La saggistica

"Pagine corsare"
Saggistica

Unicità e attualità di Pasolini
N. Z.
La Rete On Line, 13 giugno 2009

Pier Paolo Pasolini viene a malapena ricordato sui giornali intorno ai primi di novembre, o in qualche talk show televisivo mandato in onda durante la notte, ma solo per riproporre la ennesima salsa in giallo della sua tragica fine. Bella riconoscenza verso il più grande scrittore del Novecento. Di uno come lui, diceva Moravia, “ne nasce uno ogni cent’anni!”. E in effetti Pasolini è unico. Non soltanto per il fatto di essere un “autore multimediale”, ma anche perché in molti tratti delle sue opere la linea di confine tra il contenuto narrato e la vita reale dello scrittore sembra annullarsi. Vi sono luoghi descritti nei suoi romanzi (pensiamo a Ragazzi di vita e Una vita violenta) e nei suoi film (come Accattone e Mamma Roma), che sembrano anticipare quel tragico scenario dell’Idroscalo di Ostia che segna gli ultimi istanti della sua vita. Descrizioni che, a rileggerle, alimentano quel senso del mistero e del profetico di cui è profondamente intrisa la sua figura.

Il Pasolini meno ricordato è senza dubbio quello degli Scritti corsari: una raccolta di articoli, pubblicati tra il 1973 e il 1975, sulle prime pagine del "Corriere della Sera", giornale borghese e anti-operaio, allora diretto da Piero Ottone. Ottone si rivelò un grande innovatore: capì che la trasformazione della società italiana successiva al ’68, poneva dinanzi alla necessità di dare spazio alle opinioni più diverse, di creare un raccordo con il Paese reale. Ospitando una “Tribuna aperta”, il quotidiano milanese diede vita ad una inconsueta occasione di stimolo al dibattito pubblico, che contribuì a spezzare quel moderatismo tipico della borghesia italiana.

Da quella tribuna Pasolini si pronunciava in piena solitudine, manifestava concretamente il suo ruolo di intellettuale scomodo della letteratura e della cultura italiana. Si trattava di una collocazione difficile, da “reazionario di sinistra”, come direbbe Enzo Siciliano. I suoi pamphlet si scagliavano contro il consumismo, il potere democristiano, il permissivismo dei giovani, la posizione ufficiale del Pci. Se in alcuni casi la sua provocazione sembrava porsi in linea con chi contestava i comunisti da sinistra, in altri assumeva ragioni che potevano apparire gradite anche a destra. La sua tecnica partiva da dettagli che venivano sottolineati e ingigantiti (per esempio il taglio dei capelli, uno slogan pubblicitario, la scomparsa delle lucciole). Ne risultava, così, una analisi tendenziosa e deformata. Ma questa deformazione dava una straordinaria efficacia provocatoria ai suoi discorsi, oltre che una diversa immagine della società vista nella sua globalità. Come un sistema.

Pasolini parlava con insistenza di “omologazione” culturale, vale a dire di riduzione degli italiani a un modello unico di comportamento. Si trattava, però, di un processo non ancora giunto a pieno compimento. Nella nuova società uniforme, sosteneva il Poeta, c’è posto solo per il perbenismo consumistico e l’idolatria delle merci. Si assisteva così, ad un “genocidio culturale” prodotto da una nuova forma di potere, capace di impossessarsi del comportamento e della vita quotidiana degli individui.

Questi discorsi, ovviamente, non avevano nulla di originale. Pasolini si esprimeva su cose risapute a cui dava un forte connotato di enfasi. Ma di questo egli era ben consapevole. Tutto, insomma, era già stato detto. In particolare dagli esponenti della cosiddetta Scuola di Francoforte (Marcuse, Adorno, Horkheimer, e così via). L’unica differenza consisteva nel fatto che solo ora i fenomeni descritti dai teorici sociali in Germania e negli Stati Uniti, trovavano concreta realizzazione in Italia. Per lo scrittore friulano era come se si trattasse di una scoperta personale, di una “questione di vitale importanza”. E questo non poteva che dare vigore ai suoi memorabili j’accuse.

Il senso di fondo degli Scritti corsari è presente con estrema chiarezza sin dal primo articolo dal titolo Contro i capelli lunghi, uscito sulla seconda pagina del Corsera il 7 gennaio 1973. In quel testo Pasolini concludeva dicendo: “Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (...): ma ormai migliaia e centinaia di migliaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino. La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perché non è più libertà. E’ giunto il momento (...) che essi stessi se ne accorgano, e si liberino di questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda”. Ancora estremamente attuale.

 

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