"Pagine corsare"
Saggistica
«Il sangue, i vestiti, il plantare
Riapriamo il caso Pasolini»
Veltroni scrive ad Alfano: «Oggi la scienza può dirci la verità su quel delitto»
"Corriere della Sera", 22 marzo 2010
CON LA RISPOSTA DEL MINISTRO ANGELINO ALFANO
E LA DICHIARAZIONE IN REPLICA DI WALTER VELTRONI
ENTRAMBE DEL 26 MARZO 2010
Gentile Ministro Alfano,
vorrei cominciare questa lettera aperta con parole che vengono da lontano nel tempo: «Ritiene il collegio che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all’Idroscalo il Pelosi non era solo». È così che il presidente del Tribunale dei minorenni Alfredo Carlo Moro fissò il suo giudizio e il senso della sentenza con la quale il Pelosi fu condannato a quasi dieci anni di reclusione per l’uccisione di Pier Paolo Pasolini, intellettuale italiano. Le sentenze successive hanno confermato la responsabilità del ragazzo ma hanno sostenuto che lui fosse solo, quella notte. La verità processuale è fissata in quel giudizio della sentenza di secondo grado: «È estremamente improbabile che Pelosi abbia potuto avere uno o più complici». «Estremamente improbabile» non significa «assolutamente impossibile». D'altra parte quel ragazzo, uno che sembrava sociologicamente e fisicamente l'incarnazione di un personaggio pasoliniano, aveva fornito una confessione piena che escludeva il concorso di altri. Dunque perché cercare ancora?
Ma l’inchiesta, come hanno documentato in modo inappuntabile su «Micromega» Gianni Borgna e Carlo Lucarelli, fece acqua da tutte le parti. Come molte indagini di quegli anni. Ho rivisto in tv, in questi giorni, le immagini girate da quel grande giornalista che si chiamava Paolo Frajese a via Fani il sedici marzo del 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro, presidente della Dc e fratello del giudice Alfredo Carlo. Frajese faceva il suo dovere indugiando con il suo cameraman in mezzo ai corpi riversi a terra, ai berretti delle false divise, ai bossoli dei colpi sparati da terroristi e dai poveri agenti della scorta. C’erano decine di persone che passeggiavano sulla scena del più clamoroso attacco alla Repubblica. Qualcuno calpestava i proiettili, qualcun altro armeggiava con le portiere delle auto. Una follia. E non credo che ci appaia così solo perché ora tutti hanno imparato dall’America che la prima cosa da fare è isolare la scena del delitto. Era una follia, e peggio, anche allora. Era successa la stessa cosa nelle ore immediatamente successive all’omicidio di Pasolini nel buio desolato dell’Idroscalo di Ostia. Quando la polizia si era portata lì, nelle prime ore del mattino, c’erano dei curiosi attorno al corpo e di lì a poco, nel campetto attiguo, si sarebbe giocata una partita di calcio con tanto di pallone che cadeva nella zona del delitto e veniva rinviata da poliziotti gentili. Spariscono tracce, specie quelle degli pneumatici e dei passi. Indizi che credo sarebbero stati utili per accertare quante persone si fossero trovate lì e la dinamica dei fatti. L'automobile, la «stanza» fondamentale delle prove, viene consegnata alla scientifica solo quattro giorni dopo il delitto. In quella Alfa 2000 ci sono un maglione e un plantare per scarpe che non appartengono né a Pasolini né a Pelosi. C'è sulla portiera del passeggero, non quella del guidatore nella quale il ragazzo dice di essersi infilato di corsa per fuggire, una macchia di sangue, come l'impronta di una mano appoggiata. Ma l’auto, nel deposito della polizia, era rimasta aperta e sotto la pioggia.
Poi c’è un altro particolare. Pelosi ha solo un graffio sulla testa e una macchia di sangue sul polsino. È assai strano che sia così se le cose sono andate come lui ha raccontato, se c’è stata la feroce colluttazione che il ragazzo descrive nel suo volume «Io, angelo nero»: «Lui si trasformò in una belva. I suoi occhi erano rossi rossi e i tratti del viso si erano contratti fino ad assumere una smorfia disumana... Lo stesso bastone me lo tirò in testa, io mi sentii spaccare in due, il cuore mi batteva fortissimo. Lui si fermava poi ribatteva ancora... Fatto qualche metro mi afferrò e mi tirò un cazzotto sul naso...», poi il racconto di una rissa selvaggia. Pasolini verrà ritrovato pressoché irriconoscibile, un «grumo di sangue». Ma a Pelosi basta, come raccontò, fermarsi ad una fontanella. Potrei continuare. Ma vorrei tornare alle parole del giudice Moro. Non credo che fosse un «complottista». Credo avesse osservato dati di fatto e incongruenze.
Chi poteva avere interesse ad uccidere Pasolini? Sulle colonne di questo giornale aveva scritto meno di un anno prima il famoso articolo «Il romanzo delle stragi », quello in cui diceva di sapere «i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer o sicari... Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che... coordina anche fatti lontani, che mette insieme pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero».
Non so se queste parole abbiano preoccupato qualcuno, se abbia preoccupato il lavoro che conduceva per la scrittura di «Petrolio». Ma erano anni bastardi, non dimentichiamoli. Anni in cui da destra e da sinistra venivano compiuti, come fossero normali, atti inauditi. Ai quali spesso seguivano appelli ben firmati per la libertà dei responsabili. Come accade per gli assassini dei fratelli Mattei che ora sono liberi in Sudamerica. Anni bastardi, nei quali poteva bastare essere una donna e civilmente impegnata per essere sequestrata e violata, come accadde a Franca Rame. Anni nei quali si facevano stragi e si ordivano trame. Non bisogna essere «complottisti» per domandarsi cosa diavolo c'entrasse la banda della Magliana con la scomparsa di una giovane cittadina vaticana o con l'intricata vicenda del Banco Ambrosiano o con il rapimento di Moro. Ma al di là delle convinzioni personali e persino al di là della ricerca di una matrice politica del delitto Pasolini esistono una serie di evidenze sulle quali oggi forse si può fare chiarezza. E non solo perché nel 2005 Pelosi ha ritrattato tutto dichiarando che ad uccidere Pasolini erano stati tre uomini che lui non conosceva. Ha detto molte verità il ragazzo e, dunque, forse nessuna verità. Mi domando che interesse avesse, in quel momento, a riaprire una vicenda per la quale aveva già scontato la pena. Mi domando se forse il tempo passato non avesse rimosso ciò che, negli anni del delitto, gli faceva paura.
Ma non conta. Stiamo ai dati di fatto: il paletto insanguinato, i vestiti, il plantare. Oggi le nuove tecnologie investigative consentono, come è avvenuto per via Poma, di riaprire casi del passato. Anche qui voglio usare parole non mie ma quelle che nascono dall’esperienza di Luciano Garofano, che ha diretto il Reparto Investigazioni scientifiche di Parma. Garofano è coautore con il biologo Gruppioni e lo scrittore Vinceti di un libro che si è occupato del caso Pasolini. «Oltre alle analisi del Dna che si potrebbero effettuare su molti reperti (alcuni dei quali mai sufficientemente presi in considerazione: il plantare, il bastone, la tavoletta...), attraverso lo studio delle tracce di sangue e di sudore, le scienze forensi vantano oggi un nuovo, importante alleato... La disponibilità degli abiti di Pasolini ma soprattutto quelli di Pelosi, ci consentirebbe di ottenere importanti informazioni sulla modalità dell’aggressione. Dallo studio delle macchie di sangue ancora presenti, si potrebbe infatti stabilire (e magari confermare) la tipologia di armi usate per colpire, le posizioni reciproche dell’omicida e della vittima e riscontrare quindi la attendibilità della versione fornita allora da Pelosi... Un caso che, come tanti altri enigmi del passato, non possiamo considerare chiuso».
Ecco, signor Ministro, è questo che voglio chiederle. Per questo, come per altri fatti della orribile stagione del terrore (come il caso di Valerio Verbano o gli altri che con il sindaco Alemanno abbiamo proposto alla sua attenzione) ora si può, si deve continuare a cercare la verità. Forse saranno smentite le convinzioni del giudice Moro, forse ci sarà una nuova ricostruzione. I magistrati a Roma hanno lavorato con dedizione e scrupolo alla soluzione del delitto di uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo. Ora la scienza e le tecnologie possono aiutarci a dire una parola definitiva. E lei, fornendo un impulso all’iniziativa della giustizia potrà assolvere ad una funzione assai rilevante. Conviviamo da anni con un numero di ombre insopportabile. Più ne dissiperemo e meglio sarà per tutti noi, per il nostro meraviglioso Paese. E più ancora della verità giudiziaria credo ci debba oggi interessare la verità storica. Grazie, Signor Ministro, della sua attenzione.
Walter Veltroni
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LETTERA DEL MINISTRO ANGIOLINO ALFANO IN RISPOSTA A WALTER VELTRONI,
PUBBLICATA DAL "CORRIERE DELLA SERA" IL 26 MARZO 2010
«Chiedo nuove indagini sulla morte di Pasolini»
Alfano a Veltroni: farò istanza al procuratore
La lettera che pubblichiamo firmata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano è la risposta a quella dell'esponente pd Walter Veltroni che il Corriere ha pubblicato lunedì 22 marzo. Veltroni sostiene da anni che la morte di Pier Paolo Pasolini nasconde ancora dei misteri e che ci sono prove per dimostrare che nel delitto del poeta furono coinvolte più persone, non soltanto Pino Pelosi. In particolare Veltroni confida nelle nuove potenzialità delle investigazioni scientifiche.
Gentile on. Veltroni, nella notte tra l’1 e il 2 novembre di 35 anni fa l'Italia intera veniva privata del contribuito di Pier Paolo Pasolini, lucida personalità della cultura italiana. Pierpaolo Pasolini si accorse per primo che negli scontri di Valle Giulia, i veri proletari erano i poliziotti figli del sud e della povertà, sradicati dai propri paesini e mal pagati. Ed il suo brutale assassinio ci ha anche impedito - per sempre - di conoscere le sue analisi sui ben più violenti fenomeni che negli anni a seguire avrebbero ferito ed umiliato la nostra democrazia. Lei, onorevole Veltroni, ci ricorda correttamente i numerosi dilemmi che le indagini svolte all’epoca dei fatti - con mezzi e tecnologie ben diversi da quelli odierni - hanno lasciato irrisolti. Ed in effetti, concluso il processo a Pino Pelosi, l’indagine meritava maggiori attenzioni finalizzate a chiarire se il ragazzo di vita di allora abbia agito da solo oppure insieme ad altri e con quali reali intenzioni. Serve a qualcosa a così tanta distanza dai fatti cercare ancora la verità?
La risposta è una sola: accertare la verità è sempre non soltanto utile ma necessario ed ancor più lo è quando la verità vale non soltanto ad accertare le responsabilità penali, ma a far chiarezza sul piano storico-politico oltreché su quello giudiziario (necessariamente limitato ad affermare responsabilità personali in termini di certezza). Condivido, dunque, ancora una volta, come già fatto nel recente passato - con riguardo alle vittime romane della violenza terrorista di ogni forma e colore che ancora oggi attendono verità e giustizia - l’opportunità di guardarsi indietro, senza paura e senza reticenze, perché è questa l’unica strada coerente con i valori di una democrazia finalmente matura. Per questa ragione - pur non avendo, com’è noto, alcun potere diretto in ordine all’eventuale provvedimento di riapertura delle indagini - da Ministro della Giustizia raccolgo volentieri e senza riserve il Suo invito poiché ne condivido le ragioni e ritengo di rendere un buon servizio al mio Paese inoltrando al signor Procuratore della Repubblica di Roma un’apposita istanza in tal senso. La lettera che pubblichiamo firmata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano è la risposta a quella dell’esponente pd Walter Veltroni che il Corriere ha pubblicato lunedì 22 marzo. Veltroni sostiene da anni che la morte di Pier Paolo Pasolini nasconde ancora dei misteri e che ci sono prove per dimostrare che nel delitto del poeta furono coinvolte più persone, non soltanto Pino Pelosi. In particolare Veltroni confida nelle nuove potenzialità delle investigazioni scientifiche.
Angelino Alfano
Ministro della Giustizia
N.B. Il testo pubblicato dal "Corriere" è stato trascritto integralmente (ripetizioni e caratterizzazioni in corsivo comprese) dal sito web del quotidiano.
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SULLA VICENDA LEGATA ALL'ASSASSINIO DI PASOLINI: VELTRONI DICHIARA
CHE LE PAROLE DI ALFANO SONO IMPORTANTI. E AGGIUNGE: "ORA LA VERITÀ"
AGI ROMA 26 MARZO 2010
Walter Veltroni ha apprezzato la decisione del ministro della Giustizia Angelino Alfano di chiedere al procuratore della Repubblica di Roma di riaprire le indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini. "Le parole con cui il ministro Alfano ha risposto alla mia lettera sono importanti perché con queste si riapre il caso Pasolini: l'inchiesta per quella terribile morte - anche grazie alle nuove tecniche scientifiche - potrebbe finalmente avere una risposta convincente e definitiva", ha dichiarato l'ex segretario del Pd in una nota. "Su quell'omicidio abbiamo avuto molte verità tanto parziali e contraddittorie da lasciare un'ombra pesante che si allunga sulla storia difficile e a tratti tragica di quegli anni", ha ricordato. "Non ho in mente colpevoli e neppure versioni precostituite, ma è importante che per persone dalla diversa storia come me e Alfano sia importante oggi ricostruire una vicenda che non è solo giudiziaria", ha sottolineato. "Con lo stesso spirito credo sia venuto il momento di cercare di far luce su tutti quegli eventi che hanno segnato un momento particolarmente oscuro del nostro recente passato, una fase che con efficacia è stata definita la notte della Repubblica", ha concluso, "alzare il velo da quella notte è una parte importante del percorso per restituire all'Italia certezze e fiducia".
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