Il cinema

"Pagine corsare"
Cinema

Teorema di P.P. Pasolini
Recensione di Andrea Ferrario
"Milano Internazionale"

Laura Betti nel film Teorema di Pier Paolo Pasolini
Oltre a essere uno dei film simbolo del 1968, “Teorema” di Pasolini è anche una dissacrante parabola sulla borghesia e un film lucidamente milanese. Il film prende avvio dalla situazione paradossale di un padrone che regala la sua megafabbrica agli operai e si svolge poi con un lungo flash back con cui si ripercorrono gli eventi che lo hanno portato a questa decisione. 

Nella lussuosa villa del padrone Paolo (Massimo Girotti) giunge un ospite bello e taciturno (Terence Stamp), che i protagonisti del film evidentemente conoscono, ma di cui lo spettatore non saprà nulla dall’inizio alla fine del film. La sua irruzione nella famiglia tipicamente borghese del padrone porta allo sconvolgimento dei singoli membri. Il misterioso ospite fa l’amore prima con la domestica Emilia, poi con il figlio Pietro, la moglie Lucia (Silvana Mangano), la figlia Odetta e, infine, con lo stesso Paolo. La gabbia borghese che racchiudeva la famiglia si infrange: Emilia diventa una santa che levita nell’aria, Pietro si dà alla pittura d’avanguardia, Odetta diventa pazza, Lucia si dà al sesso con giovani ragazzi e Paolo si incammina nudo verso l’ignoto con un grido di terrore.

La Milano che compare nella prima parte del film è quella canonicamente borghese: dal Liceo Parini di via Goito, ai dintorni di via XX Settembre e ai giardini della Guastalla, fino alla lussuosa villa di San Siro, recintata e chiusa da un imponente cancello. Quest’ultima è il luogo principale dell’azione di “Teorema” e Pasolini la descrive molto efficacemente con alcune semplici inquadrature: il giardino con un verde e un silenzio che a Milano solo i grandi borghesi si possono comprare, gli interni padronali lussuosi ma rigidamente sobri, la cucina enorme e gelidamente azzurrina in cui è confinata la domestica Emilia, la deserta strada antistante. 

Con l’arrivo del misterioso ospite nel film irrompe però un’altra Milano. Prima la campagna piatta a sud della città, con i suoi canali, i suoi filari di pioppi e i campi coltivati. Poi la cascina tipicamente lombarda in cui torna Emilia già in odore di santità, e di seguito l’attico da artisti in una casa di ringhiera in cui si rifugia Pietro, i borghi popolari e i caseggiati anonimi delle peregrinazioni ninfomani di Lucia (significativo in particolare lo sguardo esterrefatto e incredulo di Silvana Mangano all’uscita dalla casa di un suo amante su alcuni scorci di una Milano popolare e informe che probabilmente non aveva mai visto prima). 

L’ultima scena milanese è quella notissima di Paolo che nei grandi spazi interni della Stazione Centrale (il grande nodo del sistema di trasporti da cui transitano l’uno accanto all’altro tutti, dai borghesi ai proletari immigrati) si spoglia completamente nudo per dirigersi verso il proprio urlo disperato che chiuderà il film. La metropoli lombarda è quindi a tutti gli effetti una protagonista di “Teorema”, alla pari del misterioso ospite e dei membri della rigida famiglia borghese.

Un’ultima annotazione, che è d’obbligo in era di barbarie culturale leghista: Pasolini, che oltre a scrittore e regista, di professione era anche immigrato, prima in Friuli e poi a Roma, e che di quella che i leghisti chiamano volgarmente “Roma ladrona” è stato uno dei più profondi conoscitori e più partecipi abitanti, è riuscito a dipingere come nessun altro alcuni dei lati più intimi di Milano. “Teorema” dimostra quindi tra le altre cose che la milanesità autentica è un patrimonio aperto a tutti, e che vive anche del contributo di chi viene da fuori.

 

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Teorema di P.P. Pasolini, recensione di Andrea Ferrario

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