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![]() Da trentaquattro anni Pier Paolo Pasolini non è più TRA NOI. Ma la sua presenza - ieri, oggi, sempre - è IN NOI , viva e vitale più che mai... Due poesie e un ricordo del poeta e amico di Pasolini, Dario Bellezza . |
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Dopo un anno, feroce giorno ![]() Mi ricordo Pasolini Io non sono mai molto lucido quando parlo di Pasolini. I rapporti che ho avuto in vita con lui mi proibiscono di parlarne in maniera oggettiva. Confesso dunque che mi metto sempre dentro il margine della visceralità e della soggettività. D'altronde, c'è un altro meccanismo che mi scatta dentro, dato che è chiaro che proiettavo, identificavo su Pasolini una figura grosso modo paterna e anche materna. Il padre, diciamo così, era l'ideologia, era l'intelligenza, era la sapienza. La madre, invece, era la poesia. Mi sento scrutato, giudicato da Pasolini, continuamente. E' come se fosse stato un grande dio che, purtroppo, ha dimostrato il suo difetto, la sua mortalità. Morendo Pasolini ha compiuto su di me una specie di esorcismo e mi ha lasciato libero di continuare per la mia strada. Io non so qual è la mia strada. E' la strada di un emarginato, di uno zingaro, di uno che ha scelto di non compromettersi se non in una compromissione feroce, forse anche in questo pasoliniana, nei confronti della società italiana. Pasolini diceva: «Voglio lasciare l'Italia». Era uno dei suoi leit motiv degli ultimi tempi. Nel dirlo c'era l'ironia di chi sa che, in realtà, non può farlo e forse anche la prefigurazione della sua morte. Io credo che tutti noi lo sappiamo e un poeta poi lo sa, forse, non perché ha dei poteri medianici o telepatici o di intuizione superiore a quella degli altri, ma lo sa per una specie di magico rapporto che ha con la realtà. Pasolini sapeva da premonizioni, da sogni, dall'inconscio che si svelava attraverso i sogni, che la morte lo doveva colpire. Non gli piaceva la vita. Non gli piaceva più la realtà, diciamo la verità. La verità è quella che Pasolini ha firmato, concludendo la sua vita terrena. Lasciamo stare il fatto oggettivo, politico, della sua morte per mano dei fascisti, come io sono convinto che sia. E' proprio per ragioni di poesia. Ci arrivo attraverso la poesia, non attraverso la politica, l'ideologia, a spiegarmi quella morte, perché solo chi è impoetico totalmente, chi è barbaro, chi è nero, può pensare di uccidere un poeta come Pasolini. Pasolini mi ha lasciato libero e io, di questa libertà, non so che farmene. Non so che farmene, soprattutto perché mi sembra una condanna superiore a qualsiasi prigionia a cui lui mi costringeva. Questo è l'amore che io ho per Pasolini. Parlarne, per me, adesso, non è più neppure uno strazio, è una specie di confessione di fronte a questo dio che mi ha tradito. [...] La tradizione non è un fatto reazionario, è un fatto rivoluzionario scoprirla e nutrirsene. Quando lui diceva «sono una forza del passato» era la più grande provocazione che possa fare un uomo di cultura oggi, perché è il passato che uccide il presente e uccide il futuro. [...] Per cui mi sento colpevole, mi sento vittima di questo mio senso di colpa, mi sento orfano e tutti questi scatti, emozioni psicologiche che dentro di me convivono, non lasciano spazio ad una possibilità di oggettività. E' un fatto traumatico, l'amore. Diceva Pasolini: «solo l'amore conta. Solo il conoscere. Non l'aver amato, non l'aver conosciuto». Io qui, in questo momento, sono consapevole che non mi libererò del fantasma di Pasolini finché non troverò pace, diciamo così, in un amore verso me stesso. Il fatto che però possa amarmi, possa chiarirmi, viene offuscata dalla possibilità che Pino Pelosi sia fatto uscire, magari fra qualche giorno, solo per il fatto che ha ucciso un grande poeta, un grande artista come Pasolini e solo perché è questo che la società italiana voleva. La società italiana è una comunità di false interpretazioni sociologiche, repressa e fascista nel profondo, e non produce che mostri, nonostante tutti quelli che l'abbelliscono, la impreziosiscono con orpelli modernistici. Per cui i Pino Pelosi devono essere assolti, per carità, per confermare questo tipo di società che non prevede altro che orrore e menzogna. E' un paese di menzogne, di perfidie, di mostruosità, mai portate sul piano della ragione. [...] La vita di un poeta è la vita di chi arricchisce la collettività. Siccome s'è perso, però, il senso di che cos'e un poeta e che cos'è la poesia, allora è vero che la vita di un poeta vale molto di meno di una qualsiasi checca morta sotto un ponte. Perché di questo Pasolini è contento: valere molto meno di una checca, allora sì, ma non valere quanto una checca. E non che sia spregevole essere checca, intendiamoci, ma perché la poesia la conosce, la sa soltanto chi capisce che cos'è veramente. Io non lo so spiegare. D'altronde non c'è riuscito nessuno a spiegare cosa sia la poesia. Son cose che o si sentono o non si sentono. Dario Bellezza Dario Bellezza - Si impose all'attenzione del grande pubblico con l'Innocenza (1970) romanzo breve con il quale esordì, del quale Alberto Moravia scrisse la prefazione: storia di un'adolescenza tormentata con precise connotazioni autobiografiche. Seguirono i romanzi Lettere da Sodoma (1972) e Il carnefice (1973), ispirati anch'essi alle proprie esperienze personali. Dal 1978 inizia una collaborazione produttiva con Pellicanolibri. Angelo (1979) è una testimonianza commossa al grande amore della sua vita: la letteratura. Successivamente pubblicò Turbamento (1984), L'amore felice (1986) e Nozze col diavolo (1995). Collaborando dal 1980 con la casa editrice Pellicanolibri, contribuisce alla pubblicazione di autori esordienti o non più accettati dalla grande editoria come Anna Maria Ortese e Goliarda Sapienza, per la prima insieme ad Adele Cambria e Beppe Costa riuscirà a fare applicare la legge Bacchelli a sostengo degli artisti in difficoltà economiche. Anche la poesia di Bellezza si è spesso ispirata a temi autobiografici, fra i quali spicca l'amore omosessuale (vissuto con un sofferto atteggiamento maledettista, nella ricerca ossessiva di un "bellissimo assassino" fra drogati e prostituti), risentendo inizialmente dell'influenza dei poeti simbolisti e dell'opera di Sandro Penna. Muore in solitudine il 31 marzo del 1996 a Roma dopo un lunga malattia. [Fonti: Foto e nota biografica: Wikipedia; "Mi ricordo Pasolini": Fondazione Massimo Consoli]
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