Pasolini nei blog

"Pagine corsare"
Pasolini nei blog

Onorare il morto per liberarsene
di Elio Pecora
dal blog "In sonno e in veglia"
"La Voce Repubblicana", s.d. [ma prima del 18 giugno 1977, la data in cui
Salò o le 120 giornate di Sodoma, dopo una lunga vicenda giudiziaria, viene dissequestrato]
Ora in L'avventura di restare - Le scritture di Elio Pecora,
a cura di Roberto Deidier, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 2009
Elio Pecora

Il modo più sicuro per liberarsi di un morto è di onorarne la memoria. Si rifletta su quel che è accaduto per Pier Paolo Pasolini. S'è già indetto in suo nome un premio letterario; gli si dedicano convegni, dibattiti, festivals; cresce il numero dei libri e dei libercoli che ne esaltano i talenti.  E in questa festa di retoriche si oblitera quel che di sofferto e di vitale è contenuto nelle sue opere e nelle sue denunce.

Intanto il suo ultimo film è tuttora precluso alla pubblica visione; il suo ultimo romanzo, ponderoso e incompiuto, è torvamente custodito dai parenti; le sue tesi ricorrono nei vaniloqui degli stessi politici che lungamente lo avversarono. Dei tanti, che si sono eretti ad apostoli delle sue verità, troppi le usano per il proprio miserabile tornaconto.

Che ne è di colui che di settimana in settimana, unico nel generale assopimento, levava accuse, proponeva processi, osava sperare nell'uscita dalle comuni rovine?  È certo che nel suo ardore polemico, nella sua intenzione di «scandalizzare», ossia di fomentare riprovazioni e sdegni e consapevolezze, gli capitava di contraddirsi, di sfinirsi di rabbie. Ma la contraddizione e l'eccesso, come il dubbio e l'illusione, stanno a fondamento di ogni ricerca.

Pasolini era anzitutto un poeta, correva dietro una chimera, pretendeva la parità e la giustizia, disprezzava l'apparenza. Aveva travalicato le fazioni, s'era posto al di sopra dei credi, e parlava a nome dei molti, dei tutti.  È ben facile accusare l'uomo Pasolini di comportamenti «devianti», spacciati per vizio dalla governante imbecillità. È stato facile infierire contro di lui, l'assassinato, e non contro l'assassino o il presunto tale.  È stata inusitata la concordia, ossia il complice silenzio di chi abitualmente interviene, a proposito dei due processi e delle due sentenze relative alla sua morte.

Quando accade mai che si processa la vittima e non l'omicida? Ma doveva essere così. Quell'uomo, il polemista, il poeta, doveva sparire. S'era permesso troppo. Anziché distrarsi nella ricchezza e nella notorietà aveva ardito scandagliare verità delle quali è opportuno tacere. S'era arrogato il compito di risvegliare le coscienze troppo assonnate. Aveva lui, dopo Leopardi, pianto sulla patria lacera, e aveva urlato i suoi lamenti sopra tutti i rumori.

Aveva una debolezza questo accusatore, questo vendicatore, e quella debolezza era una predilezione condannata dalla tribù dei repressi. Quella debolezza è bastata, per molti, a motivare la sua terribile morte. Ma può quell'evento, nemmeno ancora chiarito, diminuire il dolore per quella sparizione, il danno recato alla nostra intelligenza?

La voce di Pasolini s'è spenta, da più di un anno. Si susseguono le ladrerie, le ingiustizie, le false promesse; crescono le rovine. La situazione è la stessa che lo angosciava. Ci lamentiamo nel sonno. Quando verrà la veglia? Chi seguiterà quei discorsi, quelle analisi roventi? E come uccideremo il nuovo profeta? Di quali vizi potremo accusarlo per demolirne le accuse?

Le degradazioni, le crisi, le corruzioni, le prevaricazioni, le mistificazioni furono i temi gridati negli ultimi scritti di Pasolini, apparsi sul «Mondo» e sul «Corriere della Sera». Questa requisitoria è stata raccolta e pubblicata da Einaudi sotto il titolo di Lettere Luterane. (A quel che desumiamo dalle classifiche di vendita, in questo caso tutte concordi, il libro è fra i più venduti al momento, quindi il più recepito dalla folla di chi legge e vuole capire. Non risulta però che i recensori, finora interessati al volume, siano andati al di là della banale agiografia o del rimpianto declamato. Eppure sono qui contenuti gli scritti che precedettero quella morte e che, forse, la sollecitarono). Certo è qui racchiusa e conclusa quell'indagine, disperata e violenta, che avrebbe dovuto seminare preoccupazione e ansia, mettendo fine all'inerzia, indirizzando a una qualche salvezza.

Ancora l'Italia è divisa: da un lato i «sacrestani del potere», i chierici ipocriti, gli intellettuali miopi; dall'altro la schiera sempre più folta di quelli che si promettono crescite e mutamenti. Sono questi ultimi a dare ascolto al morto poeta e a tenere per vivi e veraci i suoi avvertimenti. Ché queste pagine non vanno stimate né sacre né immutabili - esse additano gli strumenti per altre indagini e altre verità.

Nessuno si salva da una tale eroica furia: i democristiani, nei meandri del loro «Palazzo dei pazzi», ignorano il «nuovo modo di produzione», il «nuovo potere», la «nuova cultura»; i comunisti confondono il «tenore di vita dell'operaio con la sua vita, e lo sviluppo col progresso»; tanto la scuola d'obbligo quanto la televisione andrebbero abolite «in attesa di una radicale riforma»; i giovani del proletariato «sono tristi, nevrotici, incerti, pieni di un'ansia piccolo borghese»; la massa degli intellettuali, immersa nel conformismo di sinistra, «non fa che il gioco del potere».

Pasolini arriva ad incolparsi con i padri, a scagliarsi contro la corrente libertà, che è solo «falsa tolleranza», e sospinge a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza «di ogni rispetto per ogni sentimento istituito», ma al solo scopo di convincere «a non temere la sacralità e i sentimenti». Si fa pedagogo, e non è l'utopia a innamorarlo, pretende una totale liberazione, un totale sforzo di intelligenza e di pietà, ma con l'occhio al presente, eppure a confronto della Storia futura.

Vanno lette e discusse queste pagine, va intesa questa singolarissima energia, vanno udite queste grida: sono le stesse grida che ci salgono dal petto e che ancora soffochiamo in gola.
 

 

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Onorare il morto per liberarsene, di Elio Pecora

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