I contributi dei visitatori di "Pagine corsare"
 

"Pagine corsare"
I contributi dei visitatori

Il "doppio spazio" di Porcile
di Paolo Lago

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La mia passione per la figura e le opere di Pasolini risale a molti anni fa, per sfociare poi nell'argomento della mia tesi di laurea in lettere classiche all'Università di Pisa (conseguita nel 2001), sui vari punti di connessione tra il Satyricon di Petronio e Petrolio, definito dallo stesso Pasolini come "un Satyricon moderno".

Successivamente, nel 2006, ho conseguito un dottorato di ricerca in "Letterature e Scienze della Letteratura" presso l'università  di Verona per il quale ho studiato gli influssi della linea culturale menippea, derivante dall'antica satira menippea, nell'intera opera di Pasolini. Dal gennaio 2007 al dicembre dello stesso anno sono stato assegnista di ricerca in letteratura italiana presso il dipartimento di Romanistica dell'Università  di Verona per il quale, dimostrando l'eclettismo delle mie ricerche, ho lavorato - nell'ambito della letteratura italiana del Settecento - a un progetto sulla ricezione dei personaggi di matrice classica nei melodrammi di Metastasio (dal quale prossimamente scaturirà un volume presso l'editore Fiorini di Verona). Il fatto che al momento io sia al di fuori di qualsiasi struttura universitaria non ha certo fermato la mia passione per la ricerca: continuo infatti a scrivere e pubblicare saggi sull'opera di Pasolini, di Metastasio, sulla ricezione dell'antico nella letteratura e nel cinema contemporanei e anche sul cinema tout court.

Fra le mie pubblicazioni 'pasoliniane' segnalo:

"Petronio e 'Petrolio': una rilettura contemporanea del Satyricon" in "Maia", 56 (2004), pp. 299-300.
"La parola, il silenzio, il corpo e l'anima del vulcano (conversazione su P.P. Pasolini)", paragrafi pari, in "Cinemasessanta" 6 (novembre-dicembre 2005), pp. 43-58.
"Petrolio e l'antico: la presenza e l'influsso delle letterature classiche nel romanzo incompiuto di Pier Paolo Pasolini", in "Progetto Petrolio", a cura di P. Salerno, Clueb, Bologna 2006, pp. 45-69.
"Una forma breve al cinema: 'La Terra vista dalla Luna' di Pier Paolo Pasolini" in "Forme brevi, frammenti, intarsi" a cura di S. Genetti, Fiorini, Verona 2006, pp. 303-317.
"Petrolio e la società  italiana degli anni Sessanta e Settanta" in "Narrativa italiana degli anni Sessanta e Settanta", a cura di G. Ania e J. Butcher, Dante e Descartes, Napoli 2007, pp. 165-173.
"L'ombra corsara di Menippo. La linea culturale menippea, fra letteratura e cinema, da Pasolini a Arbasino e Fellini", Le Monnier, Firenze 2007.

Paolo Lago
giugno 2008
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Locandina del film 'Porcile'Il film Porcile (1969) di Pier Paolo Pasolini mette in scena una doppia ambientazione, un doppio spazio: quello “barbaro” del mito, connotato da lande desertiche e cittadelle fortificate battute dal sole, e quello razionalista (ma non razionale) e ‘ordinato’ dell’ambientazione negli interni geometrici di una villa della Germania degli anni sessanta. 

La doppia ambientazione del film riflette la fondamentale dicotomia presente all’interno dell’intera opera pasoliniana, quella cioè fra mondo contadino, preindustriale, e mondo borghese e neocapitalistico. Esistono tuttavia delle zone di confine fra i due mondi, delle ‘zone franche’ in cui le due scenografie si incontrano e si ibridano. Uno di questi momenti di passaggio, di confine, è rappresentato dall’estetica derivante dall’uso della macchina da presa (successivamente abbreviata mdp) e dai movimenti di macchina. Com’è noto, il regista prediligeva l’uso della mdp a mano, considerando un fattore importante delle riprese di un film proprio lo sforzo fisico che ad esse è legato. Lo spazio rappresentato all’interno della villa e poi, nei giardini costituiti da rigide figure geometriche, è quello del tunnel. Lo spazio viene, se così si può dire, ‘tunnellizzato’, incanalato in bui cunicoli immaginari. 

Ad esempio, nel lungo piano sequenza (che presenta momenti di montaggio alternato, nell’inquadrare ora l’uno ora l’altro personaggio) in cui la mdp segue Julian e Ida nel loro dialogo, durante la passeggiata nel giardino, è come se i due personaggi stessero percorrendo lo spazio regolato ed occludente del tunnel. 

Lo stesso vale per le scene ‘barbariche’: gli antropofagi camminano fra colli e lande bruciate dal sole, in uno spazio assolutamente ‘libero’, ma è come se fossero inquadrati nel percorso di un tunnel o di una caverna. 

Il senso di chiusura, di soffocamento connota perciò la doppia ambientazione di Porcile; e a questo senso di soffocamento è indissolubilmente legata la dimensione dell’angoscia. 

I protagonisti delle due ambientazioni, Julian (Jean-Pierre Leaud, l’attore preferito di François Truffaut) e l’antropofago interpretato da Pierre Clementi (attore che, invece, nel cinema di quegli anni, rimanda ad un’idea ‘demonica’ di sovvertimento dell’ordine costituito - si pensi alle interpretazioni de La via Lattea di Buñuel, di Partner di Bertolucci, o a quella de I cannibali di Cavani) sono attraversati in ogni momento da palpiti d’angoscia. Il primo è infatti tormentato dal suo terribile ‘segreto’, mentre il secondo appare in preda ad una primitiva condizione di afasia che gli permette di pronunciare soltanto, durante il supplizio cui viene condannato, la frase, ripetuta come in un rito, “ho ucciso mio padre, mangiato carne umana e tremo di gioia”. 

Julian, allora, diviene quasi il doppio speculare dell’antropofago morente: anch’egli imboccherà la via dell’autoannientamento e quindi del silenzio, della consumazione segreta dell’atto rituale come il compiersi di un dovuto sacrificio. 

Si potrebbe anche dire che, fin dall'inizio del film, i due personaggi appaiono come votati al sacrificio e alla morte; in loro, cioè, è già ‘scritta’ la loro fine e anche il loro destino che essi accettano e portano avanti fino in fondo (come, ad esempio, fanno anche  Accattone, Stracci o Edipo). I due personaggi appaiono perciò speculari, come speculari sono le ambientazioni in cui agiscono, due spazi che non sono nient’altro che la somatizzazione del tunnel. Quest’ultimo, alla fine, si chiude definitivamente, poiché è un monito al silenzio l’ultima invocazione del film: lo spazio dell’angoscia dettata dal rito e da esigenze legate ad una sfera sacrale (come la passione per i maiali di Julian, o l’antropofagia del cannibale) si spegne nel silenzio di una progressiva afasia. La chiusura appare totale e definitiva: lontana quindi, dai momenti finali di Teorema  (1968), in cui la fine rimandava ad una qualche continuazione anche oltre gli avvenimenti della sfera filmica.

Locandina del film 'Teorema'Ed è proprio Teorema un altro film di Pasolini che risulta simile a Porcile per quanto riguarda la costruzione ‘antitetica’ degli spazi. 

Anche qui, infatti, incontriamo due ambientazioni simmetriche, quella ‘ordinata’ del mondo borghese e quella ‘barbarica’ del mito e delle inquadrature finali. 

Bisogna comunque dire che, come del resto anche in Porcile, l’ambientazione cosiddetta ‘ordinata’, in realtà non è affatto tale: essa appare infatti in preda all’angoscia e a pulsioni oniriche; il mondo borghese e apparentemente ‘geometrizzato’ è invece continuamente attraversato dalla sfera del ‘perturbante’ e dell’onirismo (come si nota anche nel cinema di Buñuel). 

Anche Edipo re (1967) presenta le due ambientazioni; qui, però il mondo moderno del neocapitalismo appare solo nel finale, nel viaggio di Edipo accompagnato dall’anghelos attraverso le strade del mondo ‘desacralizzato’ della borghesia. Edipo, alla fine, è cieco; quindi percorre veramente l’oscura via di un tunnel, di un tunnel che nel film è perennemente presente, fin dall’inizio (tunnel dell’inconsapevolezza e della non conoscenza; inoltre, nel corso delle sue peregrinazioni, Edipo capiterà anche all’interno di un labirinto, in cui è preda di un freudiano ‘perturbamento’).

Per concludere, uscendo dall’ambito strettamente pasoliniano, un altro film che presenta una doppia ambientazione simile, per certi aspetti, a quella di Porcile, è Zabriskie Point (1970) di Michelangelo Antonioni. Le due ambientazioni, quella delle repressioni iniziali e quella del deserto (e anche l’interno della villa borghese che poi esploderà, che si ricollega alla prima) sono come gli spazi di una ‘caverna-prigione’. Anche qui, l’apertura è solo illusoria e ingannevole; e illusoria e ingannevole è anche l’aura d’amore che pare avvolgere i due protagonisti. Non si sfugge al carcere ed alla repressione - sembra affermare il regista - neppure a “Zabriskie Point”. L’angoscia insegue sempre i protagonisti come un’oscura lama. Alla fine, dopo l’esplosione, il silenzio padroneggerà su tutto (anche la  scena dell’esplosione, girata al rallentatore, è connotata dal silenzio e da una immobile atonia), proprio come in Porcile: “Allora ssssst! non dite niente a nessuno.”


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