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Una poesia-riflessione
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Provo uno strano senso di vergogna nel definire poesia questa riflessione, questo pensiero che mi fa provare paura e pietà  per me stesso e al contempo vergogna di questa paura e di questa pietà. Ho scritto questi versi dopo avere letto questo stralcio del libro "La storia" di Elsa Morante:

"Troppi sarebbero gli argomenti, invero: tanti, che lui se ne sentiva frastornato. E sebbene del tutto in sé, riconosceva pure che la sua mente non era accesa dalla salute, ma da una sorta di febbre lucida, che lui voleva sforzarsi di frenare, per quanto, in certo modo, intendesse approfittarne". 
Dopo averli letti mi è tornata in mente una frase di Pier Paolo Pasolini letta in "Gennariello" inserito nella raccolta "Lettere Luterane":
"Tuttavia il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci".
Vacillo e tremo.
Subisco l'ingannevole fascino di una vita tranquilla, 
di una felicità rozza.

Senza mai cercare, senza mai chiedere.

Ho paura dei miei stessi desideri, 
perché hanno cessato di essere miei.

Sono carnefice e vittima di me stesso. 
Senza più forze né vergogna. 

Mi addormento spietato, rassicurato dal mentirmi.

Federico

 

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Una poesia-riflessione di Federico Papa

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