"Pagine corsare"
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Nostalgia di Pasolini
di Francesca Cenerelli

Ancora deve esplodere, il giallo.
Questo 2009 l’ha tenuto prigioniero, anche se la sua irruenza già si affaccia.
Ha chioma scarmigliata.
Sono in due. Ora li distinguo: alti, robusti, di contrasto all’olio azzurro del cielo.
Sono coppia che si accarezza, che ha vissuto muta tra le parole dei decenni.
Un frusciare: e per un attimo ci guardiamo; Io e loro due, fieri come sentinelle. Sono testimoni. Loro sanno ma non possono parlare. Io invece sì. Loro sono solo due alberi di mimose nel giardino di una persona. Una persona che oggi riceve la mia visita.
Penso che sono nati negli anni '50, gli alberi di mimosa e lui.
Io posso parlare. Posso parlare, ripescare dalla memoria, sdoganare facce e gesti e missioni eroiche passate. La Storia recente affossata sotto vagoni di informazioni slot, sotto input, password e slides. Sotto news, gossip, tg. Quella fatta di importanze non distribuite, di sepolture frettolose. E di parole. Vocaboli non più usati, che sopportano la colpa di un’epoca.
Parole…
Rifletto mentre gli alberi sollevano la chioma libera che promette fioritura, mentre la persona di qualche generazione precedente la mia, mi parla.
Dice: OPERAIO, MURATORE, FALEGNAME, MECCANICO. FABBRICA… Rifletto sull’abban- ndono di questi vocaboli.
Ma di cosa siamo fatti noi, adesso? Penso.
Di manager, dirigenti, liberi professionisti? Di stakeholder, di advisors, project software, process analyst?
Benedetto volto davanti a me, benedette fronde di alberi, benedetti occhi e mani e menti, custodi della Storia, benedetta fetta di storia mangiata e dimenticata…
D’un tratto ho nostalgia e anche amore per quel passato, colato attraverso le maglie del tempo dopo l’infuso, e gettato nel dimenticatoio. Ho nostalgia e mi ostino a fissare gli occhi blu-acciaio e la pelle del viso bello, di fronte a me.
Ho nostalgia di Pasolini e del documentario “12 dicembre”. Nostalgia del risalto che questo volto di sessantenne davanti a me avrebbe, se fosse davanti agli occhi di Pasolini. E il volto, erede di quella storia, tramanda racconti per chi vuole fare convergenza ed equilibratura alla Storia della nostra Italia. Invece ha solo me davanti. Non Pasolini, né nessuno che possa dar risalto alle gesta scolpite in quegli occhi.
Lo spazio d’un rettangolo luminoso, riempito da una faccia in primo piano. Poche domande, l’au- dio lasciato al respiro, al sudore, alla materia, della gente. Gente, genti, la gente. Una folla che usciva dall’anonimato e assumeva l’importanza che realmente ha, perché il mondo non è fatto di politici, né di giornalisti, ma di gente.
Questo faceva Pasolini. Questo dovremmo vedere oggi per televisione…
Nel documentario “12 dicembre” girato negli anni ’70, Pasolini ha restituito la reggenza del mondo a chi lo forgia: la gente che ha forgiato l’acciaio dell’Italsider di Bagnoli, uno dei tremiladuecento che ha ricostruito lo stabilimento minato dai tedeschi quando lasciarono il teatro della seconda guerra mondiale, due o tre, mille, ma mai anonimi: Quella stessa gente finita in secondo piano nelle foto d’inaugurazione dei giornali, quelle che immortalavano i politici, i pezzi grossi, come primo piano d’importanza.
Pasolini dà il massimo della bellezza alle epidermidi, alle nocchie, alle zazzere. E quel dar loro non voce ma importanza, come di resa giustizia, strappa ai volti un sorriso d’orgoglio che ha tramutato la smorfia di dolore. È quello della gente, che univa il sudato, il prodotto, e la solidarietà; l’inventiva e l’esperienza, la lotta, ponendo parola e manufatto sull’altro piatto della bilancia: contrappeso degli intellettuali, dei colletti bianchi, delle dirigenze, delle gerarchie, delle oligarchie, dei monopoli, che si propongono sempre in primo piano.
“12 dicembre” non è solo opera di Pasolini. Ma lui ne ha tocco, sguardo inimitabile, peso giusto.
Guardo i solchi rugosi di contorno all’essenziale di fronte a me, ciò che Pasolini non può più riprendere, quegli occhi che hanno vita e storia vissuta, guardo i corpi verdi degli alberi che presto spumeggeranno di giallo mimosa.
Lo confondo nelle immagini con la storia dell’Italsider, una storia che nessuno di noi dovrebbe dimenticare. E ne sento ancora la forza, le mani forti, la testa ripiena di volontà.
Una storia cominciata con l’Italia moderna, quella dell’industria, del boom economico.
Quando i tedeschi se ne andarono, l’IRI, l’Ente Pubblico italiano incaricato per la ricostruzione dell’Industria, stimò il tempo necessario per rimettere in piedi lo stabilimento in circa dieci anni. Gli operai, costituitisi in cooperative e rimboccatisi le maniche, impiegarono soltanto due anni, due anni per consegnare la loro moltitudine sfocata in sottofondo alle foto del comitato d’inau- gurazione.
Il piano americano Marshall incentivò le necessità di alimentazione, di materie prime, a condizione che nessuna svolta a sinistra sarebbe stata resa possibile dal Governo, incaricato di vegliare. Sono anni in cui libertà d’espressione e d’opinione costa cara. Addirittura la vita, per avere in tasca un giornale, l’Unità.
L’anarchia organizzata della fabbrica di Bagnoli (Napoli) assieme alle altre due del gruppo situate a Genova e Taranto, porta la nostra Italia al settimo posto per produzione di acciaio, in un momento economico in cui l’acciaio è davvero importante.
La stessa Italsider assieme alle fabbriche affidate alla gestione IRI, in mano a politici e governi diversi, diviene pozza senza fondo per risucchio di soldi pubblici. Risulta in perdita. In perdita, non certo per la gestione degli Operai. Accertamento fatto, dopo l’ammodernamento degli impianti terminato negli anni 80, De Michelis comunica la chiusura dello stabilimento, la cassa integrazione, l’agonia del modello, del gioiello che la gestione operaia, dopo tanto sudore, aveva rimesso in piedi. Indiani e cinesi si prendono smontando sul posto, i crogiuoli ammodernati, gli scivoli, le caldaie nuove, svendute dal Governo. Chissà, forse senza i progetti dei politici, dei finanziatori, dei capitalisti, dei dirigenti, il buon senso di operai e tecnici specializzati, avrebbe decretato ancora una volta la salvezza dell’Italsider….
Per questo, per questo non amo parlare di governanti, dell’opposizione, dei leader di partito, degli intellettuali e dei loro mondi in primo piano: perché in primo piano ci stanno già troppo; perché io preferisco dar taglio di importanza, obbiettivo di telecamera alla gente, le genti… loro, vera bellezza, loro, da non dimenticare…
Grazie Pasolini, grazie alberi di mimosa, grazie rivoluzionario che mi hai ospitata e mi hai parlato dell’ossatura degli anni '70, che hai difeso i diritti di noi tutti, futuri lavoratori.
Grazie alle genti, per sopportare in silenzio chi vi trascura, grazie per i vostri sorrisi e i vostri fremiti, grazie a chi, ancora oggi, ritaglierà l’inquadratura sui volti veri, redistribuendo l’importanza. Grazie anche a chi ha dovuto sacrificare la propria vita al carcere, chi ha sopportato sputi, discrediti, a chi è stato denunciato per aver tentato di difendere le genti.
Francesca Cenerelli
1° aprile 2009
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