La saggistica

"Pagine corsare"
Saggistica

Il primo marzo di quarant'anni fa.
La "battaglia di Valle Giulia" e Pasolini
di Sante Maurizi
"La Nuova Sardegna", 29 febbraio 2008
1968: scontri a Valle Giulia. La polizia è a cavallo

Il sessantotto iniziò un anno prima, nel 1967: le occupazioni delle Università (Pisa a febbraio; Trento, Cattolica di Milano, Torino a novembre) dilagarono nelle proteste, nelle assemblee e nelle manifestazioni delle prime settimane dell’«anno formidabile», praticamente in tutti gli atenei italiani. L’intreccio fra spinte antiautoritarie, contestazione della famiglia, del baronato e delle istituzioni, liberazione del corpo, coscienza mondialista e antimilitarista (il ‘pantano del Vietnam’) emergeva nella ‘presa’ delle aule universitarie testimoniando l’inedita vitalità di un’intera generazione. Inedita e inaspettata: soprattutto per i partiti della sinistra, Pci in testa.

A Roma, all’inizio di febbraio, vennero occupate Lettere e Architettura, e gli sgomberi, i tafferugli, le ri-occupazioni si succedettero per tutto il mese. La facoltà di Architettura si trova a Valle Giulia, una zona di Roma al di fuori della cittadella universitaria, ai margini di Villa Borghese: l’immenso parco e la grande scalinata di accesso la rendevano difficile da controllare con le normali tecniche di mantenimento dell’ordine pubblico. Il 29 febbraio il braccio di ferro tra gli occupanti e il rettore D’Avack parve risolversi a favore dell’istituzione, malgrado alcuni docenti avessero avviato dialogo e sperimentazione: manganellate, sgombero e presidio da parte delle forze di Ps.

Gli studenti scesero in piazza, un corteo spontaneo si avviò verso il Parlamento e venne respinto verso Trinità dei Monti. 

Qui, nella notte e nelle prime ore del mattino del 1° marzo si riunì qualche migliaio di studenti: comunisti di varia ispirazione, ma anche cattolici, repubblicani, socialisti, liberali e alcuni di destra, si avviarono verso Valle Giulia per liberare la facoltà. 

Fu la «battaglia di Valle Giulia»: gli scontri si succedettero per ore, con centinaia di feriti e diversi automezzi della polizia dati alle fiamme. 

A metà giugno, quando gli avvenimenti nel resto d’Europa e del mondo avevano consolidato una fisionomia comune nel segno della «contestazione», l’Espresso pubblicò un componimento di Pier Paolo Pasolini, «Il Pci ai giovani!», dando maggiore diffusione a quelli che il numero di maggio della rivista Nuovi Argomenti aveva già stampato come ‘Appunti in versi per una poesia in prosa’, rivolti agli studenti.

«Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! /  Perché i poliziotti sono figli di poveri. / Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. / (…)   Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care. (…) / A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento / di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte / della ragione) eravate i ricchi, / mentre i poliziotti (che erano dalla parte / del torto) erano i poveri.
Quegli ‘appunti’ ebbero un’eco immediata e vivacissima. Come commenta Angela Molteni sul Meridiano dedicato ai saggi sulla letteratura di Pasolini, i versi autorizzarono una «plateale, delirante e sgangherata strumentalizzazione delle parole del poeta da parte della destra». Pasolini tornò in seguito più volte su quello scritto, e già nella tavola rotonda che l’Espresso aveva organizzato per lo stesso numero del 16 giugno con Vittorio Foa, Claudio Petruccioli, Nello Ajello e lo stesso scrittore: «Sia dunque chiaro che questi brutti versi io li ho scritti su più registri contemporaneamente: e quindi sono tutti 'sdoppiati' cioè ironici e autoironici. Tutto è detto tra virgolette. Il pezzo sui poliziotti è un pezzo di ars retorica, che un notaio bolognese impazzito potrebbe definire una 'captatio malevolentiae': le virgolette sono perciò quelle della provocazione».

Già nel 1960, di fronte a una rinnovata offensiva neofascista, Pasolini aveva parlato di poliziotti: li aveva descritti (ne «La croce uncinata») mentre sorvegliavano la sinagoga di Roma: 

«e colgo una breve luce, negli occhi / umiliati dal loro goffo sonno di giovinotti: / una accecata stanchezza che vede nemici / in ognuno, un veleno di dolori antichi, / un odio di servi: restano indietro, / soli come lo scirocco che vortica tra le pietre.» 
Quell’aria pesante sarebbe sfociata allora nelle manifestazioni contro il governo Tambroni, represse nel sangue di una decina di vittime, fra le quali i «morti di Reggio Emilia». Ma nel «frammento di lotta di classe» di Valle Giulia c’era in gioco una nuova soggettività, quella studentesca, quella dei giovani in quanto classe sociale, e la saldatura tra quella richiesta di cambiamento radicale e le  rivendicazioni operaie. Una partita che oggi sappiamo far parte del nodo irrisolto dei momenti più tragici, per lo più rimossi, della storia repubblicana: l’intreccio fra la violenza, il monopolio della stessa da parte dello Stato e la legalità. Una lunga sequenza di avvenimenti che va dalla strage di piazza Fontana ai fatti di Genova del 2001. 

La ‘poesia di Valle Giulia’ è un gesto, forse il più eclatante, di un modo distintivo dell’opera di Pasolini: la voluta incapacità di distinguere tra poetica e politica. La loro fusione - e spesso la confusione - testimoniata dal proprio corpo, eletto spartiacque fra mito e poesia. Come la sua morte avrebbe letteralmente mostrato sette anni dopo.

 

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INVITO ALLA LETTURA:
BRANI DI PIER PAOLO PASOLINI


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A "PAGINE CORSARE" 
DA OTTOBRE 1998








 


Il primo marzo di quarant'anni fa. La "battaglia di Valle Giulia" e Pasolini, di Sante Maurizi

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