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Notizie Pasolini a New York
Dieci giorni son pochi per dare un giudizio, ? ben vero, ma Orson Welles una volta m?ha detto che per capire un paese ci vogliono dieci giorni o dieci anni: all?undicesimo giorno ti abitui e non vedi pi? nulla. All?undicesimo giorno, domani, riparte. L?ho pregato per questo di venire da me a bere un drink. ?Whisky?? gli chiedo. ?Birra? Cognac?? ?Coca-cola?, risponde. La finestra s?apre lungo una strada di grattacieli, uno accanto all?altro, uno dopo l?altro, dall?East River allo Hudson. Ti gira la testa a guardarli, ti senti in trappola come una bestia che ha sete di verde. O di silenzio. Entra, dal vetro socchiuso, l?inferno: brontolar di motori, squillare di clacson, martellare di perforatrici, sirene. La citt? ha acceso i termosifoni e la polvere nera ti si attacca perfino alle ciglia, rendendoti cieco. Piove, ? una di quelle giornate in cui tutto ti irrita, ti nega entusiasmo. Ma lui beve con gusto la sua Coca-cola e d?un tratto esclama: ?Vorrei aver diciott?anni per vivere tutta una vita quaggi??.?Quaggi??! A New York?? ?? una citt? magica, travolgente, bellissima. Una di quelle citt? fortunate che hanno la grazia. Come certi poeti che ogniqualvolta scrivono un verso fanno una bella poesia. Mi dispiace non esser venuto qui molto prima, venti o trent?anni fa, per restarci. Non mi era mai successo conoscendo un paese. Fuorch? in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare per non ammazzarmi. L?Africa ? come una droga che prendi per non ammazzarti, una evasione. New York non ? un?evasione: e un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent?anni. Lo capii appena arrivato. Arrivai da Montreal, con il treno. Scesi a un?enorme stazione affogata nel buio, una sotterranea. Non c?eran facchini e la mia valigia pesava. Eppure andavo come se fosse leggera. Mi muovevo verso una luce accecante, in fondo al tunnel c?era una luce accecante, e quando fui fuori la citt? mi aggred? come un?apparizione. Gerusalemme che appare agli occhi del Crociato. Non mi sentivo straniero, imparai subito a girare le strade neanche ci fossi nato: eppure non la riconoscevo. Perch? nessuno ha mai rappresentato New York. Non l?ha rappresentata la letteratura: a parte le vignette di Arcibaldo e Petronilla, su New York esistono solo le poesie di Ginsberg. Non l?ha rappresentata la pittura: non esistono quadri di New York. Non l?ha rappresentata il cinema perch?... Non lo so. Forse non ? cinematografabile. Da lontano ? come le Dolomiti, troppo fotogenica, troppo meravigliosa, e d? fastidio. Da vicino, da dentro, non si vede: l?obiettivo non riesce a contenere l?inizio e la fine di un grattacielo. Ma non ? solo la sua bellezza fisica che conta. E la sua giovent?. ? una citt? di giovani, la citt? meno crepuscolare che abbia mai visto. E quanto sono eleganti, i giovani, qui.??Eleganti?!? L?America ? proprio una donna fatale, seduce chiunque. Non ho ancora conosciuto un comunista che sbarcando quaggi? non abbia perso la testa. Arrivano colmi di ostilit?, preconcetti, magari disprezzo, e subito cadon colpiti dalla Rivelazione, la Grazia. Tutto gli va bene, gli piace: ripartono innamorati, con le lacrime agli occhi. S? o no, Pasolini? Lui scuote le spalle, sdegnoso. Alle sette ha un appuntamento con Herbert Blau, il direttore teatrale del Lincoln Center, che lo ha invitato a cena. Non si trovano taxi a quest?ora e cos? andiamo a piedi. Cade una pioggia sottile, esasperante. Ma lui cammina senza sentirla, o apprezzandola forse, e ripete vedi le case di Arcibaldo e Petronilla, in fondo ? come tornare fanciulli. Gli ? quasi sparita dagli occhi quella tristezza gonfia di mille amarezze. ?L?aspetto pi? importante di questa citt? ? la miseria.??Miseria?! A New York?!? ?S?. Lo stesso tipo di miseria, o povert?, che si trova nelle ex colonie divenute indipendenti da poco. Lo stesso tipo di povert? che trovi a Calcutta, a Bombay, a Casablanca. Mi spiego? Non una miseria economica, la miseria di chi non ha da mangiare: una miseria, ecco, psicologica. Quella sporcizia diffusa, quella provvisoriet?. Le strade male asfaltate che quando piove si riempion di gore. I muri neri o marroni, costruiti in fretta per esser buttati gi? in fretta. E mai un angolo tirato a lucido, destinato a durare. C?? anche Park Avenue, siamo d?accordo, ci sono gli splendidi grattacieli di vetro: ma quelle son le piramidi. Esser qui oggi ? come trovarsi in Egitto quando gli schiavi costruivano le piramidi. Sai, non ? mica detto che gli schiavi in Egitto vivessero male. Magari erano allegri, nella disperazione, e la sera andavano a spasso, bevevano... Non c?entra. L?aspetto importante resta questa miseria da ex colonia, da sottoproletariato.??Sottoproletariato? A New York?? ?Sicuro. V?? in tutti le stigmate della medesima origine sottoproletaria: a colpo d?occhio non la vedi mica la differenza di classe. Come a Mosca quando cammini pensando che son tutti uguali. Naturalmente la differenza esiste ma non se ne rendono conto, non ce ne rendiamo conto. E lo sai perch?? Perch? non v?? in loro la coscienza di classe. Per uno che vien dall?Italia lo smarrimento ? pi? fondo che in Africa, in India. Voglio dire che entri a Calcutta, a Karthum, ed entri nel cuore di una razza, di un contesto sociale: la classe operaia, borghese, piccolo-borghese, e ciascuna con la sua coscienza di esistere. Entri a New York e cosa trovi? Un fuoco d?artificio di razze assimilate e rese analoghe dallo stesso sistema, dal medesimo fondo: il sottoproletariato. Guarda l?operaio americano, questa mescolanza mostruosa e affascinante di sottoproletariato e di piccola borghesia. Non esiste l?operaio in quanto tale perch? non esiste in lui la coscienza della classe operaia. Una voragine. Ma ovunque ti affacci, in America, in un?anima come in una strada come in un ambiente, ti affacci su una voragine. Quasi tu ti sporgessi da un grattacielo. Ci? ? bene, ci? ? male? Non so, mi sento confuso. In Europa mi sembrerebbe negativo, qui no. Ammiro il momento rivoluzionario americano, ovvio che il mio cuore ? per il povero negro o il povero calabrese, e contemporaneamente provo rispetto per l?establishment, il sistema americano... Devo tornare, devo approfondire.?Il ristorante dove incontriamo Herbert Blau ? famoso per le aragoste alla griglia. Cena? Aragoste? Pasolini esce come un sonnambulo dal dedalo delle sue confusioni e ordina un bicchiere di latte, una macedonia di frutta ma senza le arance. ? afflitto da un?ulcera, dovrebbe farsi operare, si nutre come un beb?. Parlando di teatro, progetti, Blau lo fissa un po? sbalordito: questo rivoluzionario che si nutre come un beb?. Si saluteranno presto, reciprocamente annoiati. Conclusa la cena Blau lo ha accompagnato dentro il Lincoln Center, a vedere le prove di una commedia in costume. Ma a Pasolini non importa nulla delle commedie in costume, dell?apparato elettronico che sposta in pochi secondi le scene, gira il palcoscenico, alza la platea: nel suo mondo non c?? posto per simili meraviglie. Come non c?? posto per i grattacieli di vetro, Park Avenue, un razzo che parte, il trapianto chirurgico di un cuore vivo: l?America bella, pulita, comoda che piace a chi spera nel Paradiso. Come Rimbaud (o certi martiri) lui vuol sempre tornare all?inferno, ai quartieri dove si rischia un colpo di rivoltella nel cuore, incontri tragici e magari perversi, la punizione, il Greenwich Village come glielo descrisse Elsa Morante, Harlem come l?ha visto ieri sera ed ? stata una bellissima sera. Gli presentarono un sindacalista negro, di estrema sinistra, sai quelli che non accettano il sistema della non-violenza propagandato da Martin Luther King, e son pronti ad uccidere. Il sindacalista lo port? a casa di un operaio caduto dal quarantaseiesimo al quarantaduesimo piano dove rest? appeso miracolosamente ad un filo. L?operaio era un vecchio negro, disteso in un letto e rideva felice, felice, ed era cos? commovente. D?un tratto mi saluta, impaziente, una stretta leggera di mano, e se ne va tutto solo nel buio. Oggi parte ed ha molte cose da fare: anzitutto posar per un tale che ha molto insistito e gli pare si chiami Avalon. ?Dick Avedon?? ?S?, qualcosa del genere.? ?Non sai chi ? Dick Avedon?? ?No, chi ??? ?Forse il pi? grande fotografo che esista in America, senza dubbio uno dei pi? grandi nel mondo.? ?Ah, s??? Avedon lo ha pregato di venire al suo studio verso le undici ma lui ? giunto in ritardo perch? sulle scale c?era un vagabondo ubriaco dall?alba, e un vagabondo ubriaco dall?alba vale cento fotografie di Avedon.
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Ma a Pasolini preme pi? la storia di altre fotografie: questo ragazzo negro, ad esempio, che mor? di botte per essere stato aggredito dal Ku Klux Klan. O questo mulatto che al Parlamento fu eletto due volte ma non riusc? mai ad entrarci perch? ? contro la guerra in Vietnam. O questo Allen Ginsberg che posa nudo, coperto solo dalla sua barba e i suoi peli, e lo induce a una altra dichiarazione d?amore:?
?Gli intellettuali americani, capisci. Magari son pieni di contraddizioni; incontri un allievo di Morris che ha dato la laurea sulla poesia del Petrarca, discute di semeiotica e poi incontri due studentesse che ignoran perfino Apollinaire o Rimbaud. Quali sono i poeti che preferisce, ti chiedono. Rimbaud, rispondi, Apollinaire, Machado, Kavafis. Ti guardano cieche. Che Kavafis non lo conoscano, passi. Per Machado ? gi? grave, per Apollinaire ? assurdo, per Rimbaud addirittura scandaloso. Per? hanno un tale rispetto per la cultura! Un rispetto pieno di timore, umilt?: ? una gran dote. Considera gli italiani: sono sempre padroni del sapere, anche quando sono ignoranti. Non c?? mai un attimo di timidezza, negli italiani, verso il sapere. Un tipo come Umberto Eco, ad esempio. Conosce tutto lo scibile e te lo vomita in faccia con l?aria pi? indifferente: ? come se tu ascoltassi un robot. Un americano erudito come Umberto Eco ? un uomo umile, invece, non si considera mai padrone della sua sapienza, ? quasi spaventato dalla sua cultura. Ci? ? giusto, mi piace...?.?E intanto Avedon scatta foto che suppongo destinate alle frivole lettrici di ?Vogue?. Che scena, vale quella del Village.
Lo attrae soprattutto una certa camicia che ? la copia esatta di quelle in uso nelle prigioni. Sul taschino sinistro c?? scritto: ?Prigione di Stato, galeotto Numero 3678?. La sta provando, sedotto, quando all?angolo della Decima Avenue scorge una dimostrazione in favore della guerra nel Vietnam. Uomini e donne passano cupi con grandi cartelli dove ? scarabocchiato: ?Bombardate Hanoi?; qualcuno ha un distintivo che dice: ?Ammazzateli tutti, quei rossi?. Ed ecco che un?automobile arriva, ne scendo due giovanotti e una ragazza bionda in calzoni. La ragazza ha una chitarra. Si appoggia al cofano dell?automobile, mentre i due giovanotti le si mettono ai lati, e incomincia a suonare qualcosa di triste. Poi, insieme, tutti e tre attaccano una canzone di protesta. Continueranno finch? gli altri continueranno a sfilare coi loro cartelli: e non un insulto, un gesto di ostilit?. Pasolini resta fermo a fissarli, con la sua camicia da galeotto, i suoi occhi sono umidi, buoni, quando sussurra:? ?Questa ? la cosa pi? bella che ho visto nella mia vita. Questa ? una cosa che non dimenticher? finch? vivo. Devo tornare, devo star qui anche se non ho pi? diciott?anni. Quanto mi dispiace partire, mi sento derubato. Mi sento come un bambino di fronte a una torta tutta da mangiare, una torta di tanti strati, e il bambino non sa quale stato gli piacer? di pi?, sa solo che vuole, che deve mangiarli tutti. Uno ad uno. E nello stesso momento in cui sta per addentare la torta, gliela portano via?.? l?istantanea di un marxista a New York. ? |
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