eccentrica, concreta, dei dialetti e l’Italia centralistica del potere. [223] L’Italia era un paese molto vario con la preponderanza di lingue, abitudini e culture locali, e il dialetto pareva eterno nei confronti dell’italianizzazione del paese. Il processo di unificazione linguistica doveva partire secondo Pasolini dal basso e non dalle aziende. [224] Infatti, come l’autore aveva già affermato nel suo saggio Nuove questioni linguistiche del 1964,
si potrebbe dire, insomma, che centri creatori, elaboratori e unificatori di linguaggio, non sono più le università, ma le aziende. [225] E ancora:

Voglio dire che mentre la grande e piccola borghesia di tipo paleoindustriale e commerciale non è mai riuscita a identificare se stessa con l’intera società italiana, e ha fatto semplicemente dell’italiano letterario la propria lingua di classe imponendolo dall’alto, la nascente tecnocrazia del Nord si identifica egemonicamente con l'intera nazione, ed elabora quindi un nuovo tipo di cultura e di lingua effettivamente nazionali. [226]
Ora Pasolini può trarre alcune conclusioni sul processo, assimilando scomparsa dei dialetti e “perdita della realtà”:
L’italianizzazione dell’Italia pareva doversi fondare su un ampio apporto dal basso, appunto dialettale e popolare (e non sulla sostituzione della lingua pilota letteraria con la lingua pilota aziendale, com’è poi avvenuto). Fra le altre tragedie che abbiamo vissuto (e io proprio personalmente, sensualmente) in questi ultimi anni, c’è stata anche la tragedia della perdita del dialetto, come uno dei momenti più dolorosi della perdita della  realtà  (che in Italia è stata sempre particolare, eccentrica, concreta: mai centralistica; mai «del potere»). [227]
Pasolini sostiene anche che, anche se materialmente povero, il popolo era più libero, perché poteva esprimere “l’infinita complessità dell’esistere” [228] con la propria lingua. Il mondo delle culture particolaristiche è entrato però in crisi nel momento del giudizio sul proprio modo di vita, quando si è confrontato con la situazione economica dei centri del paese, fino ad ammettere l’incertezza dei propri valori o addirittura fino all’abiura dal proprio stile di vita. 

Pare che Pasolini abbia giustamente interpretato il problema dell’unificazione linguistica in Italia come un problema prevalentemente politico ed economico. Un paese, volendo essere più compatto e forte economicamente, politicamente e militarmente, tende all’unificazione del particolarismo dei popoli che vivono nel suo territorio, perché con l’unità e la compattezza aumenta il suo prestigio internazionale: l’unificazione culturale e linguistica, allora, non è che un’eco lontana della travagliata unificazione politica del paese.

Un nuovo intervento in cui si tocca il problema dei cambiamenti nei linguaggi, provocati dall’omologazione consumistica, risale al giugno 1974. [229] Nelle differenze tra linguaggio verbale, più convenzionalizzato, povero, e quello fisico e mimico, si può notare quanto sia stato profondo il cambiamento portato dalla “mutazione antropologica”. Pasolini vede in essa un'omologazione a un unico modello di comportamento, di aspetti, di sogni, ancora diversificati nel 1968. [230

L’autore in un successivo intervento [231] afferma che un ulteriore risultato della falsa tolleranza e del consumismo è la “fossilizzazione del linguaggio verbale”. [232] L’allegria d’oggi, la cui causa è la nevrosi dovuta a un modello sociale non realizzabile e umiliante, secondo l’autore, è esagerata, ostentata, aggressiva, offensiva.

Pasolini tornerà ancora a parlare di linguaggio del corpo, importante “perché è un linguaggio che equivale a un altro: anzi, spesse volte, è molto più sincero”. [233

Concludendo appare opportuno riportare un’osservazione di Roland Barthes sulla lingua come struttura di potere, il che richiama per analogia i paragoni col fascismo presenti nella saggistica pasoliniana: 

La lingua, come performance di ogni linguaggio, non è né reazionaria né progressista: è semplicemente fascista, perché il fascismo non è impedire di dire, è obbligare a dire. [234
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NOTE
[216]  P.P. Pasolini, Contro i capelli lunghi, in “Corriere della sera”, 7 gennaio 1973, ora sotto il titolo Il "discorso" dei capelli, in Scritti corsari cit., pp. 5-12.
[217]  Cfr. W. Siti e S. De Laude, Pier Paolo Pasolini: Saggi sulla politica e sulla società cit., p. 1759.
[218]  P.P. Pasolini, Il folle slogan dei jeans Jesus, in “Corriere della sera”, 17 maggio 1973, ora con il titolo Analisi linguistica di uno slogan, in Scritti corsari cit., pp. 13-19.
[219]  Cfr. W. Siti e S. De Laude, Pier Paolo Pasolini: Saggi sulla politica e sulla società cit., p. 1760.
[220]  O. Toscani, Reklama je navoněná zdechlina cit., pp. 120-121: “Procházeli jsme se po Broadwayi, kde se hrál Ježíš Kristus Superstar. Okamžitě jsem mu navrhl, aby své džínsy nazval Ježíš. ‘Ty jsi blázen!’ zvolal”, (trad. it.: “Camminavamo per Broadway, dove davano Gesù Cristo Superstar. Gli proposi immediatamente di chiamare i suoi jeans Gesù. ‘Ma sei pazzo!’ esclamò”).
[221]  P.P. Pasolini, Il folle slogan dei jeans Jesus cit., p. 18.
[222]  Cfr. Stupirsi?, trafiletto non firmato, in “L’Osservatore romano”, 7-8 maggio 1973, che esprime un’opinione fortemente contraria allo slogan, cit. in W. Siti e S. De Laude, Pier Paolo Pasolini: Saggi sulla politica e sulla società cit., p. 1760. 
[223]  P.P. Pasolini, Il ricordo di un mondo che parlava il dialetto, in “Il Tempo”, a. XXXV, n. 2, 11 gennaio 1974, ora con il titolo Ignazio Buttita: Io faccio il poeta, in Scritti corsari cit., pp. 220-225.
[224]  Per un intervento sul rapporto tra la borghesia e la tradizione culturale e linguistica rimando a P.P. Pasolini, Il povero latino, in “Vie nuove”, 27 settembre 1962. 
[225]  P.P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche cit., ora in Empirismo eretico cit., p. 18.
[226]  Ivi, p. 20.
[227]  P.P. Pasolini, Il ricordo di un mondo che parlava il dialetto cit., pp. 221-222.
[228]  Ivi, p. 222.
[229]  P.P. Pasolini, Il potere senza volto cit.
[230] Per un quadro sulle risposte all’intervento, che ne criticano la genericità dei caratteri, rimando a W. Siti e S. De Laude, Pier Paolo Pasolini: Saggi sulla politica e sulla società cit., p. 1765. 
[231]  P.P. Pasolini, Ampliamento del “Bozzetto sulla rivoluzione antropologica in Italia”, in “Il Mondo”, 11 luglio 1974, ora in Scritti corsari cit., pp. 66-77.
[232]  Ivi, p. 72.
[233]  P.P. Pasolini, Colpo di testa del capro espiatorio, in “Panorama”, 7 novembre 1974, ora in Scritti corsari cit., p. 290.
[234]  R. Barthes, Lezione tenuta al Collège de France il 7 gennaio 1977, cit. in M. De Benedictis, Pasolini – La croce alla rovescia, De Rubeis, Anzio 1995, p. 90.
 

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IMMAGINI
il manifesto di Oliviero Toscani per i Jesus jean: in questo caso lo slogan ("Chi mi ama mi segua") è dello stesso Toscani; anni '70, il manifesto dei Jesus jeans campeggia su un palazzo di New York.

 

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