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Notizie C'era una volta Volterra
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![]() Il Carcere-Fortezza di Volterra C'era una volta un'isola. C'era una volta una città che non la voleva conoscere. C'era una volta un uomo che voleva scoprire territori umani ancora sconosciuti. C'era una volta Armando Punzo e il primo progetto di Laboratorio Teatrale nel Carcere di Volterra. Sono passati più di vent'anni da allora. Vent'anni nei quali la Compagnia della Fortezza ha presentato ogni anno un nuovo spettacolo, diverso ma legato a tutti gli altri. Vent'anni nei quali Armando Punzo ha continuato imperterrito il suo lavoro, la sua "vocazione", anche a seguito delle pesanti critiche post-operazione Hollywood nel '95 e della campagna denigratoria del '97. Non c'è intensità senza sfregio, non c'è bellezza senza imperfezione, non c'è soddisfazione senza lotta. Una lotta per la dignità nelle carceri. Come l'un tempo ministro della giustizia Giovanni Maria Flick ha sottolineato in questi giorni "la dignità è l'ultimo residuo di libertà, la libertà di coscienza". Giovanni Maria Flick è stato uno dei protagonisti di "Per Un Teatro Stabile In Carcere", rassegna di incontri, riflessioni, personaggi, storie ed eventi immediatamente successivi agli spettacoli. Da Scampia e Ubu Roi secondo Marco Martinelli al Libano secondo Zeina Daccache, dal giallo sulla morte di Pasolini di Roberta Torre al favolistico non detto di Vladimir Luxuria. Racconti filmici, racconti verbali ma anche racconti fotografici, perché ci piace parlare anche così di questa storia. In questa cornice si inscrive il lavoro di Stefano Vaja in via Turazza, dove Rich Cluchey e Placido Calogero rinnovano l'antica disputa su quale nastro di Krapp avesse più ascoltatori, tra testimonianze del Teatrino Giullare, del Pinocchio e del Marat-Sade (proprio quello dove in prima fila si poteva scorgere la signora Weiss). Ma anche quello di Andrea Macini nelle logge di Palazzo Pretorio, che ci propone un assaggio di Maurizio Buscarino che ci conduce irrimediabilmente a delle riflessioni sulla dignità, segno inspiegabile. Alfonso Santagata fu il primo, nel 1987 a provare a spiegarlo, nella casa circondariale di Lodi, Mancini non poteva mancare di ricordarlo. E poi una carrellata di immagini su esperienze italiane e europee: dalle case circondariali di Viterbo, Arezzo, Pistoia, Massa, Firenze, Livorno, Empoli, Pisa, San Giminiano a Carte Blanche Compagnia della fortezza e Newo (Italia), da Rikdrama/Riksteatern (Svezia) a Escape Artists (Inghilterra), da le Théatre de l'opprimé (Francia) a Aufbruch Kunst Gefagnis Stadt (Germania) e Kunstrand (Austria). Non potevano mancare accenni al "The Brig"del Living Theatre, ad Agorà Pasolini e alle Huis Clos di Sartre. Le porte erano chiuse per i personaggi di Sartre ma si sono aperte per questo Saggio sulla fine di una civiltà, questa Hamlice che ha fatto incontrare personaggi non solo di Alice nel paese delle meraviglie e Amleto, ma anche de La nostra signora dei fiori di Genet e de Il gabbiano di Checov. Una musica ci guida tra consumati tavoli in legno dove instancabili scrivani ci offrono uno squarcio di cosa è stato riempire 1500 fogli sotto il sole cocente per tappezzare il tunnel della performance. Pagine, pagine, pagine. Pagine sparse, qualcuno ci confida dopo lo spettacolo che il prossimo anno invece completeranno le pagine. "Venite, venite" dice il Bianconiglio, e noi andiamo. Entriamo in tunnel claustrofobico e ci imbattiamo nei fantasmi del Re, che cercano disperatamente di uscire dalle pagine, quanto i personaggi cercano disperatamente di uscire dall'avere sempre lo stesso ruolo. Quanto un carcerato cerca disperatamente di riacquisire la propria libertà. In scena il dramma del loro dramma. Ofelia, qui in versione Bilingual-Trans, ci dice chiaramente che "il mondo ha qualche somiglianza con il carcere, comunque vi chiamiate: anarchia, tirannia..." prima di rivolgersi ad un prete invitando-ci (-lo) ad avere compassione dei dannati, perché tutto è già scritto. A parer suo Amleto (He's Sooo Sad and He smells!) è l'uomo che ci darà la soluzione, e ci invita a seguirlo. Così ci addentriamo stanza dopo stanza nel that's what I am di ognuno: un frustrato Trigorin dietro le sbarre che si fa coccolare da canarini verdegialli si chiede perché la sua scrittura faccia progressi mentre lui rimane sempre più indietro; il re dei nostri cuori si lamenta del contratto a vita con questo teatro che non gli dava soddisfazione; toccanti monologhi si alternano a frasi lapidarie inscritte su monitor e tazze della sala da the ("sei una montagna di vita se l'idea della morte non ti terrorizza" - "la vostra ambizione è troppo stretta per le vostre menti). Alice scorrazza gaia nelle sue frivole vesti. Punzo ha parcellizzato il suo volto in due sezioni, forse un volto uniforme non avrebbe espresso nessun tentativo di evadere dal personaggio. Ci sembra davvero che "It's so nice to have you here", tra carillon e voci di bambini, cha cha cha della Medusa, Tamarindo Smell, Reginella che vuole andare a Parigi. "It's so nice to have you here" ma come in tutte le cose, arriva il momento di andarsene: processione finale all'uscita in grande stile. Arrivederci. E grazie.
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