"Pagine corsare"
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Stefania Parigi Paolo Poli Maria Laura Gargiulo
Stefania Parigi
Accattone
Lindau 2008, saggistica, 240 pagine
Un libro sull'incontro col cinema di P.P.P. e su un personaggio che non sembra aver perso nulla della sua carica «eversiva».
«Partivamo tutte le mattine alle 8 da via Carini diretti alla borgata Gordiani, alla Marranella, al Pigneto, a tutti gli altri luoghi che, messi assieme, avrebbero formato l’assoluta unità di luogo della tragedia di Accattone, eroe pre-psicologico, preistorico, predialettico, prepolitico.
Pier Paolo, il regista, guida un’Alfa Romeo, come avrebbe fatto sempre fino alla morte. Io, l’aiuto regista, sono seduto al suo fianco.
Durante il tragitto, mi racconta i suoi sogni notturni e li elabora, mentre intanto segue la segnaletica stradale con la precisione maniacale di chi conosce il proprio disordine e tenta di compensarlo con un rispetto ossessivo del codice stradale.
La funzione prima dell’aiuto regista, dell’«assistente», è quella di assistere. È così che io seguo la reinvenzione del linguaggio cinematografico di Pier Paolo.
Alcuni metri di binario vengono buttati sulla polvere, sembrano caduti per caso, e infatti sarà la prima carrellata della storia del cinema.
E quando Pasolini decide di fare una panoramica o un primissimo piano, ho la impressione di assistere all’invenzione della panoramica o del primissimo piano.
Per lui, il cinema fino ad Accattone non era stato che un luogo di incontro di nuovi amici.
C’erano pochi film che amava e non mi rammento che di qualche Chaplin e dei “testoni” della Giovanna di Dreyer.
Di lì il bisogno di creare il suo personale linguaggio cinematografico.»
Bernardo Bertolucci (diciannovenne
aiuto-regista di Pier Paolo Pasolini in Accattone)
Dopo la scrittura dei romanzi degli anni ’50 Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), nel 1961 Pier Paolo Pasolini impugna la macchina da presa per un esordio cinematografico folgorante. Esattamente come la produzione narrativa, anche l’esperienza filmica di uno dei più importanti personaggi della cultura italiana del Novecento rivela un’ispirazione populista incentrata sui ragazzi delle borgate romane e sulle loro «derelitte quotidianità». Dal giovanissimo Bernardo Bertolucci aiuto regista a Sergio Citti collaboratore ai dialoghi dialettali, dalla Passione secondo san Matteo di Johan Sebastian Bach al «sole e alla polvere» nel bianco e nero di Tonino Delli Colli, Accattone rimane ancora oggi l’indimenticabile, primo contributo che il poeta-romanziere-giornalista-critico Pasolini ha dato alla storia del cinema italiano.
La docente universitaria Stefania Parigi apre il suo denso e ammirevole saggio con l’arrivo di Pasolini a Roma, nel 1950, e l’incontro di questi col mondo del cinema (le collaborazioni con Fellini, Bolognini, Lizzani), per poi illustrare il linguaggio cinematografico inseguito dal regista, alla ricerca di un «pensiero teorico» che postulasse la sua intenzione artistica cinematografica.
Accattone viene poi riconsiderato dall’autrice nella sua puntuale suddivisione in sequenze e sottosequenze, dalla quale scaturisce l’analisi di alcuni temi figurativi del film quali «il sole e la polvere» e «gli angeli, le croci e le stelle». E se il discorso sull’«esergo dantesco», ossia sulla citazione di alcuni versi del canto V del Purgatorio posti in apertura del film, lega (solo apparentemente) Accattone al tema della redenzione morale – cattolica – del protagonista, il discorso su «l’occhio di Masaccio» lega invece il film alla matrice pittorica costantemente inseguita da Pasolini nella costruzione visiva delle singole inquadrature. A tal proposito, la Parigi ricorda le parole dello stesso Pasolini:
«In Accattone mancano moltissimi degli accorgimenti tecnici che vengono generalmente usati: in Accattone non c’è mai un’inquadratura, in primo piano o no, in cui si veda una persona di spalle o di quinta; non c’è mai un personaggio che entri in campo e poi esca di campo; non c’è mai l’uso del dolly, con i suoi movimenti sinuosi, «impressionistici», rarissimamente vi sono dei primi piani di profilo o, se ci sono, sono in movimento. […]
Per me tutte queste caratteristiche che ho qui elencato frettolosamente, sono dovute al fatto che il mio gusto cinematografico non è di origine cinematografica, ma figurativa. Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto – che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi (per esempio il Pontormo). E non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica, che ha l’uomo come centro di ogni prospettiva. Quindi, quando le mie immagini sono in movimento, sono in movimento un po’ come se l’obiettivo si muovesse su loro sopra un quadro; concepisco sempre il fondo come il fondo di un quadro, come uno scenario, e per questo lo aggredisco sempre frontalmente.
E le figure si muovono su questo fondo sempre in maniera simmetrica, per quanto è possibile: primo piano contro primo piano, panoramica di andata contro panoramica di ritorno, ritmi regolari (possibilmente ternari) di campi, ecc. ecc. Non c’è quasi mai un accavallarsi di primi piani e di campi lunghi. Le figure in campo lungo sono sfondo e le figure in primo piano si muovono in questo sfondo, seguite da panoramiche, ripeto, quasi sempre simmetriche, come se io in un quadro – dove, appunto, le figure non possono essere che ferme – girassi lo sguardo per vedere meglio i particolari. Sicché la mia macchina da presa si muove su fondi e figure sentiti sostanzialmente come immobili e profondamente chiaroscurati.»
Chiude lo straordinario lavoro di Stefania Parigi una ricercata «antologia critica», in cui si sovrappongono in maniera emozionante le parole di Carlo Levi e Ugo Casiraghi, Alberto Moravia e Morando Morandini, oltre a quelle di Bernardo Bertolucci e dello stesso Pier Paolo Pasolini.
Stefania Parigi insegna Storia del cinema italiano al Dams di Roma Tre. Per i tipi della Lindau ha pubblicato Fisiologia dell’immagine. Il pensiero di Cesare Zavattini (2007).
Paolo Poli
Siamo tutte delle gran bugiarde
Perrone editore, febbraio 2009
Paolo Poli, uno dei più grandi attori italiani, in occasione del suo ottantesimo compleanno racconta la sua vita in una fitta conversazione con Giovanni Pannacci pubblicata nel libro ''Siamo tutte delle gran bugiarde'', edito da Giulio Perrone in libreria in questi giorni. Paolo Poli svela tutti i passaggi della sua vita cominciando dall''infanzia fiorentina in una famiglia moderna e illuminata.
Descrive la sua precocissima folgorazione per il teatro che lo fa trasferire a Roma poco più che ventenne. Da qui, mette in scena i primi passi nel cinema e nei fotoromanzi, che interpretava indossando le giacche rubate a Franco Zeffirelli. Emerge, così, nelle sue parole, l'atmosfera felice della dolce vita: le avventure mondane con Laura Betti, l'affinità elettiva con Federico Fellini, la severità di Pierpaolo Pasolini. Passo dopo passo, poi, Poli inquadra la sua carriera nel mondo del teatro. Dai primi ingaggi in compagnie importanti dove impara quella che chiama ''la praticaccia'', alla decisione di diventare capocomico nel momento in cui quasi tutte le grandi compagnie si scioglievano per essere assorbite dai teatri stabili. Poli ricorda di essere sempre stato un artista rigoroso e privo di padroni. Come quando mettono una bomba in teatro per impedirgli di rappresentare la sua parodia di Santa Rita o come quando un incendio distrugge le intere scenografie di uno spettacolo e lui va in scena lo stesso, utilizzando fogli di giornale come scenografia.La sua vita come attore è trascorsa a parodiare il potere, il cattivo gusto della piccola borghesia, i vizi e le virtù ''dell'italietta'' provinciale e pavida. Il tutto senza moralismi, ma con lo sfarzo scintillante dell'ironia.
Alla fine del libro si scoprirà che non c'è alcuna differenza fra l'attore e l'uomo. Come l'attore, anche 'il Poli uomo' adora incantare gli interlocutori, tessere affabulazioni che intrecciano verità e invenzione. Ma la menzogna per Poli non è una bugia, diventa trucco, trovata scenica. ''Io adoro - spiega - mettere le frange alla realtà, perché l'immaginazione prolunga la vita''. Ecco perché colui che è stato appena nominato Grande Ufficiale della Repubblica, si definisce ''una gran bugiarda''.
L'incipit del libro di Paolo Poli
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INVITO ALLA LETTURA
BRANI DI PIER PAOLO PASOLINI

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DA OTTOBRE 1998





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