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Saggistica Anche il jazz nei film di Pasolini Gli Appunti per un’Orestiade africana sono costituiti da una serie di annotazioni filmiche finalizzate alla trasposizione cinematografica dell’Orestea di Eschilo; riprese e commenti costituiscono il canovaccio, un promemoria da sviluppare, sul tipo di quello che lo stesso regista friulano aveva realizzato quando aveva immortalato su pellicola il sopralluogo preliminare in Palestina finalizzato alla realizzazione di uno dei suoi film più riusciti e conosciuti: Il Vangelo Secondo Matteo. Anche la tecnica è molto simile: sulle immagini che scorrono, immagini che, mi auguro, potranno sempre essere preservate dagli effetti corruttivi del tempo anche a mezzo di adeguati restauri conservativi, immagini anche poetiche che raffigurano povertà estrema e dolore, ma anche, in qualche modo, speranza, curiosità, volontà e fiducia in un futuro migliore per il continente africano (le espressioni, i commenti, e, mi affretto ad aggiungere, la scarsa, a tratti, chiarezza di idee degli studenti universitari africani della ‘Sapienza’ di Roma che partecipano al film, non sembrano testimoniare e giustificare questa fiducia, però) il commento che descrive, puntuale, a tratti commovente, a tratti, si potrebbe dire, ‘visionario’, e a volte, almeno in apparenza, ingenuo, di Pasolini. Un lavoro di inestimabile valore storico e artistico che qui rievochiamo perchè Pasolini propone anche, nell’ambito dello stesso lungometraggio, un‘Orestiade ‘musicale‘ (le immagini furono girate al Folkstudio di Roma), una sorta di dramma dove ognuno dei protagonisti ed i fatti narrati nell’opera eschilea trovano la propria voce, il proprio svolgersi, descritti in musica, con degli strumenti musicali e con dei musicisti che suonano utilizzando la tecnica, tipica del Jazz, in particolare del Free Jazz, dell’improvvisazione. Una perla, quindi, questa jam session in finale d’opera; vi partecipano un ancora giovane, e vagamente somigliante all’attore irlandese Daniel Day Lewis, il sassofonista argentino Gato Barbieri, il batterista Don Moye ed inoltre i cantanti Yvonne Murray e Archie Savage. Costituisce, il film, una ulteriore dimostrazione non solo dello straordinario talento artistico, della apertura mentale e della statura intellettuale di Pasolini, sempre una spanna al di sopra di chiunque, avuto anche riguardo al periodo storico culturale in cui egli si trovò ad operare, ma anche dell’universalità del linguaggio musicale (caratteristica che il Jazz, genere musicale che costituisce uno degli strumenti d’espressione più popolari dei neri d’America, condivide con il genere pop). Tutto, in quest’ultima parte del film, è dovuto alla potenza espressiva e alla capacità della musica di farsi portatrice di messaggi, emozioni e suggestioni, anche al cinema.
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