Pasolini nei blog

"Pagine corsare"
Pasolini nei blog:
Rosa Maria Di Natale  -  Roberto Di Molfetta
Giulio Delle Serre  -  Gianluigi Cavino 


Il Web ama Pasolini
BitLit di Rosa Maria Di Natale
10 dicembre 2008

In questi giorni rileggo le Lettere luterane di Pier Paolo Pasolini e riassaporo la sua lucida, cinica e profetica critica ai media. Mi chiedo: cosa avrebbe pensato del web? Cosa avrebbe raccontato a Gennariello sui nuovi media nel suo trattato pedagogico?

Una cosa è certa: Internet adora Pasolini, e lo adora in tutte le sue vesti, scrittore, saggista, poeta, regista, polemista. Date un’occhiata alla voce collettiva a lui dedicata su Wikipedia. E’contrassegnata come “voce in vetrina”, una delle migliori voci riconosciuta dalla collettività che contribuisce a creare l’enciclopedia libera. Youtube rappresenta una vera e propria collezione di filmati a lui dedicati. Tra questi, quelli che toccano ancora le corde di un certo pubblico di lettori: Biagi che lo intervista (e si inasprisce con lui), un pezzo su “Niente di più feroce della banalissima televisione”, ma anche Pasolini ed Ezra Pound, o Pasolini e Moravia.

Il mese scorso i blog gli hanno dedicato un ricordo a 33 anni dalla sua morte, ancora misteriosa. Liquida (il portale/ valorizzatore di blog, un portale, luogo virtuale interamente generato dagli utenti) ne ha riassunto i post più belli. E c’è un sito che fa molto di più: pasolini.net, dove esiste anche una sezione specifica dedicata alla sua figura ri-scritta dai blogger. 
 

Lettera a Pier Paolo Pasolini
Roberto Di Molfetta

Messaggio da me scritto ed indirizzato, idealmente, all'intellettuale italiano Pier Paolo Pasolini (1922-1975).
·
Ciao Pier Paolo
Sono con te, quando dici che mai potrai perdonare il popolo italiano per non aver mai giudizi che siano definitivi, impegnati, non omertosi sulla storia e le sue colpe anche involontarie.
Ciao Pier Paolo.
Vorrei sapermi con il tuo adulto impegno civile e politico, anche se siamo comunque diversi.
Ciao Pier Paolo; ancora: ho pianto per il tuo morire indegno del mio paese, del mio sangue, di mia madre. La terra che generò noi due non doveva sporcare oltremodo i tuoi occhi profondi, attenti e severi.
Ciao Pier Paolo; ancora una volta, ti rivolgo un saluto come se fossimo amici e null'altro che amici; perché è bello sapere che il tuo odio contro la società era atto a migliorarla; era l'odio per una sorella corrotta, cui volere bene con rabbia, finché non smette, ella tutta, di essere danno grave a se stessa.
Ciao Pier Paolo. Il ragazzo che ti scrive non c'è più già adesso, mentre vorrebbe abbracciarti, fraterno amico. Al suo posto un tale, Roberto Di Molfetta, si volta altrove, poiché gli occhi adulti gli dicono di odiare quei dubbi, altissimi e pregiati, che sempre feriscono.
Roberto non ti vuole bene come il ragazzo che scrive da adulto; sa che vivere vuol dire ignorarti oggi. Sa che ogni tua accusa alla società può ferirlo più di ogni suo sbaglio se decide di esserti realmente amico, di essere amico della tua esibita superiorità.
Perciò ciao Pier Paolo. Questo ragazzo si congeda dalla tua umile tomba, col pensiero accarezzata, dove riposi, in parte ignorato, con l'amata madre.
Io non mi volto, poiché so che è l'ultima la volta in cui sono sopportabili queste parole di affetto: esse stringono il cuore, come ferirono il tuo corpo i colpi con cui ti massacrarono ferito.
Non dovevano essere le mie. Ma le parole di un popolo, di una nazione, di ogni tuo amico di allora, delle accademie, delle scienze: grazie di esserti interessato a noi, per noi, pur senza di noi.
Ciao Pier Paolo. Che tu possa riposare nella pace di ogni spirito libero, ovunque tu sia come uomo.
Con affetto, il tuo amico, mai conosciuto,

Roberto


Pasolini e il coraggio della verità
Giulio Delle Serre
novembre 2008

"La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter essere compresi". Sulla sua indifendibilità Pasolini vedeva lontano. "Giudizi troppo sommari nelle aule dei tribunali non rendono ancora, a trent’anni dalla sua morte, giustizia dell’uomo", così concludevo qualche anno fa un post scritto nella pagine del blog dell'"opinion maker" Vincenzo, ricordando la figura di Pier Paolo Pasolini, con un ritratto che tendeva a riscoprirlo più come autore e pensatore dei nostri tempi. Mi limito pertanto a descrivere una sintetica definizione che Wikipedia gli dà: "è internazionalmente considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo".

Questa volta invece mi concentro sulla morte appunto e sull'ingiustizia che si è protratta sino ad oggi sul suo delitto e su quali possano essere stati i veri responsabili. Oggi a 33 anni dalla sua scomparsa nulla è cambiato. Anzi, da qualche anno a questa parte le confessioni di Pino "la rana" - unico colpevole per quell'orribile e efferato delitto che ha pagato con la galera il suo crimine presunto, ammesso che sia entrato qualcosa - fanno ancora più rabbia e confermano sempre più che alle spalle di Pasolini si fosse realizzato un complotto.

Nel diario Pelosi esordisce con queste parole: "Mi presi tutte le responsabilità per non coinvolgere i miei amici di allora. Fu l’avvocato a suggerirmi quella linea difensiva. Pensava che da minorenne me la sarei cavata con poco".

Il "riccetto", simile a uno dei personaggi raccontati proprio da Pasolini nei suoi romanzi e nei suoi film, ha raccontato delle falsità al processo e questo è un dato di fatto: una fra tutte quella di essere stato lui solo ad uccidere il poeta, mentre le prove e gli atti confermerebbero il contrario. E lo stesso Pelosi lo ha ammesso dopo oltre trent'anni: "c'erano tre che avevano un accento siciliano..e se sono stato zitto è per paura di avere delle ritorsioni. Io servii solo ad adescarlo". Le ultime mezze verità di quest'uomo confermano la validità delle ipotesi che si racchiudevano nel bellissimo film di Marco Tullia Giordana, "Pasolini un delitto italiano". Cosa voleva farci intendere Pelosi con quelle parole, che ad ammazzare Pasolini ci fosse per caso la mano della mafia? Mi chiedo comunque cosa c'entrino i siciliani, siamo ancora dinanzi ad una deviazione della verità. La smetta una volta per tutte di prenderci in giro e la dica fino in fondo la verità questo disgraziato. C'è più di un valido motivo per pensare e credere che i nemici Pasolini li avesse a Roma, a due passi da quelle borgate che frequentava e che raccontava idealisticamente nelle sue opere. E che non fosse opera dei personaggi di strada di quelle borgate (come pure qualcuno ha sostenuto) o di balordi come "la rana". C'è una mano pensante e Pelosi la smettesse una volta per tutte di continuare con queste mezze verità che gli consentono intanto di mattere su qualche sporco soldo. Pelosi conosce bene i nomi di quelli che lo ricattarono e comunque conosce la mano che si muoveva dietro quella gente, non può essere altrimenti. Chi erano costoro Pelosi?? Ce lo dica una volta per tutte e non lo faccia solo per Pierp Paolo ma in nome della verità.

Pasolini è stato ammazzato perchè non era soltanto un critico scomodo, ma aveva il coraggio di fare i nomi e cognomi delle stragi di quegli anni e di quelli che avevano in mente di organizzare il movimento di azione fascista contro il Comunismo che prendeva piede dopo il '68. Lo scritto che lui firmò in un famoso editoriale del novembre 1974 sul Corriere della Sera, un anno prima che lo uccidessero, mostra in tutta la sua eloquenza quali potessero essere i suoi nemici. Ve ne illustro qualche passo a riprova (ma vi consiglio di leggerlo integralmente):
«... Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista)... Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere»... di intellettuale ovvio. Non di uno qualsiasi ma di uno profondo, sensibile e tanto coraggioso.

La sua terribile ed atroce morte sta gridando ancora vendetta, perchè la verità ad oggi non è ancora emersa. Quella verità che Pasolini ha sempre ricercato sino alla morte e che purtroppo la giustizia italiana non ha restituito, come in ogni processo degno di questo nome. 
Del resto, non a caso, il coraggio della verità in questo mondo è roba da pochi e io credo che Pasolini sia uno di questi.
 

Pasolini, un profeta laico
Gianluigi Cavino

Bisogna dire subito senza preamboli reverenziali o falso bigottismo che Pier Paolo Pasolini è sempre stato e rimane ancora oggi un emarginato.  Una figura eclettica e per certi versi istrionica, un’anima geniale che ha offerto al mondo, buttando in pasto al popolo ignorante, la sua arte senza alcuna sovrastruttura o caricatura. Si è offerto nudo di fronte alla realtà che lo circondava e ha cercato di analizzare non solo il contesto storico nel quale viveva ma anche e soprattutto gli scenari futuri. Uomo dalla rara onestà intellettuale si è inimicato tutti i poteri forti del suo mondo, dai governanti, alla Chiesa e persino quel partito Comunista al quale aveva riposto le sue speranze non senza critiche. 

Un emarginato perché voleva rompere l’ordine costituito, voleva dare libera espressione all’arte, voleva dare il suo contributo nella lettura di un Italia alle prese con l’industrializzazione e la forte ripresa economica del dopoguerra. Un emarginato perché non parlava mai per conto di qualcuno o di qualcosa, allergico a qualsiasi forma di potere sfuggiva dall’ermeneutica moralistica di quel tempo trovando dimora prima di tutto nei versi, nella prosa e nella poesia.

In una intervista rilasciata a La Stampa il 12 Luglio del 1968 Pasolini afferma una delle sue convinzioni più chiare che palesa non solo la sua gioia di vivere ma anche la sua emarginazione sociale: “Io sto benissimo nel mondo, lo trovo meraviglioso, mi sento attrezzato alla vita, come un gatto. E’ la società borghese che non mi piace. E’ la degenerazione della vita nel mondo. Hitler è stato il tipico prodotto della piccola borghesia. Anche Stalin è un prodotto piccolo borghese”.

Pasolini è prima di tutto un poeta civile, un uomo di lettere che ha però ribaltato la concezione classica dell’intellettuale tutto cervello, egli concepiva il suo essere lettarato come occasione per mettere in gioco non solo la sua mente ma anche il suo corpo, i suoi sentimenti e perché no la sua stessa anima. Nelle sue opere si intravede in modo consistente un suo essere romantico, era un cantore della morte e della distruzione, era la voce degli ultimi della storia, di quelle vite emarginate come lui alle quali non era concesso di godere della ripresa economica del paese. Era il poeta civile della tragedia e possiamo dire con enorme convinzione che potrebbe essere accostato a Dante e Petrarca.

Era un uomo a cui piaceva dare scandalo e l’ironia della sorte ha voluto che lui stesso desse una definizione dello scandalo a poche ore dal suo omicidio. Rilasciando una dichiarazione al secondo canale della televisione francese il 31 Ottobre del 1975 disse: “Io penso che dare scandalo sia un diritto, essere scandalizzati un piacere e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato un moralista”. Fu la sua morte ad aver destato scandalo più di ogni altra sua azione in vita.

Pensare Pasolini al di fuori di una realtà localizzata è impensabile. Egli cerca i modi in cui 
l’essere nel mondo degli uomini e l’ambiente si uniscono in un paesaggio composito, determinando transazioni sociali, tradizioni e linguaggi. Ed è appunto in questi luoghi naturali e culturali che assume forma e spessore il classico binomio identità–differenza. E’ la vita stessa per Pasolini ad essere plurale, un groviglio di tradizioni, paesaggi, luoghi e cultura che si unificano sempre in modo unico e dove è difficile, se non impossibile, scorgerne la sintesi.

Per questo rifiutava ogni pensiero totalizzante e oligarchico, per questo aveva compreso che il mondo che lo circondava spendeva le sue energie a creare maschere che nascondessero la genuinità e la verità a vantaggio di interessi di classe. Ed il suo sforzo che lo ha portato 
all’emarginazione è stato proprio quello di far cadere le maschere, l’ipocrisia. Rimarrà nella storia dei tempi una sua celebre frase che ritroviamo in Bestemmia: “Sei così ipocrita che come l’ipocrisia ti avrà ucciso, sarai all’inferno e ti crederai in paradiso”.

Un emarginato, un corsaro e un essere contraddittorio come lui stesso si definisce, riconoscendo i suoi limiti. Un uomo scomodo che proprio per questo e la sua brillante e prolifica produzione culturale ha subito 33 processi senza riportare condanna alcuna.

In Vie Nuove del 1964 Pasolini dice: “Il mio pessimismo mi spinge a vedere un futuro nero, intollerabile a uno sguardo umanistico, dominato da un neo imperialismo dalle forme in realtà imprevedibili”. Dieci anni dopo in un intervista che gli fece Enzo Biagi Pasolini si dichiarò senza speranza, ed ecco allora che il poeta civile diventa profeta, ossia colui che si fa carico della realtà storica. Un profeta perché è un lettore del presente e coglie lo spessore degli eventi rapportandolo al futuro, laico perché senza pregiudizi. Un profeta laico che ci fa affermare quanto ancora sia attuale il suo pensiero e quanto vergognosa sia ancora la sua emarginazione anche nelle scuole.

Pasolini amava spesso dire che la morte non è nel non comunicare ma nel non essere più compresi, con questa frase ci lascia un testamento laico e umanistico che dovrebbe spingere tutti all’apertura all’altro, alla curiosità delle differenze e alla comprensione del diverso. Una lezione di vita che il nostro mondo e la nostra società italiana non ha ancora imparato.

 

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INVITO ALLA LETTURA
BRANI DI PIER PAOLO PASOLINI


TUTTI GLI AGGIORNAMENTI
A "PAGINE CORSARE"
DA OTTOBRE 1998
 





 

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