Notizie
 


Vedi anche: tutti gli aggiornamenti di "Pagine corsare" da ottobre 1998 
.
..
"Pagine corsare"
Notizie

Le borgate perdute di Pasolini
di Filippo Ceccarelli
La Domenica di Repubblica, 6 novembre 2005

.
Orti e praterie
.
«Dietro alla borgata Gordiani, in una prateria da dove si vedeva tutta la periferia con le borgate, da Centocelle a Tiburtino, in fondo
ad un orto zuppo di guazza, ci stavano dei grossi bidoni arruzzoniti, abbandonati lì insieme a altri ferrivecchi, in un recinto»
.
da Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini
.

Rroma anni '60: ex-borgata Gordiani, si costruiscono i primi quartieri popolari...
.
A Ponte Mammolo, in fondo alla Tiburtina, dove Pier Paolo Pasolini venne ad abitare appena fuggito a Roma, ci si arriva con la metropolitana. E nel vecchio palazzo «senza tetto», via Tagliere numero 3, oggi trova sede addirittura la Casa internazionale della poesia. Tutto intorno parabole, videonoleggi, gelaterie che offrono prodotti dai gusti e dai colori inorganici, ricariche di cellulari. Inesorabilmente cancellata, sul limes di Pietralata, la storica scritta a vernice: «Qua so’ cazzi!». E i “pischelli” sfoggiano cappellini da baseball.

La mutazione antropologica, d’altra parte, ha investito anche il Pigneto, sulla Casilina, che ormai va di moda ed è quasi un quartiere “fichetto”. Qui fu girato Accattone: «Erano giorni stupendi in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, della sua furia». Niente più «casupole basse», né «muretti screpolati» con un sottofondo di Bach; si è spenta «la granulosa grandiosità» delle «povere, umili, sconosciute stradelle, perdute sotto il sole, in una Roma che non era Roma». 

Ci  sono oggi, al Pigneto, che è Roma assoluta e quintessenziale, interessanti librerie dai nomi pasoliniani come Il Corsaro; ci sono eventi culturali, compreso il premio Pasolini-Pigneto, ci sono ristorantini, negozi equo-solidali e con qualche azzardo mercantilistico appaiono maturi i tempi anche per un sushi-bar.

I fratelli Citti, Franco e Sergio, venivano da Torpignattara. Ma la luce della borgata non è più quella «lercia e bituminosa» che ancora segna il cielo di Mamma Roma. In compenso qui sono venuti a vivere i cinesi. Lavorano il cuoio, stanno tra loro e non ridono mai.

Quarant’anni fa il sottoproletariato romano aveva anch’esso i suoi problemi, ma era più allegro. O così almeno sembrò a quel giovane e strano intellettuale con gli occhiali da sole - un grandissimo filologo, in realtà - che da Sergio e Franco a tutti costi voleva sapere cosa significava «ghisciorfo». Oppure, piuttosto, «ghisorfo»?

Alla borgata Gordiani, nel frattempo, gli orticelli e i pratoni sono diventati “Parco”. Ci fanno anche il calcio femminile, oltre che meritorie ricerche etno-musicologiche. E tuttavia anche qui, come negli altri luoghi che frequentavano il Tommasino di Una vita violenta con i suoi compari Lello, il Zimmìo, il Cagone, il Budda e il Zucabbo, ecco, nella immensa periferia pasoliniana le scavatrici hanno smesso di piangere, sono state divelte le reti, disseccate le marane, chiusi gli sfasciacarrozze, abbattuti i villaggetti di tuguri, né si ascoltano più in lontananza le voci dei grammofoni. Ed è come
se il benessere avesse annientato la poesia. E forse saranno solo fantasie di letterati. Forse adesso tocca all’economia, alla sociologia, all’urbanistica o alla Polizia, al limite, di mettere l’ultima parola a suggello delle più profonde trasformazioni.

Ma di sicuro quei pezzi un tempo estremi della città eterna, della “città di Dite”, hanno trovato un destino di fuga nel vuoto abitabile dell’omologazione e del superfluo. Quando il necessario, se non l’indispensabile, per mezzo secolo almeno ha funzionato come magnifica e cupa risorsa evocativa. «Nessun nome grazioso, nessuna bella vista o bel vedere, nessun prato fiorito o valle fiorita, o ombrosa - scrive Ennio Flaiano (sceneggiatore di Fellini) sulla toponomastica della ex periferia romana - nessuna concessione al forestiero o al viandante. Tutto parla di misfatti, di fughe, di cattivi incontri. “Il Malincontro”, “la Casaccia”, “la Chiesaccia”, “la Coccia di morto”, “il Fosso del Malpasso”, l’osteria “Pisciacavallo” o quella “della Puttanella”, “il Casale Abbruciato” e
quello “della Pidocchiosa”». Di “Femmine morte” Flaiano ne contò addirittura tre e a cercar bene si trovano ancora una via “della Contumacia”, una via “Affogalasino” e una invero poco amena località scelta come ricovero da Maurizio Arena e dal leader curdo Ocalan e intitolata con graziosa ironia “l’Infernetto”.

Ebbene: questa periferia ha cessato di essere tale. E magari, rispetto
a Pasolini, a suo modo ha perfino recuperato dignità. Nel 1972, a Sanremo, Vianello e la Goich cantarono l’ottimismo della marginalità: Semo gente de borgata («ma stamo mejo noi...»). Quattro anni dopo il sindaco comunista Petroselli buttò giù i borghetti. Ancora un decennio e, «Nato ai bordi di periferia», ebbe successo l’inno inaugurale di Eros Ramazzotti (però era sparito pure il dialetto).

Vennero poi Sbardella, e Rutelli, e Veltroni; e piscine vanitose alla Storta, ruspe anti-abusivismo - «L’abusivismo è come il vento» gridava Teodoro Buontempo - proteste sui tetti, e consiglieri di An che si dettero fuoco, addirittura. Ma intanto, alla Magliana, il negozio del “Canaro” - “Mambli Lavaggio Cani” si leggeva con un brivido - vende intimo femminile, anzi lingerie.

«C’era calma e sole dietro il Quadraro» scrive Pasolini. Bene: non c’è più. Non c’è più il 409 che sulla Tuscolana, verso Porta Furba, «cambiava marcia raschiando in mezzo alla folla, fra i tricicli e i carretti degli stracciaroli, le biciclette dei pischelli e i birroccioni rossi dei burini che se ne tornavano calmi calmi dai mercati verso gli orti della periferia». Là in fondo, adesso, c’è Ikea, penultima cattedrale del consumo. L’acquedotto è rimasto: restaurato dalla
Banca d’Italia e illuminato dall’Acea.

VEDI ANCHE
La Roma di Pasolini, di Antonio Areddu

 


Le borgate perdute di Pasolini
 

Vai alla pagina principale