La narrativa - Sommario

Pier Paolo Pasolini
La narrativa

Giuseppe Pesce
Riflessione sulla Divina Mimesis

Opera improbabile sarebbe riscrivere la Commedia di Dante. Nemmeno Pasolini c è riuscito, ma certamente per più di un decennio, ha ruminato quest'idea. Della Divina Mimesis cominciò a parlare già dal 1963. E solo nel '75, l'anno stesso in cui sarà ucciso, decise di dare alle stampe quelle pagine che lui stesso definiva documento. Un documento della crisi in cui era caduto in quella prima metà degli anni Sessanta. E insieme, il tentativo di costruire un romanzo impossibile. Avrebbe voluto un libro scritto a strati, che documentasse come un diario ogni nuova stesura senza cancellare le precedenti. Sarebbe stata l'ultima opera in un italiano non-letterario, una lingua che vivesse di osmosi con i dialetti, il latino, il parlato, fino ad esaurire ogni incrocio possibile. Tutto questo ci raccontano due note del '64. 

Il libello edito nel '75, ristampato da Einaudi nel 1993, giace sonnolento sugli scaffali delle librerie. A parte i primi due canti dell'Inferno contiene solo appunti e frammenti. Non versi le prevedibili terzine, ma prosa. Carmen solutum in realtà, una narrazione che dischiude ogni momento squarci di poesia. 

Pasolini sceglie come Virgilio il se stesso degli anni Cinquanta - "piccolo poeta civile che ingiallisce con i suoi libri" - e lasciate le tre fiere comincia il suo viaggio in un Inferno neocapitalistico. È un nonluogo in cui tutto è possibile, dove più forte è la paura, o forse solo la coscienza amara della vita destinata a finire: "il senso di un addio dato alle cose prima ancora di averle conosciute, una infernale nostalgia di ciò che appena si ha". Magari è proprio così, è solo una visita al mondo questa vita, eppure vive in qualcuno un coraggioso amore, la cieca testardaggine della poesia. I passi raggiungono un prato pieno di innumerevoli fiori, increduli a morire, destinati a una vita di pochi giorni. "Fiorucci in cui c era solo la lietezza, condivisa tra mille e mille piccoli fratelli assetati di sole". Poi viene un pensiero e basta da solo: sono gli stessi, quei fiori, delle altre primavere - come un ricordo, un sogno - per cui il passato si confonde con il presente, "e un prato è qui, e insieme nel cosmo"

Siamo ad un pensiero senza ragioni: l'appartenenza al cosmo vive negli uomini come una memoria antica. "Ogni atto della vita non è che un segmento già segnato in una linea che è la vita stessa, chiara solo nel sogno". Ed è un sogno - un incubo - questo viaggio, camminare per le autostrade deserte del nuovo capitalismo - quelle di Uccellacci e uccellini - fino ad un piazzale di asfalto, parcheggio sconfinato senza una macchina, perduto nella penombra. Incontrare le demonie dagli occhi carichi di una luce nera e nemica. Aspettare che si radunino come dal nulla, una grande folla informe. Sono i conformisti, coloro che peccarono di normalità, quelli che in vita non ebbero il coraggio di fare gli Orlandi e i Donchisciotti: "le masse, che hanno eletto a loro religione il non averne", che ripetendo gli altri hanno pensato, chiusi nella loro ottusa meschinità, solo a non essere piccoli, inferiori, ultimi.

E la fine, la notte scende all improvviso come un temporale. Restano solo pochi frammenti, e un degno congedo: "Sono passato, così, come un vento dietro gli ultimi muri o prati della città - o come un barbaro disceso per distruggere, e che ha finito col distrarsi a guardare, e a baciare, qualcuno che gli assomigliava - prima di decidersi a tornarsene via". Nel tempo, oltre il tempo. 

Se Dante è stato il primo, Pasolini è l'ultimo poeta civile italiano. Hanno attentato con lui alla stessa poesia. Fascisti, borghesi, democristiani: non una generazione, ma a volte sembra che un'intera società abbia scelto di rinunciare alla coscienza critica. Sono piccoli, miseri e ignoranti, e non sanno che, per fortuna, la poesia non si può uccidere. Almeno fino a quando continueremo a leggere, e scriveremo ancora. Certo, per Pasolini resta l'amaro, un senso nero e cupo. Perché l'Italia ha perso un poeta, come diceva Moravia commosso, e di poeti non ce ne sono tanti, ne nascono due o tre in un secolo.

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Narrativa, Divina Mimesis - Giuseppe Pesce

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