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Salò e altri inferni
Da Jancsó a Fassbinder: matrici e filiazioni del capolavoro ‘maledetto’ di Pasolini
Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)
di Pier Paolo Pasolini
Introduzione di Roberto Chiesi
giovedì 28 maggio 2009, ore 20.00 - Cinema Lumière - Sala Mastroianni
Bologna, via Azzo Gardino, 65
Versione integrale (1988) e Sequenza inedta

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Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) viene presentato nella versione integrale reintegrata (nel 1988) dalla Associazione "Fondo Pasolini", diretta all'epoca da Laura Betti, dei tagli imposti dalla censura per la distribuzione 
nelle sale (febbraio 1977).

Introduzione di Roberto Chiesi.

a seguire

Sequenza inedita di Salò o le 120 giornate di Sodoma

Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), l'ultimo film di Pier Paolo Pasolini, uscito postumo, fu definito dall'autore "un mistero medioevale". Pasolini intendeva dire che ogni sequenza, ogni atto, ogni momento del film alludeva ad altro, proprio come nei Misteri medioevali ogni "quadro" rappresentato evoca altro, una storia sacra o profana. La grande complessità (e la violenza narrativa, quasi intollerabile) di Salò nascondono numerosi segreti, situazioni cifrate, allusioni, appunto, a ciò che Pasolini si rifiutava di raffigurare e mettere in scena direttamente: il Presente, il degrado dell'Italia, ammorbata dalla televisione e dallo sviluppo senza progresso. 

Ma esiste un mistero supplementare che si cela in Salò, un piccolo mistero non ancora chiarito: nelle copie del film distribuite in Gran Bretagna, intorno al 42° minuto, subito dopo la sequenza dello sposalizio "coatto" di due vittime, un ragazzo e una ragazza, quando il Duca (Paolo Bonacelli) caccia via gli astanti per procedere, con i suoi complici, allo stupro dei due poveri sposini, ecco che in quel punto preciso c'è una sequenza mancante nella 
versione italiana del film che conosciamo, così come in quella francese (il film è una coproduzione italo-francese). 
In questa breve sequenza, che dura meno di un minuto, il Duca, prima di chiudere la porta, recita con tono sarcastico e compiaciuto alcuni versi di una poesia in tedesco e fa menzione anche del nome dell'autore: Gottfried Benn. Il nome di Benn risuona sinistramente sul dettaglio degli abiti nuziali che giacciono a terra, dopo che la "sposina" è stata costretta a toglierseli.

Pasolini non amava Benn (lo definì un "sedicente mistificatore schizofrenico nazista" (che in realtà celava "un grande borghese irreprensibile, homme de monde, reazionario"). Ma nell'aprile del 1973, due anni prima di girare Salò, dedicò un'affilata recensione alle Poesie statiche di Benn, che inizia con queste parole: "Gottfried Benn è stato giustamente odiato da tutti. I soli ad odiarlo ingiustamente sono stati i nazisti".

Non è quindi difficile intuire perché Pasolini abbia messo in bocca ad uno degli abietti protagonisti del suo film i versi di un poeta che odiava. Ma il mistero risiede nell'esistenza di questa sequenza esclusivamente nelle copie 
anglosassoni, laddove manca anche nella prima copia (e nella relativa lista dialoghi) presentata alla commissione di censura italiana nel novembre 1975, appena uscita dalla moviola.

Roberto Chiesi
Centro Studi - Archivio Pasolini della Cineteca di  Bologna

Centro Studi - Archivio Pier Paolo Pasolini, c/o Biblioteca della Cineteca del Comune di Bologna
via Azzo Gardino, 65/b 40122 Bologna - Curatori: Roberto Chiesi, Loris Lepri, Luigi Virgolin

 


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