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Notizie Scrittori italiani a Praga Per sondare un pubblico diverso, ci spostiamo in via Celetnà nella libreria universitaria di fronte alla facoltà di psicologia. Qui, gli italiani più conosciuti sono Alberto Moravia (in testa con oltre 20 edizioni), Primo Levi (tradotto molto tardi), Italo Calvino (8 edizioni), il solito Umberto Eco, Oriana Fallaci e, a sorpresa, Edmondo De Amicis (12 edizioni di “Cuore”); a loro tempo ebbero una buona diffusione anche Cesare Pavese, Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ma ormai interessano soltanto una stretta cerchia di italianisti, mentre i primi sono entrati nel novero dei classici stranieri effettivamente letti. Ci viene raccontato che dopo il periodo del primo dopoguerra, che ha visto una buona fioritura di traduzioni dall’italiano sia di classici sia di contemporanei, l’interesse verso la nostra letteratura si è un po’ affievolito. Qualche rara eccezione c’è stata negli anni ’80 con i romanzi di Natalia Ginzburg, Elsa Morante, ed Eco mentre alcuni dei nostri maggiori prosatori (Calvino e Levi) si scontravano con la censura di regime. L’ultima rotta è in via na Přìkopě. Qui dicono che dopo la rivoluzione di velluto del ’93 e la caduta del regime, il mercato libero dalla censura è cresciuto esponenzialmente, specie nel campo delle traduzioni (oggi all’incirca un terzo del mercato complessivo). Nel 2002 ha toccato quota 14.000 titoli; nel 2006 17.000 (solo un quarto di ristampe); una cifra che colloca il paese nella top ten mondiale del rapporto offerta libraria/popolazione. Ma ciò non interessa la nostra letteratura, se non in minima parte: gli anni ’90 vedono infatti il flop della Tamaro (nonostante i quattro milioni di copie vendute in tutta Europa) e le modeste tirature di Alessandro Baricco (di cui circolano sei titoli), di Antonio Tabucchi (quattro titoli) e di Stefano Benni (tre titoli). La primavera di Praga, almeno per gli scrittori italiani, è ancora piuttosto lontana.
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