"Pagine corsare"
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Remake di un viaggio pasoliniano
Tutti i nomi dell'estate
un libro di Marco Ciriello
Feltrinelli Editore, 2009
«Pasolini diceva che "i maestri vanno mangiati in salsa piccante", questo l'ho capito dopo aver fatto il viaggio per scrivere il mio, volevo raccontare di lui e ho detto di me, volevo ricordarlo e invece l'ho perso: cercavo Pasolini ed ho trovato l'estate».
Nell’estate 1959 Pier Paolo Pasolini percorre in auto, per conto della rivista “Successo”, le coste italiane da Ventimiglia a Trieste. Ne esce un reportage in tre puntate dal titolo La lunga strada di sabbia.
L'autore ripercorre e attualizza il viaggio compiuto da Pier Paolo Pasolini nell'estate 1959, lungo le coste italiane da Ventimiglia a Trieste: i luoghi e le storie - il Po, la notte a Scampia, la normalità di Lampedusa e Carloforte....- raccontate in questo "taccuino di vIaggio" sono un po' wallaciane, un po' western, un po' metropolitane.
Marco Ciriello (1975) scrive per "Il Mattino" di Napoli e per "D. La repubblica delle donne". E' autore di due raccolte di racconti: In corsa (L'Ancora del Mediterraneo, 2004) e Qualcuno era venuto a turbare il nostro cuore (Pequod, 2006).
QUI DI SEGUITO, la prima pagina del libro di Marco Ciriello:
OSTIA
Il grande formicaio s’è mosso.
Oltre le dune, la rete, l’erba: il rumore del mare. Intermittente fra lo sfilare veloce delle auto. Idroscalo di Ostia, giorno lucente. Non poteva che cominciare dalla fine, questo viaggio. Dal luogo della morte di Pier Paolo Pasolini. La sua faccia aguzza, gli occhiali neri e quel sorriso con fossette, perso su questo prato arso. Ora, è quasi un posto normale. Nemmeno un fiore, ma tra i ruderi delle antiche civiltà che passarono e quelle che verranno, c’è un lembo di terra per la memoria. Finalmente.
Addosso ha gli occhi giganti di una procace candidata di An che dall’altro lato della strada promette un futuro migliore. Oltre c’è la piccola spiaggia di sabbia nera fra le baracche abusive a ridosso degli scogli, divenute pure case con il tempo, tirate su a pezzi, puzzle d’immagini diverse, incollate con la forza e il desiderio di avere un posto al mare, per riuscire a dire «anche io», e vi sia dolce la pioggia, che dire.
L’odore di nafta nell’aria, il pullman che scatarra nello spiazzo a dieci metri dall’acqua, ragazzi marocchini che allegri passano con enormi buste di plastica sulle spalle, di fronte un vecchio frigorifero nudo, ritto come un palo, totem artificiale: veglia e protegge la giornata dei bagnanti. Sulla destra: i cantieri navali del porto di Roma che assemblano – fra la meraviglia degli astanti – barche di lusso non fatte per questi mari, che mai li solcheranno. Qui c’è una strana umanità, distesa al sole che quasi non si cura dell’acqua del mare, mentre i bimbi scavano buche nella sabbia e qualcuno insegue i “cuccioli di pesce”, le mamme grasse – con indosso rigorosi costumi d’unpezzo, quasi sempre neri «perché snelliscono un botto» – chiacchierano allegre mentre pescano a memoria nella busta fra le creme protettive e i panini, coppie miste: un po’ come giocare al lotto fatto in casa. Due i temi: euro e cibo. Sulla sinistra con vista scogli e rifiuti c’è un bar che ha conquistato lo spazio a colpi di tavole legnose, modello ranch, poi colorate di giallo e rosso con aggiunta di graffito in corso d’opera e a giudicare da come il proprietario si guarda il ragazzino che lavora di bomboletta e immaginazione: gli sembrerà un Basquiat. Non ci sono ombrelloni ma solo sdraio, e i gruppi familiari stanno ognuno perso nella privacy dell’altro, quasi a replica delle disposizione delle case-baracche.
Consumano il giorno, per nulla distratti o impauriti dall’infinita tristezza del posto. Come la chiami una estate così? Che nome ha? Non basta il sole a illuminare la vita di uno che sceglie di non vedere quello che c’è qua intorno e ci viene uguale: eroico, caparbio, cieco, oltre che privo di olfatto. Oppure solo povero che si deve accontentare.
Lascio questo quadro che sembra partorito da Tiziano Sclavi e disegnato da Riccardo Mannelli, intristito da tanto odioso coraggio. Ognuno costruisce il suo paradiso con quello che ha. A sera finirò per rimpiangere la loro libertà e per capirli. Da Ostia lido fino a Fregene è tutto un supermercato del mare. Il modello era la riviera romagnola poi è diventato baywatch, non c’è una spiaggia non attrezzata, che non abbia il suo parco giochi, i suoi campetti, il fortino, gli ombrelloni in fila, le sdraio uguali, e che soprattutto non te le imponga, nessuno ha più voglia di stravaccarsi per terra o di inventarsi il campo di gioco; tutto è pensato, inquadrato, organizzato. Vago fra queste truppe allineate di bagnanti, ignorando le richieste di sdraio e ombrelloni, disertando i parchi giochi e il chiasso dei bambini, nessuno che faccia buchi nella sabbia, e nemmeno nessuno che legga, i ragazzi sopra i quattordici (a occhio) hanno tutti l’Ipod e come tarantolati sobbalzano sulle sdraio ascoltando le hit dell’estate. Dopo aver rubato un bagno in un mare per nulla limpido, c’è il tempo per una visita a una vecchia colonia marina in onore di Vittorio Emanuele III, logorata dalla salsedine, ma con ancora un altero pensiero da esibire, diffuso sulle facciate giallo stinte affacciate sul mare, capaci di scavalcare il muro di lidi che chiude la vista dalla strada sulle spiagge.
A Fregene trovo: un buco, un corridoio, rettangolo di sabbia, calcolo sbagliato fra il club di vela (chiuso) e un lido. Guadagno l’affaccio sul Tirreno attraverso un trampolino molle e sabbioso, mi bagno in una zuppa d’alghe, e torno subito a riva, con me c’è un giannibrera (ferroviere in pensione, scoprirò dopo) abbronzantissimo con tanto di pipa e inserto culturale del Sole24ore, una ragazza ucraina persa nella conoscenza della nostra lingua con l’aiuto di Margaret Mazzantini, due signore sedute nell’acqua che discutono d’affitti, e un moretto silenzioso che vorrebbe prendere il posto della Mazzantini fra le mani della ragazza. Più in là, fra le due reti che delimitano questo morso di spiaggia libera, c’è un consumato maschio latino: testa color mogano che non bagna: forse perché non crede nella resistenza del colore (come da promessa lozione), al collo ha un triplo giro di collane e ogni volta che torna dall’acqua massaggia la moglie bianchissima e magra, immobile su una vecchia sdraio che doveva già esserci quando Pasolini passò di qui nell’estate del ’59. Al tramonto, seguendo le indicazioni di una pubblicità imperante (ogni dieci metri ti ricordano che stai perdendo una straordinaria occasione) vado a vedere le«villette esclusive» che si vendono, e mi ritrovo a vagare in una pineta con case basse, con le Smart come optional o come mostrina e/o segno di riconoscimento, parcheggiate di lato. Tutte così. Silenzio, ombra, pace. Ma io non riesco ad adattarmi, si percepisce la vita dei proprietari, discreti e gelidi, rinchiusi come frati in queste grandi celle piene di comfort. Dopo un’ora di stradine e pini contorti fra tetti altoatesini (a mare?) lascio questa pace eccessiva e vado a Santa Marinella, voglio riempirmi gli occhi della bellezza delle costruzioni di Luigi Moretti.
Il mare sembra migliorare, complice forse il tramonto. E anche le mie impressioni prendono una piega di positività, passeggiando sul lungomare si sente l’abitudine di chi ci viene da sempre, la ripetitività dei gesti, gli amori che nascono e muoiono, insomma quel continuo fare e disfare, tipico dell’estate e dei luoghi marini. Incontro molte Micol da Finzi-Contini che sembrano sentirsi assediate solo perché uno bordeggia il loro giardino. Intanto, a orizzonte, aerei passano di continuo.
A Ostia lo sorprende un temporale «blu come la morte». È insieme a Elsa De Giorgi, attrice e scrittrice, e parlano della mancata vittoria dello Strega. Ma sembra più dispiaciuta lei di lui. Pasolini pensa al sud, a quello che lo aspetta, a quello che i suoi occhi vedranno, ed è quasi contento quando la lascia al Circeo. Prima è passato a salutare Moravia, per lui quasi ogni posto è un nome, e dietro quel nome c’è un mondo. Dividerà un pezzo di strada con due tedeschi, una coppia di adolescenti dal forte senso estetico, due studenti di architettura che fanno il gran tour e ovvio sono diretti in Sicilia. «Sarà un viaggio tutt’altro che comodo», gli dice.
VEDI ANCHE:
La lunga strada di sabbia, di Philippe Séclier
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