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Pasolini nei blog Pasolini a Ostia 28 ottobre 2009 - "Comitato per la memoria attiva di P.P. Pasolini"
A 20 anni dalla morte, che si è tragicamente e violentemente consumata all’Idroscalo di Ostia, una comune sensibilità ha raccolto intorno al progetto tanti tra coloro che da anni cercano di contribuire a tener vivi, non solo la memoria, ma il significato della sua opera artistica e delle opere di vita e che sono i gesti, le passioni, gli atti della sua esistenza. Nasce, quindi, l’idea di un Comitato che abbia carattere permanente, formato da tutte le intelligenze operose del territorio, capace di iscrivere il progetto nella continuità, in stretto rapporto con esponenti della cultura nazionali e internazionali. Il Comitato mette in atto iniziative culturali e convegni che hanno al centro la figura del grande Poeta d’opposizione, ma soprattutto s’impegna a dare dignità e decoro al luogo del suo assassinio. Prima della formalizzazione del Comitato, nasce, nel marzo del 1990, l’Associazione Pier Paolo Pasolini, con sede in Via dei Fabbri Navali presso la CGIL che conta tra i suoi soci fondatori l’allora segretario di Zona, D’Alessio, e, oltre a Rosati, Magnani, Jorio, Arnaldo Agostinoni, Alberto Petrosellini, Tonino Colloca, Sergio Spirito, Luigi Terrinoni, Alberto Dedola, Sergio Leoni, Vittorio Parola.
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. ![]() Mario Rosati e il nuovo monumento inaugurato il 2 novembre 2005
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29 ottobre 2009 - La stele di Mario Rosati Tutto era pronto per lavorare alla stele. Il bozzetto di Mario Rosati era stato discusso e studiato con gli operai. Occorreva ridefinirne proporzioni e dimensioni e stabilire se fosse stato più opportuno lavorare al coperto o realizzarla in loco. Di posti al coperto ce n’erano ancora tra i locali al piano carraio destinati a negozio. Ma c’era poi la preoccupazione per il trasporto. La stagione estiva era già cominciata e il tempo era favorevole per lavorare sul posto. Sia Rosati che gli altri della squadra operaia avevano da lavorare fino alle cinque del pomeriggio. Per la stele restavano le ultime ore del giorno, fintanto che la luce assecondava le opere. Tutti i materiali vengono trasportati sullo spiazzo e subito sorge un problema. Una delle due porte del campo di calcio del “1° Maggio” era molto vicina al luogo del ritrovamento del corpo di Pier Paolo, contrassegnato dal vecchio paletto sbilenco al quale era stata aggiunta, negli anni, una aiuola rotonda con piante e fiori. Un po’ per il pericolo che la stele fosse a portata di violente pallonate, un po’ perché si pensava che desse intralcio al pronto recupero dei palloni sbilenchi, stava prevalendo l’ipotesi di spostare più in avanti la posa della stele. Ma Mario Rosati si oppose dicendo che lì il Poeta era stato ritrovato e lì doveva sorgere la stele in memoria. Si sarebbe alzata successivamente una rete a difesa dell’opera e addirittura più funzionale al recupero dei palloni. Vinse la sua proposta e iniziarono i lavori con lo sterro e il livellamento del terreno. Intanto altri volontari avviarono l’opera di bonifica del terreno, ripulendolo dai rifiuti e dalle sterpaglie e riportando in luce tanta parte della preziosa macchia mediterranea che aveva resistito L’opera ebbe inizio con la costruzione della cassaforma, lavoro da carpentieri rifiniti che richiese due o tre giornate di lavoro. L’opera di Mario non era particolarmente elaborata. Essenziale nelle sue componenti (la colonna, la luna, le ali di gabbiano), dette tuttavia non pochi problemi agli operai, tanto che alla fine si decise di scomporre gli elementi e fare tre diverse gettate che sarebbero state successivamente assemblate. Per le ali, che dovevano fiancheggiare la sommità della colonna troncata, si decise di fare una sola cassaforma, che, con due diverse gettate di cemento, avrebbe dato due identici elementi. Nel frattempo, altri operai edili avevano approntato la piattaforma da cui spuntavano i tondini di ferro che avrebbero sostenuto la gettata finale della colonna. Com’era nel costume di quei tempi, intorno agli operai al lavoro e nel campetto circostante si era creato un luogo d’incontro conviviale e fraterno, al quale accorrevano compagni, amici e familiari degli operai, cittadini curiosi e ragazzi della polisportiva. Presto sul posto fu approntata una griglia, cosicché a sera, col calar delle ombre, il campo, illuminato dalle fiamme, si trasformava in una piccola festa a base di bruschetta, panini con la salsiccia e vino a volontà. Animatori di questo luogo estemporaneo d’arte, lavoro e gozzoviglia, Alfredo Bellini e Alvaro Della Ciana e con la presenza costante del Baresetto, che accorreva sempre là dove si lavorava, ma, soprattutto, dove si mangiava e si beveva del buon vino. Mario Rosati, che veniva dall’aeroporto di Roma dopo le cinque, controllava lo stato dei lavori e ne verificava la qualità dando consigli sul modo di risolvere alcune imperfezioni; consigli dettati da una conoscenza del mestiere che destava stupore in chi, non conoscendolo, lo considerava «sortanto ’n artista». Anche il linguaggio di Mario, fedele alle sue origini di ragazzo di borgata, favoriva il dialogo con gli operai, notoriamente prevenuti nei confronti degli artisti, che spesso consideravano ‘animali improduttivi’. Questo aspetto, non secondario, del progetto prescelto dal comitato di Nuova Ostia era uno dei suoi punti di forza, in quanto riusciva ad abbattere il muro del pregiudizio tra mondo operaio e mondo della cultura. Per stringere i tempi, e prolungarli oltre il calare del sole, negli ultimi giorni si utilizzò l’illuminazione del campo di calcio. 1 novembre 2009 - Il… paletto a memoria Nel pomeriggio, rimosso il corpo e tolto il nastro di recinzione, il luogo del massacro fu lasciato al compianto dei cittadini. In principio, sul paletto piantato nel terreno Mario Rosati inchiodò una piccola targa in legno su cui aveva dipinto il nome: «Pasolini». Quella fu la prima testimonianza del dolore e dell’affetto dei cittadini di Ostia e da lì nasce la volontà di fare di quel luogo un luogo della memoria, contro il tentativo della società benpensante di rimuovere quella voce scomoda e l’appassionata convinzione di coloro che volevano tener viva la voce di «un fratello, coraggioso e lucido, generoso e infaticabile, di ciascuno di noi nei momenti in cui avvertiamo la povertà, il vuoto del frastornante rumore di fondo informativo e spettacolare, oltre le apparenti omogeneità, le reali, spesso non valicabili fratture che ci dividono». (De Mauro). 2 novembre 2009 - 2 novembre 1975 all'Idroscalo C’era il silenzio delle mattine dei giorni festivi in via dell’Idroscalo, ma ai margini delle baracche la terra parlava. Urlava anzi. Del massacro di gruppo, era il terreno a conservarne le tracce. Lo sterrato era un campo di battaglia. Orme di molte passi, un vero e proprio intrigo d’orme disordinate e i solchi profondi di ruote di più macchine in diverse direzioni, come se fossero state guidate da ciechi che non sapevano dove andare. Schiacciato sul terreno misto a sabbia e ancora bagnato dalla pioggia notturna, un corpo, un tormento di carne e sangue, dal volto sfigurato. A scoprirlo fu Maria Teresa Lollobrigida, abitante dell’Idroscalo. Lo scoprì, alle sei e mezza del mattino, mentre andava verso la macchina del marito Alfredo per scaricare dei pacchi. Fu proprio lei a piantare il paletto e a deporre il barattolo con i fiori. Tra i primi ad accorrere sul luogo del massacro, i diffusori de "l’Unità" della vicina “Sezione Togliatti”. Preparavano il consueto lavoro dei giorni festivi per portare il giornale in quella che proprio Pasolini aveva chiamato «la periferia delle periferie»: le case Armellini intorno a ‘Piazza della vergogna’. Un quartiere abitato dai baraccati dell’Idroscalo e dai moltissimi senza tetto venuti dalle decine di baraccopoli della città, richiamati dalla più grande azione diretta d’occupazione di case organizzata dai comunisti di Ostia Nuova. Tra gli attivisti della Sezione, impegnati nella diffusione, anche Giorgio Jorio, che soltanto pochi mesi prima, insieme a Roberto Zapelloni, Claudio Grottola, lo scultore Gizzi, e altri artisti, intellettuali e operai, aveva partecipato con il Poeta d’opposizione a una ricerca sociologica sul territorio per studiare, insieme, una risposta al degrado sociale e culturale di quel lembo di terra dimenticata dalle istituzioni. Quando accorremmo sul posto, poco prima delle 7, la zona era stata già delimitata dal nastro di plastica dei carabinieri. L’area era insolitamente vasta. Oltre cento metri di raggio. Partiva da una sbilenca recinzione avanti alcune casupole di pescatori e si estendeva verso la via Intanto i compagni intorno a me cominciavano a discutere sull’accaduto e a esprimere dubbi sulla prima versione data dai giornali radio che descrivevano il delitto come un qualsiasi delitto a sfondo omosessuale, in cui un ragazzetto avrebbe ucciso Pasolini durante un diverbio sorto durante un incontro mercenario. Tutti noi conoscevamo Pier Paolo e avevamo avuto occasione di vedere quanta energia e quanta forza sapeva esprimere pur essendo di piccola corporatura. Sapevamo anche delle sua capacità d’atleta nel calcio e nel karate, di cui era cintura nera. Come poteva essere stato massacrato in quel modo da una sola persona, per di più appena diciassettenne? E poi le numerose tracce di passi e di ruote di almeno due tre auto attorno al suo corpo… Era evidente che eravamo di fronte al delitto di un branco e già qualcuno avanzava l’ipotesi di un delitto commissionato dall’alto.
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28-28 ottobre / 1-2 novembre 2009 |