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Vita Il colonnello Garofano dei Ris: Il caso di Pier Paolo Pasolini, trovato martoriato all'idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975, va riaperto. Ne è convinto il colonnello del Ris di Parma Luciano Garofano secondo il quale le nuove tecnologie a disposizione possono consentire "di acquisire le informazioni necessarie a ricostruire finalmente la dinamica del delitto", facendo sì che il caso non possa considerarsi chiuso. Le sue convinzioni, il capo del Ris di Parma, le mette nero su bianco nell'ultimo volume, edito da Rizzoli, Delitti e misteri del passato, scritto insieme a Giorgio Gruppioni e Silvano Vinceti. Spiega il colonnello Garofano che la prova del Dna e la tecnica del Bpa, utilizzata anche per il caso Cogne, potrebbero essere "valide per rileggere le modalità" del delitto avvenuto oltre trent'anni fa. A modo di vedere di Garofano "l'analisi del Dna si potrebbe effettuare su molti reperti". Perché alcuni di essi, denuncia il capo del Ris, "non sono mai stati sufficientemente presi in considerazione". Tante, infatti, secondo l'investigatore-autore di altri due volumi che ricostruiscono i delitti d'Italia che hanno fatto notizia le «falle del percorso indiziario». Si parte dall'auto sulla quale viene trovato Pino Pelosi, accusato di avere assassinato lo scrittore-poeta. Ebbene, secondo Garofano "l'auto è stata conservata in un modo quantomeno discutibile, né sembrano essere stati fatti rilievi all'interno circa la presenza di impronte digitali o altra tracce biologiche di interesse»; «nessuno poi - scrive ancora il capo del Ris - ha fatto rilevamenti sul pullover verde nè sul plantare, dal quale oggi potremmo ottenere materiale biologico sufficiente a una prova del Dna, nè sul bastone o sulla tavoletta e nemmeno sull'anello di cui Pelosi rivendicò la proprietà». L'altra tecnica che potrebbe consentire di riaprire il caso è quella della Bpa, che consente lo studio della distibuzione e delle caratteristiche morfologiche delle macchie di sangue. "La disponibilità degli abiti di Pasolini, ma soprattutto di quelli di Pelosi - dice Garofano - ci consentirebbe di ottenere importanti informazioni sulle modalità dell'aggressione. Dallo studio delle macchie di sangue ancora presenti, si potrebbe infatti stabilire (e magari confermare) la tipologia di armi usate per colpire, le posizioni reciproche dell'omicida e della vittima e riscontrare l'attendibilità della versione fornita da Pelosi". Insomma, per il comandante del raggruppamento investigazioni scientifiche, ci sono "una serie di piste non battute, una montagna di reperti ignorati, una tardiva quanto sconvolgente dichiarazione di innocenza del reo confesso" che costituiscono gli ingredienti giusti per raccogliere la sfida e per dire che "il caso non può essere considerato chiuso".
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