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Libri Improvviso il Novecento. [pagine 11-18 del libro]
Anche adesso, mentre guardo la facciata in pieno sole, rimane nitida nella memoria la stessa curiosa sensazione di inadeguatezza che provai nel vedere il mio viso riflesso. Si tratta di uno di quei ricordi che si depositano dentro di noi per caso. Alle volte aspettano anni, nascosti da altre urgenze, apprestando con pazienza il loro ritorno. Poi all’improvviso riappaiono, a stupirti con la loro irragionevole, obiettiva linearità. L’avvicinarmi all’entrata del palazzo mi ha regalato l’immagine di me stesso con quindici anni di meno; beccato dall’acqua al ritorno dalla partitella con i compagni delle elementari. Al posto di questo palazzo, negli anni Cinquanta, c’era un villino a due piani. La casa dei coniugi Anna e Gennaro Bolotta. Per circa dieci anni, tra la fine della guerra e “i fatti d’Ungheria”, anche l’unica scuola media di Ciampino. L’entrata della “Francesco Petrarca” – questo era il nome della scuola – è stata sostituita da due negozi (di alimentari e di biancheria intima, partendo da sinistra); il giardino della casa non esiste più: c’è un altro palazzo, grigio, confinante con il campo sportivo. Alla scuola privata dei Bolotta ha insegnato, dal dicembre del 1951 alla fine del 1954, Pier Paolo Pasolini. Della vita artistica di Pier Paolo Pasolini nel corso di questi tre anni si conosce ormai tutto. La scoperta di Roma, le prime collaborazioni cinematografiche, le amicizie letterarie, l’attività di saggista, l’incessante scrittura poetica, la stesura del primo romanzo. Molto meno si sa della sua quotidiana attività di insegnante, dalle sette di mattina alle tre del pomeriggio, nella scuola privata di Ciampino. Ne parla lui stesso alcune volte nelle lettere, a Gianfranco Contini, a Giacinto Spagnoletti, a Biagio Marin. A Livio Garzanti, al tempo di Ragazzi di vita. E si capisce, leggendole, che se da un lato era molto soddisfatto delle possibilità espressive che l’insegnamento gli offriva, dall’altro – soprattutto col passare del tempo – i continui spostamenti (da Ponte Mammolo prima, da Monteverde poi) e i condizionamenti imposti dal lavoro giornaliero alla sua attività letteraria lo affaticavano e lo infastidivano. La lettera a Giacinto Spagnoletti del gennaio 1952 è significativa: «Purtroppo devo limitarmi a un rachitico biglietto, perché è sera e Anche in un’altra lettera, scritta due anni dopo a Biagio Marin, il 1° settembre del 1954, si colgono delle osservazioni molto chiare: «Andare su e giù a Ciampino, per 25.000 lire al mese, come faccio, è una cosa insopportabile. Eppure la sopporto...». Tracce di Ciampino si trovano nelle poesie dei primi anni Cinquanta. È più che altro un nome tra i nomi nella lunga carrellata di immagini che partono dalle borgate e arrivano fino ai “quadri” della campagna romana. Le poche case intorno all’aeroporto – questo è ancora Ciampino, quando Pasolini vi arriva – si perdono nelle terzine del primo periodo, in quelle corse verso il meridione che seguono le linee dell’“Appennino”. Alla vita ciampinese di Pier Paolo Pasolini i biografi hanno il più delle volte solo accennato; tanto che anche i più accorti tendono a confondere la stretta, discreta via Principessa Pignatelli con la più nota – e lontana – Appia Pignatelli. Allo stesso modo, nelle biografie variano (alle volte con differenze rilevanti) le date d’inizio e di fine dell’esperienza alla Petrarca. Ancora di recente Giacinto Spagnoletti, nel suo L’“impura” giovinezza di Pasolini (1998), la storia “critica” Eppure la Ciampino del primo dopoguerra, coi suoi campi sterrati, la parvenza borghese della città-giardino inghiottita dai vigneti, gli sfollati in attesa di una casa, compendia bene quel momento di passaggio dall’arcaicità del mondo contadino alla colonizzazione neocapitalistica che Pasolini ha rappresentato Da queste premesse è nata la necessità di raccontare l’esperienza ciampinese di Pasolini attraverso le testimonianze dei suoi allievi di allora. Registrare le loro voci e riproporle così, semplicemente, senza aggiungere nulla di più di quello Ho voluto correre il rischio opposto, preferendo il racconto alla catalogazione. Mi è sembrato più corretto ritrarli nel presente della loro vita di ex allievi, raccogliendo tutte le testimonianze in un vero e proprio diario di viaggio. Una raccolta di appunti nella quale i ricordi degli studenti della Petrarca si fondono con i testi del loro antico professore. Tutto quello che mi veniva raccontato mi riconduceva, immancabilmente, a un luogo della scrittura, a una serie di versi, a una catena di fotogrammi che in qualche modo completavano e dilatavano la narrazione oggettiva. Ascoltare i ricordi degli allievi di Pasolini è stato anche un modo per ritrovare il senso dei “primi anni”. Cercare di capire quale sia la funzione di un maestro. Per quel che ne sappiamo, Socrate potrebbe essere stato un personaggio letterario come Sherlock Holmes o Stephen Dedalus. Nato dalla necessità di Platone di avvalorare le sue tesi attraverso i dialoghi e di creare l’“idea” del maestro per tutta la cultura occidentale a venire. In Comizi d’amore (1963), Pier Paolo Pasolini, prima di iniziare la sua inchiesta sulla «sessualità degli italiani», si affida alle «autorità di Cesare Musatti e di Alberto Moravia», chiedendo loro un’opinione sul valore della sua ricerca. Allo Già prima di iniziare il mio viaggio verso Pier Paolo Pasolini e l’Italia degli anni Cinquanta, prima di raccontare le storie degli allievi della Petrarca, mi sono voluto creare, confortato dal precedente pasoliniano, un percorso privato attraverso il Novecento che potesse aiutarmi a interpretare meglio il materiale che andavo raccogliendo. Ed è per questo che mi è sembrato necessario tornare indietro nel tempo (e nello spazio: passando da New York a Ed è per questo che ho cercato di unire al rigore ricostruttivo la necessità dell’improvvisazione, approfittando delle suggestioni che mi arrivavano in corso d’opera. Ne è nato una Bildungschrift mediata dalla mia visione soggettiva, che si muove attorno alla “formazione” di Pasolini e, contemporaneamente, a quella degli studenti della Petrarca. Fernanda Pivano – partendo da un incontro con Pasolini – mi ha dato un’interpretazione del rapporto tra la cultura del dissenso statunitense e quella dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta. Ho chiesto a Luca Serianni di parlarmi della lingua letteraria di Ragazzi di vita e di Una vita violenta, e ho pensato di fermarmi a riflettere con Sandro Veronesi sulla lezione artistica di Pasolini. Con Attilio Bertolucci ho parlato della Roma dell’immediato dopoguerra e del suo dialogo in versi «con Pier Paolo». Insieme alle loro testimonianze “esterne”, le parole degli allievi; fino a quel vero e proprio diario di viaggio che ho Tutto il racconto è preceduto da un dialogo a posteriori con Vincenzo Cerami, che nella sua doppia dimensione di scrittore e di ex alunno è un vero e proprio legame tra i due mondi raccontati. Fondere insieme due mondi diversi mi è Anche alla luce di una riflessione di Barth David Schwartz sulla visione del mondo di Pasolini, quando descrive l’ironia dei “circoli culturali della capitale”: Sarà a questo punto il caso di spiegare perché la scelta dei compagni di strada non è stata casuale. Mio padre è arrivato a Roma nel ’54. Aveva dodici anni. È stato – come tanti altri assieme a lui – un inurbato del primo dopoguerra. Per scelta, è vero: fu mio nonno a volerlo. Ma non ha certo influito, nella storia di mio padre, questa differenza di cause rispetto agli immigrati “per necessità”. Nel giro di pochi giorni le colline senesi della sua infanzia si sono trasformate nei montarozzi di sabbia dei cantieri di Ponte Bianco. Mia madre ha sposato mio padre a diciassette anni. Ha lasciato le sue, di colline, quelle che nascono a Chiusi e corrono verso l’Umbria, ed è venuta a vivere a Roma con lui. Io sono nato a Roma, nel 1971. Ho vissuto un’infanzia spezzettata tra i boschi dell’Umbria e della Toscana, le estati cittadine di Monteverde nuovo, l’asfalto spianato da poco delle nuove strade di Ciampino. Ho conosciuto Pasolini attraverso i suoi libri e i suoi film. Quando ho cominciato a pensare a questo libro, al tentativo di ricostruire un breve periodo della vita di Pier Paolo Pasolini e di Ciampino, mi sono subito reso conto che – lo volessi o no – ero costretto a ripercorrere a ritroso il Novecento fino a trovare la guerra; e un mondo diverso dal mio. Abbandonata dall’inizio qualsiasi pretesa di completezza, mi sono accorto che l’unica strada da percorrere era quella privata, salvando le mie memorie insieme con quelle delle persone che incontravo. Questo libro, un diario di viaggio che va dal febbraio al novembre del 1997, è ben presto diventato ai miei occhi, paradossalmente, oggettivo. Usando le parole dell’Hemingway di Verdi colline d’Africa (tradotte da Attilio Bertolucci): «L’autore Se si guarda bene, all’interno di questo “scritto di formazione” trovano posto (e sia chiaro che si tratta di debiti dichiarati per amore di verità, non di pretese corrispondenze) oltre all’opera di Pier Paolo Pasolini, La lepre di Vincenzo Cerami, i libri di Fernanda Pivano, le Aritmie di Bertolucci, Occhio per occhio di Sandro Veronesi, la lezione storico-linguistica di Luca Serianni (soltanto per ricordare il perché di un viaggio comune). Ma anche i Cuentos di Osvaldo Soriano, i Viaggi di Moravia, il Diario d’Irlanda di Heinrich Böll, Festa mobile
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