Angela Molteni, Enigma Pasolini - maggio 2010

"Pagine corsare"

Angela Molteni
Enigma Pasolini
Appunti su Pier Paolo Pasolini, su Petrolio, sull'assassinio mai chiarito dello scrittore,
sulle connessioni con i casi Mattei-De Mauro.
Protagonisti, ipotesi, testimonianze.

Il caso Mattei, un film di Francesco Rosi

     «La luna... chissà se ci sarà il petrolio anche lì…» è la frase che il regista Francesco Rosi mette in bocca a Enrico Mattei negli ultimi minuti di vita del Presidente dell'ENI, la sera del 27 ottobre 1962 mentre il suo aereo sorvola le campagne pavesi ed è in prossimità dell'aeroporto milanese di Linate sotto una diffusa turbolenza che insieme al destino già per lui predisposto segneranno la sua drammatica scomparsa.
     Ho rivisto a distanza di oltre trentacinque anni da quando fu realizzato Il caso Mattei, un esempio di film-inchiesta tra i più intelligenti e documentati, secondo soltanto a mio parere a Le mani sulla città dello stesso Rosi. La forza del film consiste, ancora oggi, nel suscitare dibattito sulla morte e sulla vita del “personaggio Mattei”, coinvolgendo l'opinione pubblica su argomenti del tutto insoliti per uno spettacolo, quali l'assetto e il destino economico di un Paese che è il nostro, i fragili equilibri di potere, l'arroganza di governanti, grandi imprenditori, manager d'assalto [*]. Il film di Rosi è del 1972, dieci anni dopo la scomparsa di Mattei e il silenzio imbarazzato che era calato su un personaggio molto discusso: quello di Rosi è un lavoro fatto di interrogativi anche senza risposta, e non indulge mai al ritratto agiografico del capitano d'industria. Cosa quest'ultima, invece, che non ci ha risparmiato la Rai in una sua recente fiction su Mattei.
     Il film di Rosi si occupa approfonditamente di altri avvenimenti legati alla morte del Presidente dell'ENI: primo fra tutti, quello del rapimento del giornalista Mauro De Mauro – avvenuto a Palermo il 16 settembre 1970 – al quale lo stesso Rosi aveva chiesto di collaborare alla sceneggiatura, incaricandolo di indagare sulla presenza di Mattei in Sicilia. L'aereo del Presidente dell'ENI precipitò infatti quasi al termine del viaggio di ritorno a Milano (la cui partenza dalla Sicilia era stata spostata dall'aeroporto di Gela a quello di Catania), un “misterioso incidente aereo” – tale fu definito al termine dell'inchiesta seguita al disastro aereo di Bascapè e alla morte di Mattei – che in una inchiesta successiva condotta dal Pm Vincenzo Calia della Procura di Pavia tra il 1994 e il 2003 risultò essere di natura dolosa (il Gip pavese Fabio Lambertucci a sua volta, dopo avere esaminato i risultati dell'inchiesta del Pm aveva emesso un decreto di archiviazione che si richiamava alle conclusioni di Calia). Mauro De Mauro, dopo il rapimento, scomparve nel nulla e il suo corpo non fu mai ritrovato. Più volte, in passato e anche recentemente, si è tentato di individuare il luogo in cui si presumeva fosse stato occultato il suo corpo, ma nessuna ricerca ha dato finora esiti positivi.
     Oltre al film e a una miriade di libri di contenuto critico e di inchiesta pubblicati nel corso degli oltre quarantacinque anni che ci separano dal caso Mattei, vi sono poi le conclusioni di una Commissione di inchiesta istituita dal Parlamento italiano e presieduta da Giovanni Pellegrino, e quelle dell'indagine molto approfondita cui ho fatto cenno, promossa nel 1993 dalla Procura di Pavia.
     Ed è soprattutto quest'ultima che ha sollecitato la mia attenzione, così come quella di altri commentatori che negli ultimi anni hanno espresso ipotesi, raccolto testimonianze, invocato inchieste, scritto libri. La relazione del Pm di Pavia – che ha provato come dicevo l'origine dolosa di quello che fu liquidato come “incidente aereo” dalle inchieste aperte subito dopo la scomparsa di Mattei –, suggerisce di tentare un'analisi più approfondita di ciò che può essere realmente accaduto anche in relazione ad altre vicende collegate alla tragica fine di Enrico Mattei. «Dall'abbattimento di Bascapè parte una nuova storia d'Italia, più succube dell'alleanza atlantica perché mutilata dell'indipendenza energetica ed economica, o comunque della forza finanziaria che le avrebbe assicurato Mattei. La storia delle stragi di Stato parte da più lontano» [1].
     Da qualsiasi lato lo si osservi, il delitto Mattei appare come una delle prime e più grandi azioni di depistaggio e disinformazione nella storia della Repubblica. Non a caso si è scritto che con la morte del fondatore dell'ENI mezza Italia continuò a ricattare per decenni l'altra metà. Per il politologo Giorgio Galli la tragedia di Bascapè si colloca “nell'ambito della strategia della tensione e del patto scellerato mafia-politica che avrebbe portato alla fuga dal carcere del boss Luciano Liggio nel 1969, nell'imminenza della strage di Piazza Fontana [2] e nelle fasi della sua preparazione, e spianato la strada all'affermazione dei corleonesi in Cosa Nostra”. La collaborazione di Cosa Nostra al sabotaggio del Morane Saulnier di Mattei sarebbe arrivata dal boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, che risultò vicino a Graziano Verzotto, il segretario regionale della Dc, responsabile delle relazioni esterne dell'ENI nell'Isola e Presidente dell'Ente Minerario Siciliano (Ems). Verzotto può essere considerato il personaggio emblematico di uno Stato che non distingueva e non distingue più tra criminali e persone oneste, dove impera la collusione tra politici e mafiosi (e perfino poliziotti, magistrati, giornalisti risultano invischiati nelle maglie mafiose) e dove si è praticata una guerra tra bande ciniche, spietate, non meno corrotte e sanguinarie della manovalanza fascista, spesso “in giacca e cravatta”, da considerare alla stessa stregua dei rozzi e pressoché analfabeti “picciotti” che materialmente hanno piazzato le bombe e a cui è stata assegnata licenza di uccidere.
     Eugenio Cefis, manager dell'ENI dal 1957, era già fuori dall'azienda petrolchimica di Stato quando Mattei morì. Italo Mattei riferì che il fratello Enrico aveva scoperto il doppio gioco di Cefis con i servizi americani e lo avrebbe costretto, per questo e per via di certi altri affari – in particolare per essere stato sorpreso mentre rovistava nella cassaforte di Mattei in cui erano conservati documenti riservati –, alle dimissioni dall'ENI. Cefis risultava legato ai servizi italiani ed era amico del generale Giovanni Allavena, fedele a De Lorenzo, poi iscritto alla P2, direttore del Sifar dall'ottobre '62 fino al giugno '65, coinvolto nel tentato golpe del '64; consegnò nel '67 i fascicoli del Sifar a Licio Gelli e fu costretto per questo a lasciare i servizi. Da un'informazione del giudice Casson del 1995, Giovanni Allavena risulterebbe in un elenco di dodici agenti della Cia italiani.


Un magistrato e la sua inchiesta coraggiosa

    Come accennavo, una grande quantità di informazioni è derivata soprattutto dalla inchiesta condotta presso la Procura di Pavia dal Pubblico ministero Calia, e rappresenta uno stimolo di grande rilievo, uno sprone soprattutto a non rassegnarsi mai. Tra i contenuti della sua relazione, Calia cita anche stralci da Petrolio, l'ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini, rimasto incompiuto come altre sue opere: la pièce teatrale Bestia da stile e il trattamento per un nuovo film, Porno-theo-kolossal che lo scrittore-regista avrebbe dovuto realizzare con Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli.
     Pasolini aveva iniziato a scrivere Petrolio nella «Primavera o Estate del 1972» – proprio l'anno in cui fu presentato il film di Francesco Rosi su Mattei – e aveva continuato a lavorarvi fino al giorno in cui è stato assassinato: «Mi sono caduti per caso gli occhi sulla parola “Petrolio” in un articoletto credo dell'Unità, e solo per aver  pensato  la  parola “Petrolio” come il titolo di un libro mi ha spinto poi a pensare alla trama di tale libro. In nemmeno un'ora questa “traccia” era pensata e scritta» [3].
     Nel progetto di Pasolini l'opera avrebbe dovuto essere considerata come edizione critica di un testo ricavato da molti manoscritti, concordanti e discordanti, legati da un curatore, che doveva colmare con materiale storico le numerose lacune che presenta un libro rimasto palesemente incompiuto, ma nel quale tutto quello che c'è è molto interessante, spesso entusiasmante. Capolavoro narrativo, che per la prima volta intreccia le tecniche del romanzo con quelle del saggio, Petrolio è una sintesi ammirevole di tutte le tematiche pasoliniane, dal racconto di corpi senz'anima ad analisi politico-ideologico-culturali condotte con le caratteristiche di denuncia e di passione già note nell'opera dello scrittore. La rappresentazione che Pasolini offre di alcuni aspetti socio-politici dei suoi tempi, attraverso Petrolio e le storie di un personaggio fondamentale nel romanzo - Carlo, funzionario dell'ENI, ambiguo, sdoppiato, chiuso in una solitudine che gli è necessaria «perché il mondo sia suo» (p. 314) -, è epica e contemporaneamente lirica, perché è sempre lo sguardo del Pasolini poeta che anima le pagine di Petrolio.
     Lo scrittore Paolo Volponi - scomparso nel 1994 - riferendosi all'ultimo colloquio avuto con Pier Paolo Pasolini, suo grande amico, a sua volta racconta in una intervista del 1976: «Una volta mi ha detto, e lo ripeto cercando nel ricordo le sue parole: “Mah, io adesso, finito Salò, non farò più cinema, almeno per molti anni. Ho scritto apposta l'Abiura della Trilogia della vita, e non farò più cinema. Voglio rimettermi a scrivere. Anzi, ho ricominciato a scrivere. Sto lavorando a un romanzo. Deve essere un lungo romanzo, di almeno duemila pagine. S'intitolerà Petrolio. Ci sono tutti i problemi di questi venti anni della nostra vita italiana politica, amministrativa, della crisi della nostra repubblica: con il petrolio sullo sfondo come grande protagonista della divisione internazionale del lavoro, del mondo del capitale che è quello che determina poi questa crisi, le nostre sofferenze, le nostre immaturità, le nostre debolezze, e insieme le condizioni di sudditanza della nostra borghesia, del nostro presuntuoso neocapitalismo. Ci sarà dentro tutto, e ci saranno vari protagonisti. Ma il protagonista principale sarà un dirigente industriale in crisi”. Per questo si era rivolto a me, per avere indicazioni e anche materiale, per esempio sulla vita dell'industria, sulle abitudini e sul linguaggio dei mondi chiusi del potere industriale, per avere schemi organizzativi dei processi aziendali».
     Mi ha positivamente colpito che sia stato un magistrato – avvezzo all'audizione di testimoni oppure ad analizzare oggettivamente fatti e documenti che possano guidarlo nella ricerca di verità e quindi, almeno professionalmente, estraneo ad ambienti letterari che in qualche modo avrebbero potuto essere condizionati e condizionanti – a considerare, appunto in assoluta autonomia, l'ultima opera letteraria di un intellettuale alla stregua di un vero e proprio documento di denuncia da mettere in relazione alle indagini che stava conducendo: «Anche Pier Paolo Pasolini (ucciso a Ostia il 2 novembre 1975) aveva avanzato sospetti sulla morte di Mattei, alludendo a responsabilità di Cefis. Tali allusioni sono rintracciabili nella frammentaria stesura del suo ultimo lavoro incompiuto […]» [4]. Più avanti riporterò e commenterò per esteso il riferimento a Pasolini nella relazione conclusiva dell'inchiesta del magistrato della Procura pavese.
 
 

[1] Da un'intervista di Andrea Turetta al giornalista Giuseppe Lo Bianco, dal sito internet dell'editore Chiarelettere, 9 aprile 2009.
[2] Un altro dei misteri irrisolti del nostro Paese. La strage di piazza Fontana a Milano è del 12 dicembre 1969.
[3] Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Einaudi 1992, p. 543.
[4] Dalla relazione al Gip della Procura di Pavia del Pm Vincenzo Calia.

[*] Prima postilla: Mattei e Cefis: sintesi e cronologia dell'ENI.


Enigma Pasolini
Petrolio, un romanzo da rileggere 


Enigma Pasolini, di Angela Molteni - maggio 2010
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