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2 novembre 1998
Ciao, Pier Paolo

La morte addosso. La morte negli angoli del cuore.
Così ha vissuto Pier Paolo Pasolini, con il suo volto da cardo spigoloso,
la voce da bambino nevrotico, il corpo minuto e scattante.
Ha vissuto non una stagione all’inferno, quella stagione di cui scriveva un grande
poeta francese da lui amatissimo, Arthur Rimbaud. Ha vissuto una vita intera
all’inferno. Eppure quest’uomo, questo omosessuale dichiarato, questo
gran “ciarlatano”, questo scrittore corsaro che tutto sapeva di sé,
è stato sempre vittima,
complice ma soprattutto protagonista, di un mito che, qualsiasi cosa
si possa obiettare, rimane esistenzialmente valido: vita e arte
vissute come una cosa sola. Una identificazione
che crea fratture, rompe, fa star male chi la vive e chi gli sta attorno.
Vittima è anche chi lo ha ucciso, in quell’alba che cresceva nel livore
di un giorno dedicato al crisantemo.
Perché?
Ne abbiamo tutti letto abbastanza per avere ormai un’idea,
malvagiamente umana, di questo morire sognato, saputo, vissuto, scontato.
Di Pasolini rimarranno alcuni film in bianco e nero, altri nella meravigliata,
visionaria, passionale vitalità del colore. Ma di lui, uomo da gioco al massacro,
resterà nella memoria di chi leggerà i suoi versi, quel disperato amore di vita,
la sua violenza e la sua dolcezza.
Un uomo che ha sempre, con cuore chiaro, detto e scritto verità
non dichiarabili in un paese di bigotti, di frustrati,
di “peccatori” rimasti al confessionale della chiesa o del partito;
di conformisti, poco capaci di intendere, pronti all’insulto e allo sputo;
di servi, disposti a seguire acriticamente un qualsiasi "duce mediatico" appaia
loro, sorridente, troppo sorridente, da un teleschermo.
Una vita con il sogno di una morte così, un cadavere offerto alla sincerità
della poesia e del sesso.
Una lezione di chiarezza, quella di Pier Paolo Pasolini, di amore,
di non ambiguità. Ricerchiamola assieme, nei suoi versi: