La saggistica

"Pagine corsare"
Saggistica

Pier Paolo Pasolini:
ieri come oggi la "diversità" uccide
di Eleonora Gitto
3 novembre 2008, "Resistenza laica"

La notte fra l’1 e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini fu ucciso. Oggi ricordare Pasolini non è semplicemente rendere omaggio a un grande uomo. Non è necessario richiamare alla memoria il fatto di cronaca che ha segnato una pagina nera della nostra storia. Di questo si è già tanto parlato. Ciò che il ricordo di Pasolini richiama alla mente, in questo giorno, alla luce di quanto succede in Italia è il tema della "diversità". Pasolini era omosessuale. Questo non era un mistero per nessuno, anche perché egli stesso ha tanto "teorizzato" la sua "diversità", scrivendone e sviscerandone gli aspetti. Per questo è stato ucciso. La "diversità" spaventa. Ieri come oggi. Le pagine di cronaca ci offrono continuamente l’immagine di un’Italia che, a distanza di più di trent’anni, ancora vede il diverso come nemico da combattere.

La Chiesa nega il sacerdozio ai gay, Paola Binetti associa l’omosessualità alla pedofilia, nelle città si è aperta la caccia ai gay. Arretratezza culturale, involuzione. L’omosessualità è ancora una colpa per i benpensanti medio piccolo borghesi. 

Della diversità Pasolini, nel 1974, su "Il Mondo" scriveva: "Si tratta, tutto sommato, di una delle tante forme di liberazione la cui analisi e la cui accettazione forma in genere l’orgoglio di un intellettuale moderno". Forse per questo egli è diventato l’icona stessa della diversità. Pasolini fu capace di scatenare grandi dibattiti fra i sostenitori dell’omosessualità come condizione naturale dell’uomo al pari dell’eterosessualità e fra quelli che la ritenevano una "malattia" o una "perversione". Argomenti che ancora oggi dividono. 

Nel primo caso, si argomenta, si prediligono i rapporti sessuali con persone del medesimo sesso da parte di soggetti con base anche eterosessuale, dove può non esistere il limite tra le due sfere, successivamente anche restringersi esclusivamente alla componente omosessuale dietro scelta personalmente vissuta. In questo caso sarebbe una libera scelta, non derivante da motivazioni traumatiche, da "blocchi" repressivo-coercitivi ma di completa apertura verso tutte le manifestazioni del piacere. In questi casi l’omosessualità non sarebbe una malattia. D’altra parte negli stessi rapporti eterosessuali spesso i partners si abbandonano a manifestazioni e slanci simulanti sodomizzazione. L’omosessualità diventa malattia quando è coercitiva, nel senso di una condizionata forzatura per preesistenti complessi o traumi infantili-educativi o anche per costituzionalità, quindi, scelta obbligata. Per Pasolini "non esiste uomo che non sia 'anche' omosessuale". Molte volte "la omosessualità" insita in un individuo rimane larvata e protetta da una "esplosione" di sentimenti moralistico-religiosi o sensi di colpa. 

Comunque sia, tesi condivisibili o meno a parte, rimane il fatto che ancora oggi gli omosessuali sono costretti a vivere dolorosamente e in solitudine il dramma della loro "diversità". E come spesso succede, il dolore genera rabbia, la rabbia ribellione. Quindi si assumono atteggiamenti di sfida, come sbandierare in modo esibizionistico modelli di comportamento "singolare", chiassoso e "provocante" che li costringe in uno stereotipo, dai più, inviso. Non risolvono così i loro problemi, soprattutto quello della solitudine, anzi li accentuano. Ma, spesso, questo diventa l’unico modo per dire "Eccoci, ci siamo. Anche noi abbiamo diritto ad avere una vita normale". 

Solo una società ancora intrisa di vetero-cattolicesimo, bigotta, che ha rigurgiti nazifascisti può pensare all’omosessualità come una colpa da fare espiare nei lager. Solo l’idea della "diversità" vista in chiave negativa, come "minaccia" della propria identità può generare quei sentimenti di paura, ansia, sospetto che pongono, per autodifesa, l’eterosessuale in un gradino più alto nella scala dell’umanità. 

Se vivessimo in una società più civile, in cui l’essere umano è valutato solo per quello che è, per le sue azioni, per il suo senso civico, per la sua correttezza, e non per le preferenze sessuali nessuno avrebbe bisogno di ostentare, enfatizzare il proprio essere gay, etero, nero, giallo, rosso. Una società davvero civile pone l’umanità tutta sullo stesso gradino. 

Pasolini scriveva di essere "non appartenente a nessuno, libero d’una libertà che mi ha massacrato… il mio blocco sessuale che mi rende un diverso … è anche la mia privata tragedia". E’ una condizione che forse vivono molti omosessuali. Ci si può anche abituare a una determinata attività sessuale che alla fine ne diventa la loro unica manifestazione, che certamente non è meno unica dei rapporti eterosessuali solo perché "amore non procreante". Procreante o meno è pur sempre amore. Perché si deve negare? Perché considerare gli omosessuali "malati" al punto da farne oggetto di studio tanto da elaborare tesi sulla loro esistenza alla stregua dei "fenomeni" anomali? 

Quanta ignoranza e quanti pregiudizi si nascondono dietro l’arroganza, la presunzione, 
l'ipocrisia e il delirio di onnipotenza, di chi pensa di potere entrare impunemente, negando Costituzione e diritti sanciti, con tanta violenza nell’intimità degli altri per piegarla alle logiche di una "moralità" imposta e sovente contorta...

 

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INVITO ALLA LETTURA
BRANI DI PIER PAOLO PASOLINI


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A "PAGINE CORSARE"
DA OTTOBRE 1998

 


Pier Paolo Pasolini: ieri come oggi la "diversità" uccide, di Eleonora Gitto

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